martedì 3 dicembre 2019

Qui bisogna fatturare, capito? Fatturareee!

L'idea a cui non riuscirò mai ad abituarmi è l'imprenditoria senza rischio, anche se siamo nell'epoca del caffè decaffeinato, della cioccolata senza cacao e del matrimonio omosessuale. Il caso di oggi è un'azienda tecnologica che, se fosse un negozio, sarebbe uno di quelli col sottotitolo universale, tipo: "ferramenta e di tutto un po'", oppure: "abbigliamento e non solo" (nel senso che in entrambi i negozi puoi entrare e regolarmente acquistare una scatoletta di tonno e lo shampoo per il cane).

Un amico ha realizzato per hobby un aggeggino. Tutto a proprie spese, come un qualunque appassionato. Una roba che ha richiesto conoscenze di elettronica, meccanica, informatica, e un considerevole numero di ore di lavoro di progettazione, costruzione, collaudo. "Vieni a proporlo nella nostra azienda", gli dice un conoscente che è il bis-cugino del pro-cognato di uno dei manager, "andrà via come il pane, farai soldi a palate". L'hobbista, dopo numerose insistenze, suo malgrado accetta. Il manager ci mette quindici giorni a fissare un appuntamento, infine programmato all'ora di pranzo di un venerdì.

Al momento della presentazione, il manager da un lato si comporta come se avesse davanti un venditore di aspirapolveri dozzinali, dall'altro come se fosse vagamente interessato ma si aspettasse tutt'altro (ma come? l'aspirapolvere che non fa il caffè? - è la tipica ossessione italiota del tener basse le aspettative commerciali altrui, presumendole esagerate ancor prima di iniziare), nel frattempo facendo domande un po' troppo indiscrete sui dettagli più delicati (come se si sentisse abbastanza furbo da carpire qualche segreto industriale che lo farà campare di rendita per sempre).

Ora, il suo mestiere dovrebbe consistere nel capire le potenzialità che l'aggeggio già ha (e solo in un secondo momento quelle che in futuro potrebbe avere), il costo per trasformare il prototipo in un prodotto, la stima dei ricavi futuri per valutare se affrontare tale costo. Cioè dovrebbe usare l'intelligenza e il buonsenso (e, se ce l'ha, anche l'esperienza e il fiuto), partendo dal fatto che se la cosa va in porto l'azienda ha risparmiato tutta una lunga fase di progettazione e prototipazione. Già, perché le aziende italiane che fanno davvero un minimo di ricerca e sviluppo scarseggiano, per usare un eufemismo. I dipendenti sono considerati un centro di costo, non il motore del profitto, e ricerca e sviluppo sono ancor più un centro di costo qualora prima di cominciare la ricerca non siano ultimativamente chiari tempi e costi e margini di guadagno. "Imprenditoria senza rischio", cioè voler campare di rendita, voler fungere da inevitabili intermediari che con fatica prossima allo zero generano profitti ampi, sicuri, stabili, e magari anche crescenti. Praticamente la versione in giacca e cravatta del parcheggiatore abusivo.[1]

Nel caso di quell'hobbista, la contrattazione ovviamente non va a buon fine. Il manager addirittura trova un sottile modo di rinfacciare al malcapitato di avergli fatto perdere tempo con un aggeggio drammaticamente incompleto (concettualmente assimilandolo ad un aspirapolvere che non fa il caffè), e il tempo è denaro. Non solo tener basse le aspettative, ma anche tentare attivamente di ridurle finché sia possibile (l'hobbista pare timido, poco capace di contrattare, poco informato su quanto valore di mercato avrà il prodotto), anche a costo di ricatti morali, pur non avendo ancora ben chiare le potenzialità dell'aggeggio.

Ora, sappiamo già che in questa società la morale di un'azienda è la massimizzazione del profitto. E che se proprio si parla di dignità del lavoro, del rispetto dei lavoratori, della meritocrazia, ecc., si tratta solo di lip service, di belle parole estranee ai fatti e alle intenzioni e funzionali solo ad abbattere i costi e aumentare i profitti. E che il lavoro è diventato una merce su cui far la cresta, speculare, comprare all'ingrosso infischiandosene della qualità se non quando l'eccessivamente scarsa qualità produce minor profitto. E che per il singolo la capacità di saper contrattare, più il lusso di poter rifiutare un lavoro non conveniente, assommano normalmente ad almeno parecchie migliaia di euro l'anno di differenza. E che la ritrosia dei lavoratori dipendenti italiani nel parlare del proprio stipendio, degli stipendi tipici di un'azienda, finisce per farti scoprire (quando non puoi più contrattare) che l'inamovibile segretaria nullafacente guadagna più di te che sei personale "fatturante".

Ma c'è anche il fatto che all'italiano medio piace svegliarsi al mattino e «trovare tutto già pensato». E che l'Italia è zeppa di aziende virtualmente già fallite o costitutivamente già fallite. E che nel nostro Paese cresce solo la voglia di trovar lavoro a bassa specializzazione, mentre diminuisce l'offerta (quando ad esempio presenteranno la badante-robot avverrà un finimondo). E che qui il mercato del lavoro è sostanzialmente schiavismo.

L'aggeggio in questione è finito in garage a prender polvere. Gran soddisfazione l'averlo realizzato, gran delusione l'averlo presentato. Certo, in Cina ne fanno uno simile con più funzioni e minor costo ma funziona solo se connesso a internet, non è personalizzabile, e comunica ai cinesi in tempo reale tutto ciò che fai.[2]


1) Non è che all'improvviso una generazione di giovani si è svegliata al mattino e ha deciso di campare alla giornata a spese di mammà. Se la scuola è un macello, se in ogni ambito vengono premiati i raccomandati, se chi guida è non solo incapace di notare le tue qualità tecniche ma anche incapace di guardare al futuro più lontano di cinque minuti, non è che al giovane magicamente spunta la voglia di darsi da fare in proprio. Spunta invece la voglia di scappar lontano, o di campare a spese di mammà.

2) Un progetto del genere andava visto come "sartoria su misura". L'imprenditore lo pretendeva ad un prezzo da "grossista cinese dell'abbigliamento". La pressione fiscale in Italia è indicibile, ma non è la pressione fiscale a rendere miopi (e allergici al rischio imprenditoriale) gli imprenditori. Abbiamo intere generazioni che non hanno più idea della dignità del lavoro.

venerdì 8 novembre 2019

Il bombardamento in arrivo

L'indiscutibile segnale che la crisi dell'Italia è cominciata davvero (altro che "febbre turca") me lo diede quell'asta di BOT da 600 milioni andata deserta un annetto fa. 600 milioni sono briciole anche per un nanetto qualsiasi dei "mercati" (e persino per le banche italiane, anch'esse non interessate all'asta). Tra i mercati, uno degli dèi dell'olimpo moderno, dev'essere girata consistentemente voce che non conviene prestare all'Italia neppure 600 milioni. Cioè che il bersaglio concertato è un altro saccheggio dell'Italia, di fronte al quale la svendita sul Britannia del '92 fu una bazzecola.

Il Vangelo contiene in sé la più grande lezione di economia di tutti i tempi: "i poveri li avrete sempre con voi".[1] Cioè non solo l'economia non sconfiggerà mai la povertà, ma il passare dalla povertà ad un minimo di agiatezza è un'impresa titanica per il singolo come per il popolo (persino il diritto romano proibiva la "schiavitù per debiti", lezione dimenticata[2] da troppo tempo). Una volta impoveriti, non se ne esce più: diverse generazioni future di greci, per esempio, continueranno a pagare e a inveire contro ignoti.

L'impoverimento dell'Italia è enormemente facilitato dal penoso stato di questo popolo: aziende "statali" significa aziende sprecone, aziende "privatizzate" significa che penseranno solo a massimizzare profitti (anziché fare manutenzione e investimenti), e gli asset strategici (energia elettrica, acqua, ferrovie, telefonia, autostrade…), una volta "privatizzati", non hanno prodotto né posti di lavoro, né risparmio, né qualità.[3] A noi povero popolino bue vengono invece proposte battaglie riguardanti omosessualismo, aborto, vaccini (altra industria bramosa di far grandi ricavi), tutto, purché non si parli troppo del mezzo milione di immigrati incompetenti che entrano e dei 250mila giovani italiani competenti che emigrano all'estero.[4] È un popolo in via di estinzione,[5] e come tale va spolpato per bene prima che attiri l'attenzione di altri. Le crisi politiche fanno solo da noioso scenario sullo sfondo.[6]

Le conseguenze della crisi in corso - che a noi comuni mortali sembreranno "inevitabili" solo perché ce lo dice il telegiornale - sono facilmente prevedibili: il saccheggio dei rimanenti "gioielli di famiglia" (magari opportunamente ri-nazionalizzati all'uopo) continuerà,[7] e se in passato desideravamo farci governare dallo straniero ora ci siamo piegati a farci saccheggiare dallo straniero (diventando di fatto un popolo "schiavo per debiti").[8]

I poveri li avremo sempre con noi perché è facile impoverirsi ma è assolutamente arduo risalire una brutta china. Ma questo agli speculatori non interessa. Quando vedono una percentuale che comincia con il segno più,[9] vi si tuffano come squali desiderosi di terminare un lungo digiuno.[10]

Lo Stato, che in teoria doveva servire il bene comune, in pratica non c'è. L'ultimo vago statista che abbiamo avuto è stato fortunato a finire i suoi giorni in esilio in Tunisia. Chiunque si presenti con un programma che non sia aria fritta attrae un'isteria collettiva di odio (e vien da ridere amaramente a certe omelie della CdO), perché chi ha dimenticato il concetto di bene comune, non può non vedere - a seconda dei casi - lo Stato come vacca da mungere o come ostacolo al proprio tornaconto.[11]


1) Tempo fa ho scandalizzato e fatto infuriare qualche stupido prete facendogli notare che la "finanza" è per definizione pura speculazione e che l'estrarre guadagni non dal lavoro ma dalla speculazione è immorale. Ma pazienza. Nei seminari, se tutto va bene, insegnano a discettare del pelo del leone, mica a riconoscere il leone intero.
2) Secondo le leggi USA il debito studentesco non può essere soggetto a bancarotta. Quella bolla sta per esplodere. La timida proposta di azzerare il debito creerebbe un pericolosissimo precedente, oltre che tensioni sociali fra diplomati "pagati" e diplomati "graziati", senza contare il fatto che anche da quelle parti certi titoloni di studio (come i ridicoli Women Studies) non servono ad altro che a far autoalimentare un circlejerk ideologico e parassita. Miracoli del capitalismo terminale.
3) Dal ponte Morandi ai miseri trucchetti delle compagnie telefoniche è tutto uno show di italiche furbate.
4) Qualcuno ha calcolato in centinaia di migliaia di euro di mancati introiti per lo Stato la fuga di un singolo "cervello". È solo un conteggio di pochi decenni di mancato gettito IRPEF, che non tiene conto del valore aggiunto che tale "cervello" darebbe al mercato interno italiano, senza considerare l'incidenza del costo sostenuto dallo Stato in termini di scuola e università.
6) Non sarà la politica a "salvare" l'Italia, o almeno, non la politica di cui ci parlano i media e -ahinoi!- i capetti del movimento.
7) La sorte dell'ILVA era facilmente prevedibile: uno Stato che ha come strategia il "salvare i posti di lavoro" finisce ultimamente per non salvarli. Uno Stato che avesse avuto come strategia il garantire alle industrie del paese tot tonnellate di acciaio l'anno, avrebbe non solo "salvato i posti" ma indirettamente "aggiunto altri posti", perché nessuno è così cretino da voler mettere su un'impresa solo allo scopo di "salvare posti di lavoro".
8) La Fiat, passata prima alla Chrysler e quindi ora alla PSA-Peugeot, è stata per intere generazioni un pozzo senza fondo per finanziamenti intesi a "salvare i posti di lavoro".
9) L'Islanda - uno Stato popolato meno che la città di Venezia - per qualche segnetto più fu trascinata nel caos bancario e sull'orlo dell'abisso. Quel popolo è rimasto in piedi solo perché non è suicida come il nostro.
10) La morale di un'azienda è massimizzare i profitti, e se tale massimizzazione si ottiene per esempio con pubblicità ingannevoli anche al netto di pagamenti di sonore multe allora lo fanno senza scrupolo. L'azienda non si pone il problema di garantire uno stipendio ai lavoratori - bisogna essere dei "cattolici retrogradi" per avere un simile scrupolo - ma solo di abbattere i costi e di aumentare i profitti. E gli stipendi sono nella categoria "costi".
11) Quando gli Alleati bombardavano Berlino, non è che un anti-nazista potesse uscir fuori e gridare: "ehi, io sono sempre stato contro Hitler". Le bombe cadevano anche su di lui. Esserci opposti per tutta una vita a certi andazzi - religiosi, politici, economici… - non modererà significativamente le conseguenze sempre più gravi che intravede all'orizzonte chiunque non abbia sbarrato bene gli occhi. Il "bombardamento" in arrivo, anche dal lato economico, è inevitabile (motivo per cui occorrerebbe piuttosto prepararsi ad assorbirne a lungo termine l'impatto, per quanto possibile).









mercoledì 6 novembre 2019

Posso, dunque voglio - anche la bomba atomica

E quindi capitò la notizia di quel paesetto sperduto dove il distributore automatico di simulacri sessuali registrava il tutto esaurito dopo ogni notte. Non avevo tempo per vagliare i pro e i contro di tutte le possibili strategie per sfuggire all'imbarazzante discussione davanti a anime innocenti che non meritavano quella pubblicità virale. La prima idea che mi è venuta in mente è stata di accusare un leggero malore per distogliere l'attenzione, per poi -parte recitando, parte raccontando- rivelare qualcosa di me (che avevo sempre taciuto), allo scopo di tenere abbastanza a lungo spostata altrove la sua attenzione. Presto o tardi capita a tutti i pescatori di dover tappare una falla solo gettando il prezioso pescato del giorno: pazienza.[1]

Il meccanismo perverso più in voga nell'epoca moderna è il "si può, dunque si deve". L'affievolirsi della morale, consistito anzitutto nell'affievolirsi della capacità critica, dell'intelligenza critica, della capacità di guardare la realtà "criticamente" (cioè secondo tutti i suoi fattori) è ben riassunto nel modo di dire: "quando hai un martello, tutto sembra chiodo". Che si tratti di sesso, di droga, o di qualsiasi cosa riconducibile ai peggiori istinti umani, il solo fare il nome di una possibilità scatena un meccanismo irrefrenabile di curiosità (cioè di sottinteso desiderio) che può durare anche decenni. Cioè, in fin dei conti, fare il nome di qualcosa di cattivo significa evocarlo.

Il colpire ripetutamente civili inermi con una bomba atomica e l'ubriacarsi solo perché in frigo ci sono abbastanza bottiglie, sono azioni che hanno in comune lo stesso padre: "io sono in grado di farlo: dunque lo faccio". È quel sentirsi "in grado" a facilitare la messa da parte di senso morale, intelligenza, buon senso, e di aprire la strada al corto circuito tra l'accorgersi di potere e il volerlo fare a tutti i costi: "chi sei tu per vietarmelo? in questo momento ho deciso che lo ritengo necessario, sono in grado di farlo, dunque lo faccio". E se tenti anche minimamente di ragionare, "tu vuoi limitare la mia libertà, tu mi giudichi, tu non capisci cosa ho in cuore, sei il solito bacchettone". Per le birre come per l'atomica.

Una enorme percentuale di mali viene evitata dall'ignoranza. Il semplice non sapere che accanto alla mano c'è un martello è spesso più che sufficiente a non scatenare le tempeste del "tutto sembra chiodo".[2] Il non conoscere l'esistenza di certe grandi perversioni, evita materialmente a tantissime persone di compierle.[3] Paradossalmente, nel momento in cui scrupoli e morale scompaiono assieme all'intelligenza e alla memoria, ci tocca benedire l'ignoranza selettiva e addirittura coltivarla (è un paradosso solo perché abbiamo già dimenticato la lezione della Genesi: "conoscere il male" significa in fin dei conti averlo compiuto ed essersi posti nella condizione di poter continuare a compierlo).[4]


1) In quel momento non vedevo altra scelta; a distanza di qualche settimana sono ancora convinto che tutto sommato sia stato il modo migliore per salvare la situazione, anche se non posso essere certo che quella notizia pruriginosa, in mia assenza, non sia transitata di nuovo all'attenzione di quelle deboli anime che col mio strano comportamento ho inteso proteggere.

2) In genere è un processo piuttosto lungo. Dall'evocazione all'accarezzare l'idea, e fino al compiere una determinata malvagità, potrebbero passare anche parecchi decenni (motivo per cui già nel Salmo si domanda umilmente: "assolvimi Signore dalle colpe che non vedo" - non le vedo perché sono in fase di gestazione in qualche scomparto della mia testa, non sono ancora del tutto cosciente di aver cominciato a gironzolare attorno a certe idee, è una china ancora non sufficientemente ripida da destarmi allarme nella coscienza).

3) La rivoluzione pornografica accelerata dall'internet è stata talmente veloce che è ancor oggi sottovalutata.

4) Aveva dunque senso la "damnatio memoriae": il male non ha bisogno di pubblicità, non ha bisogno di essere conservato, non ha bisogno di essere studiato e compulsato da autori che prima o poi finiscono per provare un'invincibile simpatia per il male. Come quel ridicolo gesuita che a furia di respirare l'aria polverosa della propria biblioteca, nel corso degli anni aveva finito per infatuarsi un eretico del V secolo che, a suo dire, andava assolutamente "riscoperto" e "rivalutato". Ecco, ora cominci a provar curiosità anche tu per questo innominato eretico, conoscerne il nome, sapere cosa andò proclamando. È così che funziona l'evocazione.

venerdì 1 novembre 2019

L'Ohio lagga...

È urgente insegnare a tutti, fin dalla più tenera età, cosa sono gli ordini di grandezza. Far capire anche ai bambini il prima possibile quale differenza c'è tra milione e miliardo. Magari facendo leva sull'astronomia, per rendere interessanti le lezioni. Bisognerebbe farlo in tutte le scuole, all'inizio di ogni anno scolastico, fino alla nausea. Non se ne può più di analfabeti funzionali modello Fontamara pronti a sottoscrivere la divisione del torrente in "tre quarti a me, e gli altri tre quarti a te".[1]

Mi si presenta dunque questo ragazzino che straparla dei twitcher di Fortnite che guadagnano "milioni" (sottinteso: "oh, mi aiuteresti a guadagnare? io videogioco a tutte le ore!"). Poi mi dice delle centinaia di milioni di giocatori a Fortnite e, entusiasta ed emozionato, spiega che lui è uno di tali privilegiati, aggiungendo poi il prevedibile fervorino sul quattordicenne che ha guadagnato Centinaia di Milioni vincendo il Campionato di Fortnite.[2] Non so che tipo di risposta si aspettasse ma ho avuto l'impressione che desiderava ardentemente un timbro di approvazione. Questo genere di impressioni mi trasforma istantaneamente in una specie di Hulk.

Anzitutto gli ho detto che tra un paio d'anni lui avrebbe parlato di Fortnite come una robaccia vecchia che non usa più nessuno. Gli ho ricordato che quando c'è stato il boom del Pokemon Go lui obbligava spesso sua madre a guidare attraverso stradine secondarie per catturare i bonus rari, e che ora non solo giudica una robaccia vecchia, ma non ha di che farsene di quei premi virtuali tanto faticosamente raccolti.[3]

Quindi gli ho fatto notare che gli streamer milionari si contano sulla punta delle dita. E che se la sua carriera di streamer dovesse iniziare, dovrebbe ricordare che l'un per cento di chi segue vede le pubblicità, e l'un per cento di tale un per cento eventualmente clicca, guadagnandogli qualche centesimo, e per arrivare a una cifra con almeno un paio di zeri prima della virgola occorre raggiungere un numero pazzesco di fedelissimi seguaci. Che poi è esattamente il motivo per cui gli streamer arricchiti sono così pochi e ben conosciuti.

Poi, con quale speranza di far successo? Una linea internet sgangherata, un PC gaming costruito coi buoni sconto, una cameretta che è tutt'altro che un set televisivo… Forse comincia a capire, forse mi dà anche un po' ragione, e soggiunge: "per esempio quel server dell'Ohio lagga parecchio".

Lo guardo come se avesse una molotov accesa in mano. "Lagga"? Ma lo sai dov'è l'Ohio? Sono ventimila chilometri![4] I pacchetti viaggiano su fibra a un terzo di "c": significa che hai un ping che non può andare al di sotto di duecento![5] Infine alza bandiera bianca - cioè è pronto alla fuga - dicendo che dopotutto il wifi di casa sua è buono… "Wifi?!", lo interrompo sdegnato, sputando fuori qualche concetto sul "reimpacchettamento" dei dati da etere a cavo e che dovrebbe attaccare La Plei col cavo direttamente al Ruter e sperare che mentre gioca nessuno in casa stia navigando, giocando, o girando per Youtube. Fuga per la vittoria ensues very hard.

Anni fa sui giornali si discettava ampollosamente di "nativi digitali", bambini cresciuti a merendine e internet, illudendosi della grande rivoluzione sociale in atto. La rivoluzione è avvenuta al contrario: sono convinti che il Uài Fài sia un diritto universalmente garantito, che l'internet consista nel Ghèming e nei social, che non ci sia praticamente differenza di latenze tra "fili" e "senza fili" (e che da qui a Milano sia lo stesso che da qui all'Ohio), che le infrastrutture facciano parte della natura e crescano automaticamente di uno o due zeri non appena esce qualche Gioco Nuovo (anch'esso prodotto automatico della natura). Sono quelli che poi all'università impareranno a loro spese che studiare quattrocento pagine costa almeno il doppio che studiarne duecento, che prenderanno l'aereo Milano-Roma credendo di ridurre la durata del viaggio quando sia in partenza che all'arrivo avevano comunque bisogno di spostarsi con le metropolitane, che comprando un computer spenderanno il triplo per avere un venti per cento di potenza in più, che pretenderanno il gaming 8k 240Hz senza accorgersi che all'occhio[6] non lo distinguono dal Full HD 60Hz,[7] e che anche dopo la laurea si lamenteranno della lentezza della connessione internet senza capire che in una bottiglia da un litro di vino non ci si possono infilare trenta litri di whisky, anche se la pubblicità dice il contrario.[8]

L'ordine di grandezza è un concetto talmente fondamentale che andrebbe insegnato a scuola ogni anno.[9]


1) A conoscere gli ordini di grandezza, non ci si allarmerebbe di fronte a notizie catastrofiche che cominciano parlando di una probabilità di un evento. Magari imprecisata.

2) "Capisci? Uno si diverte con Fortnite e diventa miliardario!" Sic.

3) Resto sconcertato al ricordare che sua madre mi mostrò tutta orgogliosa il livello da lei raggiunto su un videogiochino del cellulare, livello millecentoottantaquattro, segno di un allucinante numero di ore passate a strisciarne il touchscreen, e di un preoccupante accumulo di stress nelle pupille.

4) In realtà circa 7500, ma "ventimila" era per dire "dall'altra parte del mondo", e dato che il diametro all'equatore è poco più di quarantamila chilometri….

5) Da intendersi: i tuoi pacchetti dati, transitando nei cavi oceanici a un terzo della velocità della luce, cioè a 100mila km/s per 20mila km, impiegano almeno 200 millisecondi per raggiungere il server del gioco, senza contare i packet switching negli apparati e altri rallentamenti, dando cioè una considerevole frazione di secondo di vantaggio ai giocatori americani. Tolti gli arrotondamenti intesi ad impressionare il ragazzo (un valore più realistico è due terzi di c), lo svantaggio teorico - quello reale è comunque più alto - si riduce a diverse decine di millisecondi, un tempo comunque superiore alla persistenza delle immagini sulla retina. I ragazzini credono che la magia di internet consenta di giocare con l'Ohio come se fosse col vicino di casa.

6) Il corpo umano ha dei limiti fisici, e lo sanno bene i costruttori di armi, di veicoli, di attrezzature mediche, ecc. Sembrano invece non saperlo gli uffici del marketing dei videogiochi, dei cellulari, ecc.

7) Ma tanto l'importante non è l'efficacia, non è il risultato tecnico, ma solo il potersene vantare.

8) Se 500 clienti hanno una linea da 1 Mega, ci vorranno "500 mega" di backbone per servirli tutti senza rallentare nessuno. Il fornitore del servizio ce l'ha una rete di trasporto capace di "500 mega" connessa a tutti gli endpoint? No: costerebbe troppo (come nel caso di "milioni" di clienti con "centinaia di mega" ciascuno…) o in alcuni casi sarebbe semplicemente irrealizzabile. Ora, immaginate il classico soggetto Lavoro Spendo Pago Pretendo che fa una lunga sfuriata sul fatto che i "mega" promessi dal suo abbonamento si vedono assai di rado. Sapeva cos'è un'ordine di grandezza? Sapeva la differenza fra tera, giga, e mega? Allora era in grado di capire quanto fosse stata ingannevole la pubblicità che lo aveva convinto.

9) Mentre scrivo queste righe il debito pubblico italiano è di più di 39.000 euro a persona, inclusi i bambini nati oggi e coloro che fra qualche minuto spireranno. Ma è tabù parlarne, perché sono soldi che dovremo pagare di tasse per servizi statali di cui abbiamo teoricamente già usufruito (e di cui teoricamente era grandissima la qualità, dato quanto sono costati). Qualcuno potrebbe notare quanti zeri ci sono dopo quel "39".

sabato 26 ottobre 2019

Potrei scriverci un libro, sulle quarantenni

Attempate ultraquarantenni il sabato sera vanno alla disco e nel rientrare alle quattro e mezza del mattino si accorgono magari di aver pure smarrito le chiavi di casa. La notizia mi ha colpito prima perché per me disco è solo quello del computer (ci ho messo qualche momento prima di ricordare che avesse un altro significato), e poi perché ancor oggi non riesco a capire la stranezza del radunarsi nei luoghi appositamente creati per spennare soggetti che tentano maldestramente di non notare la propria solitudine e la propria insignificanza.[1] Siamo passati dall'epoca in cui si temevano la solitudine, la noia, la tristezza, la malinconia, all'epoca in cui si tentano di gestire (con risultati inevitabilmente peggiori).

Nel caso di queste mie conoscenti, viene da riflettere su come siamo passati dall'epoca in cui si diventava nonna prima dei quarant'anni[2] all'epoca in cui dopo una vita poco gloriosamente "avventurosa" perfino per gli standard televisivi di serie B,[3] si comincia a temere l'ultimo rintocco del così detto orologio biologico, cioè l'imminenza della naturale cessazione della capacità di procreare: comincia a far capolino la fretta di "fare un figlio" (attorno ai 40 anni), cioè poter vantare sui social di aver "fatto" almeno una cosa concreta nel termine della parte più ricca della propria vita.

Poi magari ti dicono che quella delle chiavi smarrite non è la solita facilona, no, lei sa tenere a bada i maschietti a caccia delle solite cose (e che disperatamente tentano di farsi notare cliccando Mi Piace su ogni stupidaggine dei suoi show su Instagram/Facebook), lei sa gestirsi il proprio sabato sera: una volta ha fatto una gita (solitaria) in un paesetto ameno sul mare a duecento chilometri di distanza,[4] un'altra volta ha guardato un film francese del 2001, un'altra volta è andata in parrocchia per l'incontro catechetico con annesso momento di agape[5] (altrimenti non ci sarebbe andato nessuno)… Come se la vita fosse solo quella fuori del proprio orario di lavoro, e il momento culminante fosse il sacro Sabato Sera.

Un'attempata bionda, in treno, al telefonino dava consigli ad un'amica o parente: "se ti piace farlo allora non te ne devi vergognare". Lo diceva quasi a bassa voce, come se provasse vergogna a dirlo. Ma se è vergognoso allora perché consigliarlo?[6]

Un'altra attempata bionda, sempre over 40, con occhiali da sole anche al coperto (per non far notare zampe di gallina e occhiaie), abitino attillato e marito panciuto al fianco, mi introduceva al set dove di lì a poco ci sarebbe stato il Servizio Fotografico. Oggetto del sontuoso Servizio era una magrissima signorina in costume da bagno, debitamente dipinta ("si dice truccata!") di giallo e rosa dal collo in giù, alla quale non avrei dato più di tredici o quattordici anni ("macché bambina! è maggiorenne!") che si metteva in posa con uno sguardo torvo e sprezzante ("è perché ci sa fare!"). Uno stuolo di fotografi - tali solo per aver bruciato tre/quattromila euro per fotocamera e ottiche - si affannava a scattare senza sosta. L'occhialuta sorride con malizia e mi dice: "volete rimanere? tra poco a porte chiuse c'è la lingerie". Mi sento un po' un alieno che fatica a capire queste terrestri, così combattive contro la mercificazione della donna, così pungenti e fiscali contro gli sguardi dei mariti, e che però in occasioni a loro modo religiose come quel Servizio sono pronte a mettere da parte la morale e il buonsenso.

Ed un'altra attempata signora, ugualmente over 40, anche lei autotitolatasi fotografa, scattava foto alla "maggiorenne" discinta: "ora una posa più sècsi, su!" Ha fretta di incamerare qualche centinaio di pose risqué[7] da portare al suo capo, che avrà sempre e comunque da ridire. "Ma tanto se non lo faccio io, lo farà qualcun altro", si sarà detta qualche volta tra sé e sé per giustificarsi. Il capo del giornalucolo locale ti manda alla fiera dell'elettronica "ma c'è anche un set con una modella in lingerie, e i lettori…" Sottinteso: i lettori vogliono vedere un po' di prosciutti umani, non portarmi solo foto di gente annoiata in mezzo a chincaglierie cinesi.


1) Ci sarebbe anche la componente del "trasgredire", andata scemando drasticamente perché il nuovo perbenismo in vigore consente in pubblico e sui social ciò che un paio di generazioni fa era possibile solo nella disco. Per essere trasgressivi, per sfidare il mondo e suscitare riprovazione, bisogna farsi beffe del perbenismo in voga oggi, bisogna gettare nel Tevere gli intoccabili totem di oggi. Non a caso le disco storiche vanno chiudendo una a una per mancanza di mercato.

2) Una società più povera della nostra, appena uscita da una inutile guerra, ai tempi in cui si dormiva anche su sedie accostate e si viveva in quattro in un monolocale di venti metri quadrati, aveva molta più speranza nel "futuro", nessuno spavento di fronte al termine "famiglia numerosa", e una assai minor pressione burocratica/fiscale. Bonus aggiuntivo: vedere i figli dei propri figli mentre si era ancora nel pieno delle proprie forze dava ulteriore speranza.

3) Il picco è tuttora il sacro Erasmus, che stando alle lamentele più comuni è il luogo dove gli innamoramenti in corso terminano, e la donzella partita modesta ritorna troiona d'avanzata carriera. Ma è sempre stato noto che il fare esperienze all'estero per un'adolescente (anche solo mentalmente tale) è sinonimo di assaggiare la libertà (in senso libertino).

4) Dopo aver manifestato per una vita intera l'odio per la solitudine, vanno a fare una vacanzina ufficialmente di "solitudine", e guai a te se traduci in italiano quei chiari sottintesi che tentano insistentemente di trasmettere. Un neo-moralismo idiota e cervellotico.

5) Nella Chiesa post-conciliare scarseggiano le vocazioni perché i chiamati al sacerdozio sono più numerosi dei chiamati all'animazione turistica, per cui nelle parrocchie trasformate in luogo di intrattenimento (dove ti adescano con l'agape per poi infliggerti una sciapa predica sulla pace e sull'accoglienza) ovviamente i preti scarseggiano e sono sempre più insipidi.

6) Fra troione ci si giustifica volentieri a vicenda: è un meccanismo "educativo", a suo modo, verso l'irresponsabilità così tanto promossa dai media. Una scena del genere è possibile solo tra donne. Quand'anche tra uomini ci si parla con complicità, interviene sempre istintivamente quel senso di cameratismo che ti mette in guardia, anche se sotto forma di goliardata compiacente. Quella stessa espressione "se ti piace farlo…", se pronunciata tra uomini, a causa del naturale cameratismo suonerebbe come un lavarsene le mani, cioè come un atto d'accusa.

7) Quando ti rifilano continuamente paroloni stranieri significa che la traduzione in italiano rende troppo bene l'idea.

domenica 20 ottobre 2019

Salmista in salmì

Forse il massimo segno della crisi della Chiesa è quell'aver ridotto la liturgia ad una recita da palcoscenico (in cui peraltro non si ha alcuna voglia di seguire il "copione", cioè i libri liturgici).

Un tale mi si avvicina e con un sorriso idiota mi chiede: «vuoi fare il salmista?»

In quel momento corrono nella mia mente le immagini dei salami, del coniglio in salmì e di altri salumi e salamelecchi. Poi, d'un tratto, il mio intuito brucia tutte le scorte di caffeina rimaste nell'organismo e così, con la faccia più onesta possibile e sommamente sforzandomi di non ridere né proferire turpiloquio, retoricamente gli chiedo: «ehm… cosa?»

Il suo sorrisetto si fa ancora più idiota: «il salmista! oppure la preghiera dei fedeli! ognuno deve fare qualcosa, su!»

Devo aver assunto una faccia da pesce lesso ma per mia somma fortuna uno degli autoimpegnati più volenterosi della parrocchia emerge dal nulla e, più lesto di un vigile urbano che vede la tua auto in quarta fila, grida: «faccio io il salmista!» I due cominciano a battibeccare quel tanto che basta da dileguarmi come un'anguilla accortasi di essere in ritardo.

Partecipare alla Messa è diventata un'arte complessa. La liturgia cattolica, sublime e maestosa, si è quasi ovunque trasformata in un cerimoniale autogestito da buontemponi, con una fittissima selva di regole non scritte.

Ma… cos'è in realtà la liturgia? e perché si è ridotta a questo punto?

Ad entrambe le domande si può rispondere con le parole di Gesù stesso: «fate questo in memoria di Me».

Gesù ha detto queste cose ai suoi apostoli. Ha dato loro non solo l'esclusiva del "fare questo" (munus sacerdotale) ma ha implicitamente garantito che non serve una platea di spettatori-protagonisti. Infatti la Messa è ugualmente valida sia che il sacerdote la celebri con il popolo, sia da solo, sia concelebrando senza popolo, sia col popolo.

Quindi il problema di "cosa far fare al popolo per far riuscire meglio la Messa" è fondato su un equivoco, su un'invenzione di qualche ignorante annoiato. Hanno confuso la "partecipazione" («far parte di») con il "partecipare" («prendere parte a»), cioè hanno confuso l'unirsi spiritualmente al Sacrificio dell'altare… con il fare qualcosa.

Il Messale non è altro che una lista di istruzioni, la descrizione della best practice per fare «questo in memoria di Me». È un librone voluminoso, perché ci sono anche cose facoltative, cose consigliate, cose alternative: non è un software. Ma per qualche misterioso motivo, i preti oggi evitano di seguirlo, prendendosi molta più "libertà" della tanta che già ne concede.

Sembra insomma che i sacerdoti abbiano dimenticato la semplicità del «fate questo» per convincersi che la Messa sia una messinscena, uno spettacolino televisivo, come quei quiz a premi che prevedono la "partecipazione" del pubblico in sala: non a caso, le festicciole parrocchiali prevedono l'imbarazzante obbligo di essere "tutti protagonisti", come se l'urgenza fosse di massimizzare la quantità di parole pronunciate, come se la riuscita fosse proporzionale alla frenesia e alle rumorose risate, come se il successo fosse misurabile col numero di persone che si sono scatenate. Come se l'entusiasmo e l'allegria fossero "partecipazione", come se fossero programmabili.



domenica 25 agosto 2019

Il nipotino si annoia

Ricordo le davvero rare occasioni in cui da bambino mi sono annoiato. Per cui per me è peggio di una pugnalata alle spalle dover assistere alla scena di un dodicenne annoiato che non sa far altro che passare le giornate tra cellulare e Playstation, passando dal primo alla seconda non appena la batteria del primo, massacrata da ore intere di gioco, va sotto la fatidica soglia del diecipercento.

Entrambi gli aggeggi lo hanno rifornito di tutto l'armamentario di volgarità, perversioni e bestemmioni che il sottoscritto alla sua età considerava peggio che impensabili (e dire che in quegli stessi anni mi sono considerato comunque un selvaggio e ribelle). Preziosi anni della sua vita sprecati senza imparare altro che i latrati dei par suoi, col bonus aggiuntivo che in nome del neo-montessorismo può comportarsi da piccolo delinquente arrogante ricevendo premi anziché sganassoni educativi.

Di fronte a questi soggetti mi sembra di provenire dall'epoca di Neanderthal. A suo tempo, in certe occasioni, le ho prese. Era un'epoca (così vicina, così lontana) in cui un bambino si poteva ancora raddrizzare con un misto di mazzate e di sarcasmi. Il sullodato ragazzino, oggi, se le prendesse di santa ragione non appena le merita, non capirebbe, non capirebbe perché sarebbe la prima volta che le prende, penserebbe che è qualcosa di inaudito e che passata la tempesta potrà tornare a comportarsi peggio di prima.

La tragica sfortuna (chiamiamola così) di quest'epoca è la scomparsa dell'educazione, delegata a soggetti esterni (l'ambiente scolastico, la parrocchia, il branco, i videogiochi o altra attività per tenerlo occupato)... che è sintesi della scomparsa di un popolo.

mercoledì 21 agosto 2019

Investire su se stessi

Nonostante le magre risorse economiche ho spesso comprato oggetti perché stuzzicavano la mia creatività. Come quella tavoletta grafica tanti anni fa. Mi costò un capitale ma la sua sola presenza sulla mia scrivania mi invitava a disegnare. Ho disegnato. Migliorando negli anni. E imparato a editare foto. Avere un violino in casa non comporta automaticamente che tuo figlio diventi violinista. Ma è molto improbabile diventare violinisti se non hai vissuto l'infanzia con un violino in casa.

Un amico mi chiama dopo molto tempo per un consiglio. Sua figlia, a cui piace disegnare, ha chiesto una tavoletta grafica. E l'esperto, a suo dire, sarei io. Dopo un primissimo scambio di battute deduco che ha solo fretta di comprare la più economica possibile e considerare chiusa la questione. Non c'è nemmeno tempo per chiedergli se la ragazzina vuole un giocattolo in più da esibire sulla scrivania o se ha intenzioni più serie. Fra sessanta euro e ottocento euro, non c'è voluto molto a scegliere. Se proprio vuoi diventare violinista, devi prima mostrare gran talento con un mini violino di plastica (sempreché i tuoi lungimiranti genitori te l'abbiano davvero comperato).

Sarà che vengo da una terra di poveracci dove persino i formalmente ricchi erano incapaci di investire. I miei compagni di scuola avevano il ciclomotore e i videogiochi, ma solo perché i loro genitori percepivano il primo come status symbol e i secondi come spesa necessaria a quietare il lardoso pargolo. Sarebbe stata una storia assai più interessante, la loro, se anziché il ciclomotore e la stanza per i giochi avessero avuto a disposizione una piccola officina con una collezione di DeWalt, Makita e Black&Decker.

Intanto i poveracci, anche quando potevano permettersi qualche spesuccia non banale, consideravano uno spreco investire su sé stessi e sui propri figli.[1] Ogni centesimo non investito ma messo da parte viene considerato una vittoria. Del resto erano gli stessi che alla notizia dei pessimi voti a scuola, con un sospiro di rassegnazione chiedevano quanto costasse un doposcuola economico.[2] E quei figli di conseguenza crescevano illudendosi che investire su sé stessi consisteva nel videogioco all'ultima moda, nella Vespa, o in ogni altra idiozia che faccia colpo sui decerebrati che frequentavano la stessa scuola.[3] Sono certo di averlo compreso ancor prima di incontrare il movimento, ma fu solo frequentando gli amici del movimento che capii cosa significava davvero investire su sé stessi, che si tratti di una buona giacca, di una tavoletta grafica, di un'abbondante quantità di libri, della partecipazione agli esercizi e al Meeting...

Sono i ferri che fanno il mastro: se all'epoca avessi deciso di risparmiare quei duecento e rotti euro per la mia tavoletta grafica, non avrei sviluppato la capacità di disegnare che non ero certo di avere. Non puoi emergere dalla povertà se non puoi comprare ferri, o peggio se credi che il comprarli sia una spesa troppo rischiosa. Il povero resta tale per una combinazione velenosa di ristrettezza mentale e ristrettezza economica. La paura di fare un investimento sbagliato ("e se le compro il violino e poi si stufa di impararlo?") scende fino alle piccole cose. I nonni non avevano mai assaggiato il taleggio in vita loro perché "se poi non piace, significa che abbiamo buttato tre euro". Grazie a me ora conoscono decine di formaggi, dopo che per una vita intera si erano contentati di non più dei soliti tre o quattro. Grazie a me che ho incontrato il movimento. E vi ho visto gente investire su sé stessa. Più esattamente, prendere sul serio le proprie passioni.[4]


1) Mi dà ancor oggi una sensazione di disgusto il ricordare l'illusione dei miei di riuscire a mettere da parte abbastanza soldi per avviare l'acquisto di una casa, e l'illusione che l'unico vero investimento consisterebbe nel non spendere soldi "perché in futuro, sai, non si sa mai, se succede qualcosa bisogna essere pronti con abbastanza soldi..." (senza mai precisare quanto esattamente doveva essere quell'abbastanza da coprire ogni <i>ansia</i> presente e futura). Il risultato è consistito in una vita intera passata in affitto e l'inizio degli investimenti su me stesso coinciso col mio primo stipendio.

2) La riduzione dei figli a prodotto da esibire ad un'immaginaria platea di spettatori ha trasformato il doposcuola in una specie di multa ingiusta inflitta dall'autorità Scuola agli sfortunati che non potevano permettersi tale spesa.

3) Per affermare sé stessi - non appena si inizi a percepire l'assenza delle figure paterna e materna - i figli finiscono inevitabilmente per identificarsi col branco. Riesce a non farsi omologare dal branco solo chi ha avuto in dotazione abbastanza passioni e figure adulte da non dover cercare forsennatamente l'approvazione e le manovre anti-noia di un branco.

4) L'attuale e triste declino del movimento di Comunione e Liberazione nulla toglie a ciò che efficacemente trasmetteva fino a non troppi anni fa.

lunedì 19 agosto 2019

Distruggono i franchise che parlano della vocazione

Mi sorprende sempre come ogni grossa azienda prima o poi cominci a spararsi fucilate nelle proprie ginocchia. La Marvel non è da meno, imbottendo i film dei suoi supereroi di luoghi comuni di femminismo e sinistrismi vari, rendendo sempre più inguardabili tali film.[1]

Per fortuna c'è qualche appassionato che pone rimedio. Non è la prima volta. Così, dell'ultimo Avengers Endgame, è stata diffusa una De-feminized Fanedit (aka Anti-Cheese-Cut) da cui hanno tagliato via tutte le scene intese ad accattivare quella parte di pubblico femminile ideologizzata e stupida.[2] Il risultato è ottimo, con pochi percettibili glitch: un montaggio di appena 91 minuti inclusi i titoli di coda, di qualità paragonabile ai primi del Marvel Cinematic Universe, senza scene "cheese!" (termine fotografico per dire "sorridi!" davanti alla fotocamera), senza scene "il gruppo di femmine super-eroine che salva qualche super-eroe maschietto",[3] senza abbracci né scenette melense mid-fight... Sul serio: la prima beneficiaria di questo montaggio piratesco è la Marvel stessa (che pure aveva incassato fior di soldoni da pellicole ideologizzatissime fino alla stupidità, come Black Panther[4] e Captain Marvel).[5]

Il fascino dei fumetti di supereroi - durato parecchie decine di anni e ormai estinto[6] - era per gran parte dovuto a due inconfessabili esigenze del lettore: la percepita necessità di un Messia[7] e l'interesse sul tema della vocazione. Il mondo va a rotoli e quindi anche il sedicente agnostico/ateo[8] trova conforto in una storia di un supereroe che efficacemente affronta le ingiustizie che il potere (legislativo, esecutivo e giudiziario) non riesce a toccare (o peggio le alimenta). La vita è infame e quindi anche il sedicente agnostico/ateo trova sollievo in un supereroe che segue la propria vocazione (i grossi "superpoteri" che gli danno grosse "responsabilità") a costo di vivere nel nascondimento e di distaccarsi dai propri affetti.[9]

Se da un lato è impressionante la riuscita del MCU e del DCEU (che giustifica i ciclopici investimenti di risorse), non meno impressionante è il loro declino dimostrato anzitutto dalla sfacciataggine con cui vengono infilate a forza delle scemenze "politiche" come contentino per minoranze troppo chiassose. Me ne lamento perché non suona molto logico che in un ristorante di lusso ci si veda servire una torta con una bistecca sopra, e ancor meno una torta con una scarpa usata sopra, per quanto di gran marca sia la scarpa. Certo, lo spettatore intelligente e sveglio sorvola sulla forzatura e si permette anche di deriderla. Ma il popolino bue finisce per considerare che quelle sbobbe (diversità, femminismo, omosessualismo...) devono essere temi "importanti", più del tema della vocazione (che era il vero motivo del successo).


1) Un supereroe di colore, ci sta - era nei fumetti già a suo tempo. Super-tecnologico, ci sta, altrimenti le storie sarebbero state noiosi generici combattimenti contro noiosi generici nemici. Re di una nazione africana iper-tecnologica, ci può stare, per rendere misterioso il supereroe, per costruirgli attorno una nobile storia. Ma quando oltre a tutto questo vengono infilati nel film elementi insulsi intesi solo a far gasare lo spettatore negro più stupido e arrogante e lamentoso, oltre ogni ragionevole soglia di avidità commerciale, ti viene la nausea. "Popolare", infatti, non è sinonimo degli standard più bassi possibili.

2) A leggere certi forum americani vengono i brividi per il parossismo idiota con cui la terza ondata di femminismo promuove i propri dogmi. Ma il suo successo è dovuto solo all'essere utile idiota dei poteri che contano.

3) Che un film possa prendersi qualche libertà rispetto al romanzo o fumetto originale, ci sta. Ma che tali libertà siano a senso unico, già fa infuriare il fan pluridecennale. Se poi è una manovrina prettamente politica a favore di una minoranza tanto stupida quanto chiassosa, ancor peggio. Se infine gli artifici introdotti impoveriscono personaggi e trama anziché renderli "più interessanti" o almeno "diversi" (non in senso di diversity), allora veramente si meritano la distribuzione capillare dei De-feminized fanedit aka Anti-Cheese-Cut.

4) Capii che non valeva la pena andare a vedere Black Panther quando il primissimo trailer mostrò un grattacielo con tetto di paglia. Un pizzico di pseudoscienza serve talvolta a giustificare un deus ex machina e a riconnettere un paio di storyline divergenti, ma se serve solo come contentino per gente accecata dall'ideologia (quattro gatti, sebbene molto chiassosi), rovina tutto il film. Quanto a Capitan Marvel, occorre stendere un velo pietoso multistrato: uno spottone propagandistico per le isteriche femministe americane, una sorgente di meme e nient'altro.

5) I tanto vantati incassi sono probabilmente frutto di una gigantesca corsa ai ripari: valanghe di biglietti comprati dalla Marvel stessa per ingrossare un numero già artificialmente gonfiato di spettatori.

6) L'esistenza di nicchie di appassionati è cosa ben diversa dalla religiosa abitudine di andare in edicola a comprare l'ultimo numero e correre a casa per religiosamente leggerlo con cura e attenzione. Abitudine popolare, nel senso che c'era un popolo che riconosceva valida tale agenzia educativa. Anche il sedicente ateo trovava conforto in una rappresentazione di "Messia".

7) Che ovviamente Hollywood ha "umanizzato" a modo suo...

8) L'accanito, ossessivo e irrazionale rifiuto della fede, un vero e proprio dogmatismo, una convinzione religiosa calamitante facili sarcasmi ("l'ateo, se vede un grattacielo, pensa che è sempre esistito") ed ha creato dapprima un sottobosco di sedicenti atei e di sedicenti agnostici, caratterizzati unicamente dal profondo odio alla Chiesa Cattolica, quindi una minoranza fracassona al punto che talvolta pare quasi una maggioranza.

9) Il tema della morte dei parenti, magari dovuta al "crimine", al pari di quello del distacco dalle amicizie, è un comodo artificio narrativo per descrivere un concetto equivalente all'entrata in monastero.

domenica 18 agosto 2019

Lo zucchero per addolcire i telegiornali

C'era una volta il Meeting. È cominciato oggi un Meeting "nuovo corso" a cui ho ritenuto opportuno non andare. E c'erano una volta i "vescovi ciellini", la cui sola esistenza faceva infuriare sinistre, massoneria e clerical-progressisti. Oggi si sono adeguati al "nuovo corso". Per carità, nulla contro suonar concerti e giretti in autodromo, ma ai miei tempi, cioè sette o otto anni fa, dopo l'ordinazione e il rinfresco uno si ritirava in preghiera, non sul palcoscenico a costruirsi un'immagine dolce.

Chiedo notizie di un vecchio amico, e mi sento rispondere: "sì, ho conosciuto la sua compagna..." Era nei Memores. Chiedo notizie di un altro vecchio amico: "da quando si è sposato..." Lui e consorte erano nei Memores. Fammi indovinare, ha lasciato anche quella nostra amica che...? "Ah, quasi; ora non abita più nella casa (delle Memores)". Ai bei tempi (cioè sette o otto anni fa) uno intendeva donarsi a Cristo, non al Dialogo. Ai bei tempi uno entrava perché desiderava essere il sale della terra, non lo zucchero per i bollettini diocesani.

Magari è colpa del riscaldamento globale, chissà. Dopotutto, uscendo stamattina per andare a Messa, sento la vicina di casa che mentre fa le pulizie canticchia una cantilena: "Maledizione, maledizione, maledizione". O la nonna che scaccia le mosche con voce rabbiosa: "fanculo, fanculo, fanculo". Per strada cercavo di capire se entrambe stessero riflettendo sullo stato del movimento oggi.

lunedì 12 agosto 2019

La nonna e quei suoi: ''ma come?!''

La nonna si infuria perché un certo prodotto, che pagò tre euro nel 2015, ora le è costato cinque euro. All'epoca ero presente anch'io, e sopportai stoicamente la sua sfuriata in negozio: "ma come! quattro euro?", e riuscì a farselo scontare a tre. Così, quando stamattina siamo andati dopo tanto tempo nello stesso negozio per comprare la stessa cosa, ha cominciato a lamentarsi ("ma come! cinque euro?") per cui le ho ricordato l'episodio di quattro anni fa. Dopo sue supplementari insistenze per darmi a capire che non mi aveva proprio ascoltato ("ma com'è possibile! cinque euro?!") non ne ho potuto più e le ho fatto presente che il voler evitare di guardare la realtà non cambia la realtà. Che se hai un problema e lo traslochi comodamente nel cassetto delle cose da dimenticare, non è che il problema va via o almeno si ferma. Al contrario, continua a crescere.

Uno si rende conto di essere vecchio quando gli arriva una lezione di vita da qualcuno assai più giovane di lui. Alla nonna, alla sua veneranda età, pareva ingiusto farsi dare una lezione sulla realtà e sul buonsenso dal nipote. Perciò, furiosa, ha contrattaccato: "no! tu parli a vanvera!" Ho risposto alzando la posta: "per te parla a vanvera chi ti ricorda i fatti?" Lei, su tutte le furie: "se fosse per me, ammazzerei tutti!" (il "tutti" era naturalmente il sottoscritto). Al che, ridendo: "dunque per evitare di affrontare un problema ammazzeresti chi te lo fa notare?" Finalmente si arrende, sbuffa, e proclama di non voler più parlare.

Anche in altre occasioni, con tutto il possibile rispetto per la parente anziana, non mi ero risparmiato nel far notare che alle azioni corrispondono reazioni. Che la pace è figlia della giustizia. Che se vizi un bambino compi un'ingiustizia che ti si ritorcerà contro nel momento in cui accidentalmente lo incenserai meno di quanto si aspetta. Che se non ti opponi al vicino di casa quando si comporta da incivile, lo stai autorizzando a diventare sempre più incivile... Sono tutti "consigli pratici della nonna" che fino a non troppi anni prima aveva lei stessa generosamente distribuito a figli e nipoti.

La nonna ha sempre avuto la fissa dei negozietti. È lo scenario principale del suo mondo piccolo mentale. Ricordo che da piccolo la ascoltavo cantare le lodi della vita da negoziante: guadagni stabili, stress limitato, clientela fedele, il tutto rendendo un utile servizio alla comunità. Saranno anni che i suoi "ma come!?" danno dure capocciate alla realtà e - come stamattina - alle logiche conclusioni che le somministro volta per volta... e che lei cerca di schivare per poter conservare il suo sogno di paesetto tappezzato di utili negozietti pieni di premurosi addetti, socievoli e gentili, generosi e disponibili...

Stamattina si chiedeva ancora una volta come mai i negozietti non abbassino i prezzi delle merci, costringendo i clienti a preferire il supermercato. In queste lande sperdute e dimenticate compriamo al supermercato quel tal prodotto a marchio francese con scritta in piccolo Made in China, che lei alla mia età non poteva permettersi. Se nel negozietto sotto casa lo paghi il trenta per cento in più, è perché la grande distribuzione fa economia di scala, mentre la "libera circolazione" di merci e capitali ha fatto il resto, indebitando i nostri pronipoti per consentire alla nostra generazione di imbottirsi di orpelli e carabattole. Intanto l'inflazione ci toglie potere d'acquisto giorno per giorno, alimentando il circolo vizioso per cui continuiamo a comprare schifezze cinesi. Nonna, il tuo mondo piccolo sta svanendo proprio perché i prezzi sono così bassi (e sì, quel "cinque euro" era decisamente basso rispetto a quanto costerebbe produrlo qui).

Viviamo in una società dove lo sforzo individuale è ostacolato in ogni modo - che è una delle conseguenze dell'aver ridotto il lavoro a merce, cioè di averne dimenticato la dignità e di essersi illusi di poter campare di rendita, cioè di poter tutti essere imprenditori senza rischio. Le leggi sono calibrate per favorire i pesci grossi. E non c'è niente di strano che una cineseria che ci costò tre euro oggi ne costi cinque.

mercoledì 7 agosto 2019

Schiavisti

Di recente mi sono permesso di rifiutare qualche Opportunità di Lavoro perché avevo la netta impressione che sarebbe stato un banale commercio: tot euro in cambio di tot ore della mia vita. Mi vien da chiedere: ma quanto valgono davvero, in euro, le singole ore della mia vita? Tale domanda non viene intaccata dalle omelie sul testimoniare Cristo attraverso il proprio lavoro. Le ore della mia vita sono contate (ma uno ci pensa solo se ha fede o quando si rende conto che giovinezza e salute non sono affatto durature). Il mio lavorare nella tua azienda può essere solo il frutto di una convenienza reciproca (non solo economica), altrimenti è mediocrità, se non schiavismo o truffa. Di questi tempi sono praticamente schiavi tutti coloro che per mantenersi (e mantenere la propria famiglia) non possono permettersi di non lavorare.

Sì, il fatto è che viviamo in una società schiavista. Una società in cui normalmente devi "vendere" le tue ore di lavoro per poter sopravvivere. E non si tratta solo di ore. Per esempio danno tutti per scontato che hai un computer, un autoveicolo, un cellulare. Ciò implica carburante, bollette, manutenzione, costosi aggiornamenti, burocrazie varie. Cioè soldi, continuamente. Certo, sono oggetti che ti fa comodo avere e che magari desideri possedere, ma se vuoi lavorare devi averli. Talvolta si può fare a meno dell'auto... in cambio di tot ore in più da pendolare. Il risultato è lo stesso: parte del tuo stipendio (e del tuo tempo libero) viene bruciato per beni e servizi che ti consentono di avere quel lavoro. Cioè riducono nei fatti quello che era il già discutibile valore economico delle ore della tua vita che stai vendendo all'azienda poiché nella tua situazione non puoi fare a meno di venderle. Fra te e un bracciante c'è poca differenza: avrai pure ferie, scrivania e climatizzatori accesi, ma non puoi permetterti di "rifiutare un lavoro" nemmeno quando noti che la scosciata segretaria nullafacente guadagna più di te che hai una laurea in ingegneria e trent'anni di esperienza sul campo, nemmeno quando noti che il passacarte annoiato prende più di te che fai servizio su strada e turni di notte.

Chi si lamenta che nel nostro paese manca una "cultura del lavoro" sta implicitamente ammettendo che siamo in una società schiavista. Chi nota il crescente fiume di burocrazia e di tasse, la scomparsa del posto fisso, il popolo dei paganti mutuo trentennale, l'ormai certa e inarrestabile estinzione delle pensioni, sta implicitamente ammettendo che questa è una società schiavista.

venerdì 22 marzo 2019

Il neo-movimento: nascita del cretino di cielle

Uno dei grandi equivoci che ci ha comportato infaticabili persecuzioni da uomini di Chiesa era sempre dovuto al loro intendere "esperienza" come "intimismo" o almeno "non del tutto ragionevole", cioè quanto basta per far infuriare sia i progressisti (ultimamente dogmatici, ma a modo loro, e promotori di intimismo) che quei tradizionalisti che riducono la fede a un elenco di contenuti e pratiche. Sarebbe bastato dare uno sguardino rapido a Il senso religioso per capire tale sagra degli equivoci.

In altre parole - che mi sembrano dette sempre più raramente nelle scuole di comunità - chi davvero incontra Cristo non può non desiderare di conoscere quel contenuto di verità, quella esatta dottrina cattolica - come nel perder la testa per una ragazza nasce la sete di saper tutto di lei, così nell'imbattersi in un'esperienza del tutto nuova nasce una sete di capire di più e di saperne di più. Il fascino di quell'incontro non ha mai potuto sopprimere quella sete. Ci parlano sempre di Zaccheo che cambia morale, ma ci parlano poco di Nicodemo che pur non capendo niente ha un'invincibile sete di capire e di conoscere. Più precisamente, l'incontro con Cristo ti risveglia anche l'intelletto, ti mette briosamente in moto la ragione.

Ciò è ancor più evidente pensando ai casi di coloro che avevano sempre sopportato con pazienza la vita di parrocchia fatta di fumose omelie, le attività fatte scandendo fumosi slogan, le liturgie imbottite di frasi fatte, la sagra dei moralismi da condominio... Don Giussani lo aveva capito benissimo, a cominciare da quell'episodio in treno che lo segnerà per tutta la vita: quei ragazzi erano ignoranti delle più elementari verità di fede. Se la fede non c'entra nulla con la vita reale, se la fede è un intimismo o una zuppa di contenuti e di regole, a che pro sprecare tempo ed energie?

Questo per dire che se il Giuss ha tanto insistito sul senso religioso e sull'esperienza, è perché aveva di fronte la riduzione della fede a cultura, moralismo, intimismo, attivismo. L'opera di don Giussani era in risposta a circostanze concrete. E ciò ha fatto sorgere attorno a lui un popolo. Ciò non toglie che nel movimento, di fronte a circostanze leggermente diverse[1] si possa compiere l'errore madornale di "adagiarsi sull'esperienza"[2] compiendo una riduzione del cristianesimo, spingendolo in buona fede verso un esperienzialismo di matrice protestante - nonostante il testo del Senso religioso dia abbondanti strumenti per evitare tale errore.

Quelle verità eterne, dunque, mi diventavano più familiari perché vedevo con i miei occhi qualcosa di vivo che mi induceva a prenderle sul serio.[3]

C'era un nesso tra quell'esperienza del tutto nuova, quell'umanità diversa in cui mi ero imbattuto, e il mio rapporto con Cristo. Mi era evidente soprattutto perché le liturgie non erano una recita, la vita di fede non era un passatempo religioso, le parole risultavano cariche di significato (specialmente nel dire "umanità diversa")... Avevo incontrato una fede virile dopo aver pazientemente sopportato una roba da donnette annoiate. Ci muoveva una sete, una ingenua baldanza, certezze incancellabili perché avevamo visto e sentito. Avevamo una dimora, un padre, una guida, che continuamente ci fornivano solide ragioni per ogni cosa che ci indicavano. Perciò potevamo ubbidire persino a strane robe come la richiesta di votare un impresentabile, no questions asked: chi ci guidava aveva a cuore la nostra libertà, aveva il nostro stesso orizzonte, aveva ripetutamente dimostrato di veder più lontano di noi, aveva un fuoco dentro più di noi.

Avevo, erano, muoveva. Sto parlando di un passato che si è lentamente ma inesorabilmente incrinato. Non per le piccinerie dei singoli[4] ma per qualcosa di più serio. Il cui primo indizio, almeno per me, è stato nel Meeting di Rimini: c'è stato un tempo in cui rimpiangevo che non durasse un mese poiché gli incontri più interessanti inevitabilmente si sovrapponevano.[5] Le omelie di politici e imprenditori hanno gradatamente invaso il Meeting, e quelle sovrapposizioni (cioè abbondanza di materiale prezioso) sono scomparse. Ti ritrovavi ad avere tempo libero durante le giornate del Meeting (inaudito), e ti chiedevi se valesse la pena bere qualcosa che non disseta.

Sì, siamo pronti ad ascoltare chiunque, e persino ad applaudirgli un'affermazione intelligente. Ma il trattamento come minimo adulatorio riservato ai vari Bersani, Napolitano, Bonino, ecc., ha fatto diventare quelle domande sempre più scottanti. Essere capaci di ascoltare tutti esige forse di dover porgere orecchio e battimani a chiunque venga portato sul palco? Siamo fedeli al Papa o dobbiamo ostentarci papisti? Siamo un popolo o una claque? Mi stai guidando per Cristo oppure c'è qualche secondo fine "più importante"? Ti sono figlio, o sono una pedina?[6] E quando poi i tuoi cari amici vengono ingiustamente calpestati da quello che era il tuo caro amico, allora qualche dolorosa conclusione cominci a trarla. Cominci a notare che quella dinamica osservata è anche altrove, e fa capolino persino nelle case dei Memores.[7]

Gli esercizi, le gite, la scuola di comunità, ti accorgi che da diversi anni qualcosa è davvero cambiato. Ti accorgi che il movimento decresce perché non è più attraente.[8] Quando tutti parlavano male di noi, ti stupivi di ciò che avevi incontrato e ti commuovevi che altri lo stessero ancora incontrando. Ora che tutti parlano bene di noi, tranne forse qualche comunista nostalgico, ora che nelle parrocchie e negli eventi diocesani siamo richiesti anziché allontanati, ti accorgi che il movimento è fatto di teste canute, lo zoccolo duro di fedelissimi che sono stati sempre puntuali perché non avevano altri hobby, e ti chiedi se fra di loro ci siano alcuni che vedono ancor oggi quello che a suo tempo vedevi tu. Intanto la SdC ti sembra sempre più spesso un esercizio stilistico, uno sfoggio di gergo ciellino, ti accorgi che non ti cambia più. Ti chiedi se sei tu che sei diventato sordo e poco assetato di Cristo, oppure se il movimento è cambiato. E mentre ancora te lo stai chiedendo, ti becchi come al solito un discorsino sulla libertà che si conclude col ricattino morale.[9]

Parafrasando Sciascia riguardo alla nascita del "cretino di sinistra", vorrei dunque far notare la nascita del "cretino di cielle", altrettanto "mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare". La Scuola di Comunità come il teatro elitario e colto della stupidità di certi ciellini, impegnati a promuovere - sia pure nascosti dal lessico del movimento - "una nuova formidabile ondata di conformismo". Cielloti e giussanologi stanno riuscendo là dove il Potere aveva miseramente fallito.[10] «Ecco, questo è un momento in cui sarebbe bello essere solo in dodici in tutto il mondo».


1) Cioè ad una riduzione del cristianesimo operata da certi vertici della gerarchia cattolica.

2) Adagiarsi sul programma, come se il movimento fosse un'azienda preoccupata anzitutto dei bilanci e del prestigio.

3) Come un bambino che non si rassegna all'idea che il suo giocattolo preferito non si accende più, non riesco ancora ad ammettere che ciò in cui mi sono imbattuto e che mi ha tanto dato faccia parte ormai del passato.

4) Come l'incravattato figuro della CdO che simulò malamente interesse e gentilezza, per poi ricordarsi di me solo quando gli dissero che avevo finalmente trovato lavoro. Uno dei tanti che di ciellino aveva solo l'etichetta.

5) La presentazione di un libro, la lettura pubblica di poesie, una lezione di filosofia... ogni volta era una scoperta, ogni volta era buon cibo per l'anima, ogni volta era occasione per approfondire sul serio questioni di fede. L'incontro col movimento, quell'umanità nuova, era continuamente sostenuto da quel cibo. E lo dice uno che non ha mai inteso la scuola di comunità come una sorta di liturgia.

6) Carrón è notoriamente permaloso per cui è davvero arduo fargli notare certe cose. Il che non sarebbe un gran problema, se non ci fossero stati diversi episodi in cui il legittimo desiderio di infilare "qualcuno del movimento in tal posizione" sia degenerato in una combinazione di interessati applausi e furbe spintarelle per l'aristocratico ciellino di turno (il sottoscritto, non avendo il nobile pedigree da ciellino d'allevamento, quando aveva bisogno di aiuto ha ottenuto dai capi e capetti solo indifferenza, porte chiuse, e addirittura la scusa che non possiamo sempre aiutare solo i nostri; quando hai una guida e una dimora dell'io trovi la forza di non pensarci, ma quando la dimora e la guida vengono meno, cominci a ricordare sbalordito e a chiederti come hai fatto a non prenderli a pedate seduta stante).

7) Scene da soviet ciellino: mi forniscono un'informazione abbastanza generica con preghiera di pubblicazione, e dopo qualche settimana mi chiedono di toglierla subito dal blog perché il Memor che aveva parlato teme di essere riconosciuto e di subire nuove persecuzioni per aver detto ciò che nelle case dei Memores si sa ma non si può dire.

8) Dovrei aggiungere anche che non ispira più, quantomeno per il curioso sondaggio allegato all'invito per gli Esercizi: «se in merito al tema "che cosa regge l'urto del tempo?" vuoi mandare un tuo contributo...».

9) O con un gratuito «e anche per questo non insistiamo sulla quantità» che essendo clericalismo va letto al contrario: «insistiamo sulla quantità».

10) Certe notizie addolorano, ma fin dagli inizi del nuovo corso dovevamo aspettarcelo. E il veder sbattere Formigoni in galera darà ulteriore lustro a chi nel movimento non vede l'ora di omologarsi al Potere.