domenica 28 luglio 2013

Rifugiarsi in una tifoseria

Non è che non scrivo più. Al contrario. Scrivo troppo. Ma sempre più raramente riuscivo a licenziare una pagina. Da quando un prete del movimento dall'altra parte del pianeta in poche righe mi ha correttamente diagnosticato e mi ha indicato una cura, devo esser diventato un po' troppo pedante sul decidere che una pagina sia pubblicabile. Ho la cartella bozze del blog con ben 244 pagine incomplete che spaziano un arco di oltre tre anni. E che ci crediate o no, le righe qui sotto le avevo scritte nell'aprile 2010 e dimenticate lì perché non me la sentivo ancora di “approvarle” per la pubblicazione:
L'ultima spiaggia dei cattolici delusi è presentarsi (ed agire, e pensare) come la tifoseria del Papa. Se mi grido “dalla parte del Papa” faccio sempre la figura del cattolico, no?

Il fatto è che anche il Papa è una figura passeggera. Anche se “vicario di Cristo”, il Papa non è un robot. Anche se imbottito di santità, il Papa potrebbe non avere in ogni momento tutte le qualità adatte a tutte le circostanze.[1] Nostro Signore chiede: «mi ami tu più di costoro?» e garantisce che «le porte degli inferi non prevarranno», ma il singolo Papa (vien da dire: perfino il Papa!) la ricompensa eterna deve pur guadagnarsela... proprio col munus più delicato dell'universo.

Il successore di Benedetto XVI potrebbe non essere affatto all'altezza. E tutte quelle tifoserie, tra silenzi imbarazzati e tentativi di spacciare per importantissimi temi del tutto secondari, subiranno cocenti delusioni e una notevole diminuzione di combattività. Ed è anzitutto per questo esatto motivo che alcuni lupi travestiti da agnelli fomentano, con diabolico zelo, eleganza e discrezione, il “papismo da stadio”. Che io vedo impersonato in modo particolare in due esempi.

Il primo: le adunate oceaniche di giovani attorno al Papa, materializzazione di una “tifoseria cattolica” tanto desiderata da quegli ecclesiastici che hanno il televisore come compagnia della sera. Come se il cristianesimo avesse bisogno di mostrare i propri numeri all'ipermercato delle religioni.

Il secondo: il gridarsi “dalla parte del Papa” solo per affermare un'identità “politica”. Come se il cristianesimo dipendesse da quello che fai anziché da quello che sei, come se la fede coincidesse con un elenco di cose da dire e da fare anziché semplicemente riconoscere una presenza.

L'inganno di cui tanti cattolici non si avvedono è che è stato loro spento il dibattito sulle cose serie della vita.[2] Con una manovra a tenaglia semplice e ben pianificata. Da un lato ci facciamo dettare l'agenda dal telegiornale della sera e dai titoloni sbattuti in prima pagina sui giornali del mattino. Dall'altro ci riproponiamo a vicenda una “fedeltà al Papa” che, se non è scontata, è certamente più che condivisa. Un salutista non ha bisogno di gridare continuamente agli altri salutisti “bando alle sigarette”, tanto più quando costoro già lo stanno gridando a loro volta.

Non si è mai parlato tanto cattolico quanto in questi tempi: eppure è solo un “parlare”, è tutto uno schierarsi pro o contro la buzz-word del giorno proclamata dai giornali, è tutto un continuo dichiararsi “dalla parte del Papa” come se si rispondesse ad immaginari sondaggi, è tutto un affaticarsi a esibire al mondo (cioè sui media che accettano lo spettacolo) una specie di “tifoseria del Papa”, come se la Chiesa fosse un partito a caccia di voti o un'azienda che deve ricuperare quote di mercato.

Compiuta poi la quotidiana buona azione di tifoseria, ci si può comodamente crogiolare nei soliti “ma dai”, “beh”, “comunque”, “ora ho altre cose a cui pensare”.
Per essere “profetici” non ci vuole poi tanta fatica: basta tenere gli occhi aperti... ma non sul televisore.

L'elezione del nuovo Papa, proprio coi voti di coloro che avevano fatto di tutto per inguaiare Benedetto XVI, ha avuto come primo “miracoloso” effetto l'immediato cessare degli attacchi. Fino a non troppi mesi fa sembrava che il papato fosse a capo di ogni iniquità e di ogni scandalo, con la prevedibile pavloviana reazione di certo cattolicume: tutti a fare i tifosi del Papa... operazione che ora sembra diventata faticosa, a tratti persino imbarazzante, e non più così urgente come prima.

Ciò che oggi non sembra chiaro nel mondo cattolico distratto e dalla memoria corta, è che siamo di fronte alla classica manovra del fil di ferro, per spezzare il quale occorre piegarlo con forza in una direzione, e poi piegarlo con forza nella direzione opposta,[3] per più volte. Intendo dire che mentre è vero che i Pontefici non ce li scegliamo noi, è purtroppo altrettanto vero che da cattolici abbiamo stupidamente accettato di farci dettare l'agenda dalla televisione e dai giornali. Cosicché l'ovvia differenza di stile e di caratteristiche di due pontefici diventa il punto in cui il fil di ferro viene piegato una volta di qua e una volta di là, fino a spezzarci.


1) Anche l'apostolo Pietro, primo Papa, ebbe un po' troppo rispetto umano “per timore dei circoncisi”. Al punto che gli ci volle nientemeno che il pubblico rimprovero dell'apostolo Paolo (Gal 2,11-14).

2) Per esempio, è un vero tormento vedere che l'esigenza di accedere con frequenza al sacramento della riconciliazione è assai meno sentita di quella del firmare speranzosi le solite inutili petizioni on-line.

3) Due mesi fa in Francia hanno arrestato dei giovani colpevoli di recitare silenziosamente il rosario. Segno dei tempi.

mercoledì 24 luglio 2013

Ancora sul diritto di lamentarsi

Un vecchio amico, credente nel laicismo e un po' anche praticante, con quel sorrisetto tipico di chi pensa di averti colto in castagna mi dice: «e così ora censurano i blog ciellini, eh?» Resto senza parole, per lo più chiedendomi come abbia fatto a scoprire che ho un blog.[1] Ma poi, deludendo le sue più rosee aspettative (e senza dirgli che ho un blog), gli faccio presente che non esiste nessuna “censura”, tanto meno dai vertici del movimento, ma solo la raccomandazione (ovvia) di non sostituirsi ai siti web di Tracce e del movimento quanto alla pubblicazione di trascrizioni di incontri, appunti, notizie, immagini riguardanti la vita del movimento.

Il vecchio amico però non ci sta a farsi umiliare così velocemente e sfodera subito la sua arma segreta: a pagina undici del libretto degli avvisi (sic) ci sarebbe la prova provata, la pistola fumante, la certezza definitiva della Censura Ciellina, che mi sarebbe sfuggita nonostante le attente letture. E che in realtà si limita ad affermare quanto detto sopra.

Non mi limito ad deriderlo invitandolo a leggere insieme quella “pagina undici”, no. Gli chiedo di riflettere un minutino su come mai i blog ciellini sarebbero così tanto informativi da far concorrenza nientemeno che ai vasti siti web ufficiali di CL. Per trovare notizie precise sull'Inter, ci si fida di più del suo sito web ufficiale o del blog di qualche interista passaguai? E se un giornalista costruisce una notizia sui malumori di tre o quattro blogger interisti, che evidenza abbiamo? sta facendo informazione sull'Inter oppure sta perdendo tempo in modo da farne perdere ad altri?

Il blog di un tifoso non rappresenta la squadra per lo stesso motivo per cui queste mie paginette non rappresentano CL ma solo me - e nemmeno tanto, di me: “l'unico ciellino della parrocchia” (e non per modo di dire), che butta giù qualche riga in fretta e furia quando ha tempo, non perché siano cose che gli paiano importantissime ma perché in quel momento lo hanno colpito.

Scrivere aiuta a riflettere, a fissare le idee, a trovare le parole giuste per farsi comprendere da qualche raro sconosciuto che piove qui da Google cercando tutt'altro. È una piccola lotta contro il politically correct, contro i luoghi comuni di tutti i giorni e le solite banalità in cui siamo costretti a nuotare, contro la pigrizia del fare eco (copia e incolla) di notizie altrui... insomma, è un po' un'ascesi, si parva licet componere magnis.


1) E mi ero chiesto anche se avesse letto le mie recenti geremiadi il carro sul pendio e sul diritto di lamentarsi, contro certo “ciellinismo da salotto” che discetta di esperienze non realmente vissute.

domenica 21 luglio 2013

Sul diritto di lamentarsi

La prima cosa che si fa al momento della nascita è lamentarsi, cioè tentare di spiegare al resto del mondo che qualcosa non va bene, e con ciò domandare aiuto a chiunque possa darne. A quei vagiti, negli anni successivi, si aggiungono numerose altre sofisticate forme di lamentela, tutte sullo stesso schema: accertato che qualcosa non va, impossibilitati a identificare rapidamente una soluzione operativa ed efficace, tentiamo di proporre delle dolorose certezze all'attenzione altrui.[1]

Purtroppo in questo mondo ingiustizie, miserie e sofferenze sono tante e tali da far sembrare fastidiosa qualsiasi lamentela. Col risultato che a lamentarsi poco, si finisce per dare l'impressione che non c'è un vero problema, a lamentarsi troppo si finisce per dare la stessa impressione, e a lamentarsi moderatamente si finisce per far credere che si tratta solo di una seccatura come tante altre, non meritevole né di attenzione né di trattamento urgente.

Orecchie sagge sanno estrarre dalla lamentela più complessa e bizzarra l'effettiva necessità che l'ha fatta sgorgare. La virtù del santo è non solo nel saper ascoltare il lamentoso ma anche nel saper dare un nome preciso al problema e descrivere la soluzione in modo comprensibile. La raccomandazione spirituale del lamentarsi il meno possibile è in realtà un incoraggiamento ad allenarsi ad osservare, comprendere, capire tutti i fattori della realtà.

Ieri tentavo di riflettere sulla diffusa epidemia di imborghesimento spirituale nel movimento di CL. Ciò che tentavo di rendere chiaro ai miei quattro o cinque lettori è che vedo tutto intimamente connesso: la Chiesa si indebolisce perché la fede si indebolisce,[2] nel movimento di CL si diffonde l'imborghesimento perché nella Chiesa tutta è in corso la stessa epidemia. I cristiani, sale della terra, finiscono per essere uguali agli altri, senza sapore.[3] Per me tutto questo è più facile da riconoscere perché vivo circondato da persone pregiudizialmente ostili a CL e i gruppi del movimento che posso raggiungere in tempi e modi ragionevoli manifestano proprio quei segni di imborghesimento contro cui ci metteva ripetutamente in guardia don Giussani.

Non c'è niente di più noioso delle omelie ciellinizzate di coloro che (involontariamente, talvolta persino in buona fede) riducono il movimento di CL ad un club dotato di un suo gergo, di suoi libri, di suoi canti, di sue attività. È l'unica, vera, concreta critica che ho accettato di discutere in questi anni, dal momento che gli altri “difetti” di cui viene quotidianamente accusato il movimento sono o i difetti presunti di un singolo oppure equivoci involontari o deliberati su cosa siano esattamente CL e la Chiesa cattolica. Io sono il primo a lamentarmi di “giussanologi” e “cielloti” perché ne sono la prima vittima. Di fronte alle omelie ciellinizzate, i primi sbadigli sono i miei.[4] Quando la scuola di comunità si riduce a un collage di noiosi “interventi”, le mie gambe si muovono da sole, spostandomi altrove. Quando il buono di CL lo riesco a estrarre solo da Tracce e dagli Esercizi Spirituali della Fraternità, quando coloro che stimo di più sono parecchi chilometri più in là dei gruppetti di fraternità dei dintorni, capisco che qualcosa non va bene, che il movimento così come l'ho conosciuto è -almeno in queste lande desolate- arretrato, se non addirittura soppiantato, rispetto al movimentismo di “giussanologi” e “cielloti”. Che ci sono sempre stati, ma non mi erano mai sembrati così tanti.[5]

Un tempo la fatica era spiegare cos'è il movimento a coloro che ne erano fuori. Ora la fatica è dover ri-spiegare cos'è il movimento a tanti che dicono di farne parte (come se fosse un bel club), la fatica è dover ri-chiarire e ri-spiegare “cosa c'entra Cristo”. Opera su cui evidentemente si sta cimentando anzitutto il don Carròn.


1) Persino il chiedere preghiere è tutto sommato una forma di lamentela.

2) Un feroce e dettagliato atto di accusa sulle storture della Chiesa contemporanea è l'enciclica di “Benedetto XVIII”, Quanta cura in cordibus nostris, scritta in maniera “papale”, elegante, nel senso di una lamentela non lamentosa. Ma nonostante la notevole raffinatezza della penna che l'ha redatta dubito che scuota davvero gli animi degli ecclesiastici che la leggeranno. Anche la più “positiva e propositiva” delle lamentele... viene percepita come una lamentela.

3) Ciò che avviene nel movimento rispecchia ciò che avviene nella Chiesa. Questo è talmente vero, che si può verificare perfino se ci limitasse al campo della statistica. Chiunque sia convinto come me della bontà del movimento, non finisce mai di notare quanto le vicende della Chiesa e quelle del movimento si somiglino.

4) Le omelie ciellinizzate sono i discorsini imbottiti di parolame ciellino, fini a se stessi anche quando tentano di esprimere qualcosa di intelligente, ma solo chi non è “imborghesito” può notare la differenza rispetto a ciò che è davvero l'anima del movimento. Un esempio facilmente riconoscibile di “omelia ciellinizzata” è quando qualche alto papavero della Chiesa viene a celebrare Messa per il movimento e sciorina un'omelia zeppa di citazioni di don Giussani (una captatio benevolentiae, insomma).

5) Ricordo, ai bei tempi, un lungo viaggio in auto con due amici in cui ridemmo a crepapelle per ore intere ironizzando sulle meschine manovrine di certi capetti dell'epoca, intese a consolidare il potere sui piccoli feudi ciellini che pensavano di aver conquistato e l'ascendente sulle numerose donne che pensavano di dover conquistare. Pare purtroppo che oggi siano alquanto aumentati i motivi per deridere.

sabato 20 luglio 2013

Il carro sul pendio

Uno dei momenti che mi hanno maggiormente colpito quest'anno negli Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione è stato quando don Carròn ha rendicontato entrate e uscite. Nel 2012 è stata raccolta in Italia mezza dozzina di milioni di libere offerte (“fondo comune” degli aderenti alla Fraternità), cioè 200.000 euro in meno dell'anno scorso. Nello stesso anno le spese sono aumentate di 200.000 euro solo di tasse sugli immobili.

Sono misere briciole rispetto ad altri ambienti (non solo ecclesiali), specialmente in tempi di crisi, briciole su cui grava ogni anno una pioggia di nuove tasse. È stata una doppia stangata contro le opere del movimento (caritative, editoria, eccetera), tanto più che don Carròn notava con ironia che c'erano almeno tremila partecipanti agli esercizi che non avevano mai versato neppure un centesimo.[1]

Chi nutre davvero fiducia in qualcosa, mette mano al portafoglio quasi senza accorgersene. Si spende con gusto, per ciò che ci inonda il cuore. Difficile pensare che sia colpa della sola crisi economica.[2]

C'è un altro evento che mi ha colpito. C'era stata un po' di sorpresa, nel salone, coperta da un non proprio universale e convintissimo applauso,[3] quando don Carròn ha dato lettura del telegramma di auguri e di ammirazione inviato al rieletto presidente della Repubblica. Qualche giorno dopo ho saputo di amici che non verseranno più un centesimo alla Fraternità finché non ci saranno adeguati chiarimenti sulla aumentata «ammirazione» ivi espressa.[4]

La notizia è talmente inaudita che mi ha lasciato di sasso: è come se uno mi dicesse che ha deciso di smettere di respirare. Per me già suonava assurda fino al comico la notizia che tremila sedicenti ciellini abbiano partecipato agli Esercizi senza aver mai versato nulla al fondo comune (riducendo così il movimento di CL ad una faccenda intimistica per il tempo libero).

Nella ripresa della scuola di comunità, altra scenetta da teatrino dell'assurdo: un insulso fiume di parole dai mille rivoli, attorno alla grazia e alla libertà, senza che se ne venisse a capo. Mi sono seriamente chiesto se avessero già dimenticato il Catechismo. E sono stato preso da un po' di nostalgia per quei tempi in cui si andava “assetati” alla scuola di comunità per capire, per domandare, per imparare, per seguire, per guadagnare certezze sulla fede e sulla Chiesa... E lì invece, proprio a margine degli esercizi, proprio dopo che don Carròn ha richiamato con pazienza e precisione ciò che dà origine al movimento, vedevo ricominciare di nuovo il fiume degli “interventi”. Certe volte si sente il bisogno di parlare per trasmettere qualcosa di bello e di grande: certe volte, appunto. Tutte le altre sono soltanto un dare aria all'ugola, trasformando gli incontri in un collage di improvvisazioni di noiose omelie “ciellinizzate”.[5]

Noiose omelie e dunque noioso burocraticismo. Come l'anno scorso, in quello sguardo gelido inteso a fulminarmi perché avevo osato nominare la lettera di don Carròn al Papa che era trapelata sui giornali, lettera che lasciava capire ciò che tutti -amici e nemici- avevano sempre saputo, con o senza soffiate giornalistiche. È legittimo essere restii a parlare di quella lettera: non siamo così tonti da farci dettare l'agenda da (vere o false) “rivelazioni” giornalistiche del momento. Ma in quello sguardo burocraticamente gelido del capetto si condensava una malintesa ubbidienza ad un presunto ordine di nascondere e dimenticare una presunta vergognosa macchia del movimento.

La crisi di CL consiste dunque nell'imborghesimento. Cioè nel ridursi a “giussanologi”, dotati di gergo elegante, libroni difficili da leggere[6] sui quali qualche capetto si compiace di elargire articolate spiegazioni, tutti assetati delle Notizie del Giorno sulle quali emanare un giudizio prevedibile e ciellinizzato.[7] Oppure nel ridursi a “cielloti”, dotati di gergo elegante, attività socioculturalcaritative belle, utili, elaborate e dispendiose, tutti presi dalle Notizie del Giorno sulle quali imbastire un discorso ciellinizzato ed un'ulteriore attività intra- o extra-parrocchiale.

Il tutto sottilmente scollato[8] dal carisma del movimento (quello che impercettibilmente e imprevedibilmente trasforma la vita da così a così, come per Edimar), e per di più fatto come se si dovesse sfuggire alla minacciosa domanda televisiva: ma tu non fai mai niente di ciellino? Non c'è bisogno di essere ciellini per fare i “cattolici auto-impegnati”, categoria ultimamente gradita alle burocrazie laicali e clericali.

C'è stato un tempo in cui il movimento di Comunione e Liberazione era in continua crescita.[9] Non solo seminaristi cacciati via, preti e vescovi ostili, curie rabbiose e neroniane, ma anche pestaggi gratuiti, attentati incendiari, gambizzazioni a pistolettate: il movimento era qualcosa di genuinamente cristiano e otteneva quel trattamento perché era correttamente percepito come tale. Ora siamo nella fase di decrescita, cioè la fase degli applausi mondani dati e ricevuti, la fase della “istituzionalizzazione”, ovvero la riduzione ad etichette e attività: una crisi che ha origine all'interno del movimento, non più eccezioni sporadiche ma tumefazioni sparse a macchia di leopardo,[10] qualcosa che davvero non va bene. Come se la parte genuina del movimento stesse cedendo terreno. Ne parlo col mio migliore amico e mi sento ripetere, tra le risate, che è inutile affaticarsi a trattenere il malridotto carro che sta sbandando sul pendìo.

“Speriamo che sia tu a perturbare l'autoreferenzialità del tuo gruppetto di fraternità”, rispondeva don Carròn ad un giovane che con sgomento aveva scoperto che il movimento all'università era più vivo e vero di quello che ha trovato tornando al suo paesetto al termine degli studi. Solo che la perturbazione delle anime intiepidite non verrà dall'effettuare una qualsiasi sequenza di operazioni. L'orgoglioso e pigro imborghesimento di tanti che amano qualificarsi ciellini, abituati ormai alla “mangiatoia bassa”, sta silenziosamente devastando il movimento, e l'ho percepito con dolore agli scorsi Esercizi. Mi sento spesso circondato da gente con una strana miopia spirituale: pronti a lottare per la difesa della libertà del singolo pelo del leone, ma incapaci di avvertire la pericolosità del leone intero e affamato che ci sta puntando. Sedicenti ciellini che sono solo dei “cattolici adulti” con qualche frase di don Giussani infilata qua e là.

Don Giussani nel 1981, dopo la sconfitta del referendum contro la legge sull'aborto, disse che a quel punto sarebbe stato bello ripartire in undici. Potrebbe darsi che presto don Carròn si ritrovi a ripetere quelle stesse parole.


1) Per le libere offerte degli aderenti alla Fraternità (il “fondo comune”) conta solo la fedeltà del gesto, non la quantità di soldi effettivamente versati. Infatti non esistono né quote prefissate né controlli, ma solo statistiche.

2) Le opere del movimento di CL sono frutto della libera generosità dei singoli. Non ci sono Piani Quinquennali da rispettare, né previsioni di gettito da assicurare, né moralistiche verifiche di moralistiche tassazioni. Per questo c'è una dose annuale di sacrosanta ironia su coloro che si comportano come se CL fosse una qualsiasi delle disincarnate spiritualità che offre il supermarket delle religioni.

3) Tempi, molto giornalistically correct, lo chiama invece "lungo".

4) Il dovuto rispetto per le autorità è sempre accompagnato dalla franchezza, dalla chiarezza e dalla ragionevolezza dei motivi. Altrimenti è servilismo.

5) La tentazione di ridurre la scuola di comunità ad un parlatorio è proporzionale all'affievolirsi della sete di verità. Chi meno ha da domandare, più ha voglia di arieggiare l'ugola. Così mi tocca spesso dover pazientemente ascoltare montagne di parole prima di veder giungere il “dunque”. La perla è nel campo, ma per ottenerla bisogna comprarlo e perlustrarlo proprio tutto, il campo.

6) Don Giussani ha adoperato con chirurgica precisione una terminologia cristiana comprensibile. Se ne sono accorti tutti quelli che -come me- leggendo o ascoltando si sono detti: ma sta parlando proprio della mia vita! Il “gergo ciellino” è in realtà il risultato di una maniacale chiarezza nel descrivere qualcosa di vivo e di verificabile. Non come nella barzelletta dell'omelia del vescovo: “di cosa ha parlato il vescovo?” “Del peccato”. “E cosa ha detto?” “Pof, era contrario”.

7) Ancor oggi mi meraviglio di come tanti cattolici credano ciecamente nel sacro Telegiornale come fonte suprema della conoscenza della realtà (e dunque indispensabile fonte quotidiana dove attingere la “questione del giorno” su cui prendere posizione). Bramano il sacro Telegiornale allo stesso modo con cui santa Teresa di Lisieux aspettava il momento della Comunione.

8) Sorprendente e allarmante il fatto che certe comunità cielline restino sempre le stesse col passare del tempo. Si capisce non solo dal fatto che non crescono (cioè sono spiritualmente infeconde), trasformandosi in un mini-club delle stesse facce che “si parlano addosso” per interi decenni. Ma anche per il loro modo preconfezionato di vivere le cose della vita e le indicazioni del movimento. Sedicenti ciellini che discettano di stupore, ma incapaci di stupirsi. Chi detesta CL gioisce di tale effetto Chernobyl.

9) A titolo di curiosità si potrebbe sfogliare la rivista Tracce più recente e un numero qualsiasi di vent'anni fa per osservare le differenze (non enormi ma neppure piccolissime) tra i temi trattati e i toni utilizzati. Oppure la statistica dei partecipanti agli Esercizi Spirituali (universitari e fraternità).

10) Una delle primissime e incancellabili immagini del movimento scolpite nei miei occhi fu ciò che vidi partecipando per la prima volta ad una “Messa ciellina”: tutti inginocchiati alla consacrazione a costo di star stretti e sul pavimento, nessuno spalancava le braccia come un cretino al Pater Noster, la devozione con cui il sacerdote amministrava la Comunione... “Una vera Messa cattolica!” gridai dentro di me, sorpreso e vinto dalla gioia. Agli Esercizi di quest'anno si è vista la scena opposta: qua e là vedevo tanti che non si inginocchiavano, tanti che al Pater Noster spalancavano le braccia come dei deficienti, e più di un sacerdote frettoloso e seccato nel distribuire l'Eucarestia. Sì, nel movimento c'è proprio qualcosa che non va.