sabato 20 luglio 2013

Il carro sul pendio

Uno dei momenti che mi hanno maggiormente colpito quest'anno negli Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione è stato quando don Carròn ha rendicontato entrate e uscite. Nel 2012 è stata raccolta in Italia mezza dozzina di milioni di libere offerte (“fondo comune” degli aderenti alla Fraternità), cioè 200.000 euro in meno dell'anno scorso. Nello stesso anno le spese sono aumentate di 200.000 euro solo di tasse sugli immobili.

Sono misere briciole rispetto ad altri ambienti (non solo ecclesiali), specialmente in tempi di crisi, briciole su cui grava ogni anno una pioggia di nuove tasse. È stata una doppia stangata contro le opere del movimento (caritative, editoria, eccetera), tanto più che don Carròn notava con ironia che c'erano almeno tremila partecipanti agli esercizi che non avevano mai versato neppure un centesimo.[1]

Chi nutre davvero fiducia in qualcosa, mette mano al portafoglio quasi senza accorgersene. Si spende con gusto, per ciò che ci inonda il cuore. Difficile pensare che sia colpa della sola crisi economica.[2]

C'è un altro evento che mi ha colpito. C'era stata un po' di sorpresa, nel salone, coperta da un non proprio universale e convintissimo applauso,[3] quando don Carròn ha dato lettura del telegramma di auguri e di ammirazione inviato al rieletto presidente della Repubblica. Qualche giorno dopo ho saputo di amici che non verseranno più un centesimo alla Fraternità finché non ci saranno adeguati chiarimenti sulla aumentata «ammirazione» ivi espressa.[4]

La notizia è talmente inaudita che mi ha lasciato di sasso: è come se uno mi dicesse che ha deciso di smettere di respirare. Per me già suonava assurda fino al comico la notizia che tremila sedicenti ciellini abbiano partecipato agli Esercizi senza aver mai versato nulla al fondo comune (riducendo così il movimento di CL ad una faccenda intimistica per il tempo libero).

Nella ripresa della scuola di comunità, altra scenetta da teatrino dell'assurdo: un insulso fiume di parole dai mille rivoli, attorno alla grazia e alla libertà, senza che se ne venisse a capo. Mi sono seriamente chiesto se avessero già dimenticato il Catechismo. E sono stato preso da un po' di nostalgia per quei tempi in cui si andava “assetati” alla scuola di comunità per capire, per domandare, per imparare, per seguire, per guadagnare certezze sulla fede e sulla Chiesa... E lì invece, proprio a margine degli esercizi, proprio dopo che don Carròn ha richiamato con pazienza e precisione ciò che dà origine al movimento, vedevo ricominciare di nuovo il fiume degli “interventi”. Certe volte si sente il bisogno di parlare per trasmettere qualcosa di bello e di grande: certe volte, appunto. Tutte le altre sono soltanto un dare aria all'ugola, trasformando gli incontri in un collage di improvvisazioni di noiose omelie “ciellinizzate”.[5]

Noiose omelie e dunque noioso burocraticismo. Come l'anno scorso, in quello sguardo gelido inteso a fulminarmi perché avevo osato nominare la lettera di don Carròn al Papa che era trapelata sui giornali, lettera che lasciava capire ciò che tutti -amici e nemici- avevano sempre saputo, con o senza soffiate giornalistiche. È legittimo essere restii a parlare di quella lettera: non siamo così tonti da farci dettare l'agenda da (vere o false) “rivelazioni” giornalistiche del momento. Ma in quello sguardo burocraticamente gelido del capetto si condensava una malintesa ubbidienza ad un presunto ordine di nascondere e dimenticare una presunta vergognosa macchia del movimento.

La crisi di CL consiste dunque nell'imborghesimento. Cioè nel ridursi a “giussanologi”, dotati di gergo elegante, libroni difficili da leggere[6] sui quali qualche capetto si compiace di elargire articolate spiegazioni, tutti assetati delle Notizie del Giorno sulle quali emanare un giudizio prevedibile e ciellinizzato.[7] Oppure nel ridursi a “cielloti”, dotati di gergo elegante, attività socioculturalcaritative belle, utili, elaborate e dispendiose, tutti presi dalle Notizie del Giorno sulle quali imbastire un discorso ciellinizzato ed un'ulteriore attività intra- o extra-parrocchiale.

Il tutto sottilmente scollato[8] dal carisma del movimento (quello che impercettibilmente e imprevedibilmente trasforma la vita da così a così, come per Edimar), e per di più fatto come se si dovesse sfuggire alla minacciosa domanda televisiva: ma tu non fai mai niente di ciellino? Non c'è bisogno di essere ciellini per fare i “cattolici auto-impegnati”, categoria ultimamente gradita alle burocrazie laicali e clericali.

C'è stato un tempo in cui il movimento di Comunione e Liberazione era in continua crescita.[9] Non solo seminaristi cacciati via, preti e vescovi ostili, curie rabbiose e neroniane, ma anche pestaggi gratuiti, attentati incendiari, gambizzazioni a pistolettate: il movimento era qualcosa di genuinamente cristiano e otteneva quel trattamento perché era correttamente percepito come tale. Ora siamo nella fase di decrescita, cioè la fase degli applausi mondani dati e ricevuti, la fase della “istituzionalizzazione”, ovvero la riduzione ad etichette e attività: una crisi che ha origine all'interno del movimento, non più eccezioni sporadiche ma tumefazioni sparse a macchia di leopardo,[10] qualcosa che davvero non va bene. Come se la parte genuina del movimento stesse cedendo terreno. Ne parlo col mio migliore amico e mi sento ripetere, tra le risate, che è inutile affaticarsi a trattenere il malridotto carro che sta sbandando sul pendìo.

“Speriamo che sia tu a perturbare l'autoreferenzialità del tuo gruppetto di fraternità”, rispondeva don Carròn ad un giovane che con sgomento aveva scoperto che il movimento all'università era più vivo e vero di quello che ha trovato tornando al suo paesetto al termine degli studi. Solo che la perturbazione delle anime intiepidite non verrà dall'effettuare una qualsiasi sequenza di operazioni. L'orgoglioso e pigro imborghesimento di tanti che amano qualificarsi ciellini, abituati ormai alla “mangiatoia bassa”, sta silenziosamente devastando il movimento, e l'ho percepito con dolore agli scorsi Esercizi. Mi sento spesso circondato da gente con una strana miopia spirituale: pronti a lottare per la difesa della libertà del singolo pelo del leone, ma incapaci di avvertire la pericolosità del leone intero e affamato che ci sta puntando. Sedicenti ciellini che sono solo dei “cattolici adulti” con qualche frase di don Giussani infilata qua e là.

Don Giussani nel 1981, dopo la sconfitta del referendum contro la legge sull'aborto, disse che a quel punto sarebbe stato bello ripartire in undici. Potrebbe darsi che presto don Carròn si ritrovi a ripetere quelle stesse parole.


1) Per le libere offerte degli aderenti alla Fraternità (il “fondo comune”) conta solo la fedeltà del gesto, non la quantità di soldi effettivamente versati. Infatti non esistono né quote prefissate né controlli, ma solo statistiche.

2) Le opere del movimento di CL sono frutto della libera generosità dei singoli. Non ci sono Piani Quinquennali da rispettare, né previsioni di gettito da assicurare, né moralistiche verifiche di moralistiche tassazioni. Per questo c'è una dose annuale di sacrosanta ironia su coloro che si comportano come se CL fosse una qualsiasi delle disincarnate spiritualità che offre il supermarket delle religioni.

3) Tempi, molto giornalistically correct, lo chiama invece "lungo".

4) Il dovuto rispetto per le autorità è sempre accompagnato dalla franchezza, dalla chiarezza e dalla ragionevolezza dei motivi. Altrimenti è servilismo.

5) La tentazione di ridurre la scuola di comunità ad un parlatorio è proporzionale all'affievolirsi della sete di verità. Chi meno ha da domandare, più ha voglia di arieggiare l'ugola. Così mi tocca spesso dover pazientemente ascoltare montagne di parole prima di veder giungere il “dunque”. La perla è nel campo, ma per ottenerla bisogna comprarlo e perlustrarlo proprio tutto, il campo.

6) Don Giussani ha adoperato con chirurgica precisione una terminologia cristiana comprensibile. Se ne sono accorti tutti quelli che -come me- leggendo o ascoltando si sono detti: ma sta parlando proprio della mia vita! Il “gergo ciellino” è in realtà il risultato di una maniacale chiarezza nel descrivere qualcosa di vivo e di verificabile. Non come nella barzelletta dell'omelia del vescovo: “di cosa ha parlato il vescovo?” “Del peccato”. “E cosa ha detto?” “Pof, era contrario”.

7) Ancor oggi mi meraviglio di come tanti cattolici credano ciecamente nel sacro Telegiornale come fonte suprema della conoscenza della realtà (e dunque indispensabile fonte quotidiana dove attingere la “questione del giorno” su cui prendere posizione). Bramano il sacro Telegiornale allo stesso modo con cui santa Teresa di Lisieux aspettava il momento della Comunione.

8) Sorprendente e allarmante il fatto che certe comunità cielline restino sempre le stesse col passare del tempo. Si capisce non solo dal fatto che non crescono (cioè sono spiritualmente infeconde), trasformandosi in un mini-club delle stesse facce che “si parlano addosso” per interi decenni. Ma anche per il loro modo preconfezionato di vivere le cose della vita e le indicazioni del movimento. Sedicenti ciellini che discettano di stupore, ma incapaci di stupirsi. Chi detesta CL gioisce di tale effetto Chernobyl.

9) A titolo di curiosità si potrebbe sfogliare la rivista Tracce più recente e un numero qualsiasi di vent'anni fa per osservare le differenze (non enormi ma neppure piccolissime) tra i temi trattati e i toni utilizzati. Oppure la statistica dei partecipanti agli Esercizi Spirituali (universitari e fraternità).

10) Una delle primissime e incancellabili immagini del movimento scolpite nei miei occhi fu ciò che vidi partecipando per la prima volta ad una “Messa ciellina”: tutti inginocchiati alla consacrazione a costo di star stretti e sul pavimento, nessuno spalancava le braccia come un cretino al Pater Noster, la devozione con cui il sacerdote amministrava la Comunione... “Una vera Messa cattolica!” gridai dentro di me, sorpreso e vinto dalla gioia. Agli Esercizi di quest'anno si è vista la scena opposta: qua e là vedevo tanti che non si inginocchiavano, tanti che al Pater Noster spalancavano le braccia come dei deficienti, e più di un sacerdote frettoloso e seccato nel distribuire l'Eucarestia. Sì, nel movimento c'è proprio qualcosa che non va.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La mia impressione è che, nel movimento, almeno a livello di Fraternità degli adulti, si preghi proprio poco. Dalle parti mie si è addirittura abolita la Messa mensile comunitaria per "dar posto alla SdC". Come se la linfa del movimento la traiamo dalla SdC! Persino quando è ben fatta - quasi mai - non può mai sostituire la preghiera e, sopratutto, i sacramenti "fonte e culmine della vita cristiana". Correggimi se sbaglio, ma l'impressione mia è che purtroppo ci siamo "protestantizzati" (o in fondo in fondo forse è il nostro peccato originale).

Devo dire poi che don Giussani non era sostituibile (don Negri era colui che maggiormente lo assomigliava; don Carron fa quel che può).

Basemarom.