giovedì 16 aprile 2015

Venticinquemila euro, ti rendi conto?

Per un osservatore esterno il tifoso è quello che si dedica con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l'anima ad un determinato tipo di spettacolo. Lo sport, infatti, è uno spettacolo: gli attori, debitamente preparati e addestrati, si danno da fare per la riuscita della rappresentazione (“vincere”). Vengono regolarmente pagati - la loro compagnia teatrale si chiama “società sportiva” - e sulle loro performance c'è tutto un mercato editoriale e televisivo, oltre che di merchandising di gadget e perfino di scommesse. Il tassello più importante del mosaico è che tali attività “sportive” non producono nessun cambiamento della società, e gratificano il tifoso solo di emozioni autoindotte dal tifoso.

In misura minore ci sono altre rappresentazioni che si propongono alla libertà dei singoli, come ad esempio quei quiz televisivi in cui si vedono i partecipanti vincere somme di denaro assurdamente alte rispondendo a ridicole domandine di cultura generale e tentando la sorte. Anche lì, come nello sport, c'è una scenografia elaborata su misura degli spettatori, c'è quel po' di tensione della decisione da cui dipende “la vita o la morte”, anche lì c'è la socializzazione indotta (la nonna che mi chiede: “hai visto? ha sbagliato la domanda da 25.000 euro, ti rendi conto?”), l'idea di fuga dalla realtà (“ah, se li avessi vinti io quei 25.000 euro...”).

È come sempre il panem et circenses, col solito corredo di lotterie e modi per rovinarsi la vita.

venerdì 10 aprile 2015

Imbarbarimento dell'Italia

Leggo che trecentomila italiani, negli ultimi dieci anni, sono emigrati all'estero. Trecentomila è pressappoco il numero di nuovi nati ogni anno. Come se il dieci per cento dei giovani, ogni anno, emigrasse. Quel dieci per cento è composto senza dubbio da chi può permettersi di abbandonare famiglia e legami, ha abbastanza competenze da poter andare a lavorare all'estero in giacca e cravatta in aereo piuttosto che senza documenti su un gommone di notte, e non ha problemi a dover imparare una nuova lingua (che magari già conosce). In parole povere, più che la fuga di “cervelli”, è la fuga della civiltà.

Non intendo andarmene all'estero e perciò mi pongo il problema di chi rimane qui in Italia con me. Cioè rifletto su chi siano quelli “vincolati” a rimanere (per esempio per età o per salute o per vincoli affettivi), quelli che non hanno la capacità, la voglia o la necessità di andare a lavorare all'estero, e quelli che vivono di rendita (che cioè non hanno motivo di andarsene). Tra questi ultimi spicca la popolazione di parassiti di cui veniamo quotidianamente informati dai giornali. Popolazione in tumultuoso aumento, visto che comprende le varie etnie dei parassiti pubblici, della delinquenza (organizzata o meno) e dei diversamente italiani, etnie che si distinguono oltre che per l'igiene personale dai loro peculiari rapporti con la legge e il fisco.

Berlusconi prima, seguito da Prodi e poi da Renzi e qualche mesetto fa anche da Padoan, hanno promesso un milione di posti di lavoro ciascuno. Dovevano necessariamente essere lavori a bassa specializzazione e nel settore pubblico, dal momento che i “cervelli” se possono emigrano e che l'imprenditoria e la creatività sono brutalmente stroncate dalla nostra proverbiale burocrazia e visto il nostro sistema scolastico. Mi colpiva, per esempio, che una laureata in scienze pedagogiche si meravigliasse che le aziende richiedano competenze precise.

Se la matematica non è un'opinione, l'Italia sta regredendo a decisi passi verso la barbarie.