giovedì 21 luglio 2022

Procede spedita la creazione della claque (CL+AC)

La lettera di Farrell del 10 giugno 2022 dà una tale strigliata al movimento[1] che Prosperi l'ha dovuta introdurre insistendo sul fatto che la potatura porta frutto e le prese di posizione no.[2] È come uno che ha un cappio al collo[3] e invita i muscoli a non dimenarsi per non far stringere il nodo e per non far notare che si tratta comunque di una condanna per impiccagione.[4]

La crisi del movimento è iniziata con la sua istituzionalizzazione. Non fingiamo di cadere dal pero. Il nostro momento più alto fu il disprezzo con cui il cardinal Colombo ci scaricò dicendo che eravamo un'entità autonoma e separata dall'Azione Cattolica. Erano i primissimi anni Settanta, i tempi in cui potevamo essere fedeli al Papa e ai vescovi senza pagare il pesante obolo del far claque agli eventi ecclesiali e parrocchiali. Erano i tempi in cui potevamo parlare delle traduzioni eretiche del Credo e del Pater Noster senza sollevare dall'indifferenza neppure un sopracciglio curiale.[5] Erano tempi in cui nemmeno i più blasonati clericali trovavano tempo di esaminarci a caccia del pelo nell'uovo, bastando loro giudizi tranchant ripetuti acriticamente dai giornaletti comunisti.[6]

Poi venne il riconoscimento ecclesiastico. Prima alla Fraternità, nel 1982, e poi pezzetto dopo pezzetto - e non senza sudate fredde, scherzi da prete e ostacoli da burocrazia sovietica - alle altre realtà collegate. Cominciò, con quello, l'indiscutibile declino. All'inizio addirittura gradevole, come la percezione di un po' di pianura dopo che hai affrontato continue salite. Avremmo ancora vissuto a lungo l'ostinata e irragionevole ostilità della gerarchia ma almeno avevamo un nome, il clero non poteva più considerare illegale la nostra esistenza. Ci parve addirittura di averlo desiderato, il riconoscimento, come se l'esperienza cristiana abbisognasse tassativamente di un timbro curiale in carta bollata.[7] In effetti ci fu un moltiplicarsi di carte bollate, di piccole burocrazie - implicite ed esplicite -, di capi e capetti, di “chi è amico di chi”, di ciellini d'allevamento[8] e ciellini di serie B[9] e serie C loro malgrado, di gente che campava di rendita di posizione e di capetti locali impegnatissimi ai quali era così complicato chiedere un'udienza di cinque minuti o una semplice telefonata,[10] ma che trovavano intere giornate libere per incontrare una qualche “persona interessante”[11] che poi ci veniva proposta come novello maestro (e magari non era nemmeno cristiano, ancor meno interessato all'esperienza del movimento, e che in fin dei conti serviva solo come soggetto da applaudire per perorare qualche strano interesse personale di qualche nobile ciellino di rango medio-alto).[12] Soprattutto, fu un continuo rimproverarci di moderare i termini mentre fino a poco prima era un continuo precisare i termini: eravamo passati dal chiamare le cose col loro nome[13] al dover castrare i nostri discorsi per non urtare le suscettibilissime sensibilità altrui, specie quelle di spettatori immaginari.

Una ventina d'anni fa si poteva ancora vivere il movimento pur standone ai margini,[14] fuori dalla sua corrente mainstream e senza gettar manate d'incenso agli idoli del politicamente corretto, prendendo sul serio nei piccoli gruppetti[15] la scuola di comunità - che già all'epoca, almeno in queste lande brulle e desolate, negli incontri ufficiali sembrava già ridotta a una sconnessa ripetizione di espressioni udite “a Milano” dai grandi capi. Si poteva ancora andare al Meeting e agli Esercizi e tornare a casa arcicontenti perché ogni centesimo speso aveva dato frutto. I Memores erano ancora in costante crescita pur di fronte alle prime sbavature[16] che non promettevano nulla di buono.[17] Don Giussani, sempre più malmesso in salute[18], si era premunito contro eventuali lotte per la successione, scegliendo informalmente il don Carrón. Quando don Giussani venne a mancare nel 2005, salì al trono il Carrón, con la regolare votazione segreta che registrò tutti voti per lui tranne un astenuto (il suo). All'inizio sembrò persino un bene. Ma a lungo andare la situazione degenerò in carronismo e che - comica ironia del destino! - viene criticato dalla lettera del Farrell e dalle affermazioni di papa Bergoglio: la convinzione che il carisma sia ereditario,[19] cioè - indiretta ma inevitabile conseguenza - che i movimenti siano entità autonome indipendentemente dai propri contenuti e che perciò dovrebbero rapportarsi alla Santa Sede come in una federazione di club.[20]

“Un carisma sorgivo”, ci potevamo dire a suo tempo senza temere un esercito di curiali mobilitato a cercare il pelo nell'uovo. Ma pur essendo ancora vero che quel carisma non è riducibile a una rielaborazione di contenuti e tanto meno ad uno scettro che ci si passa di capo in capo, è qualcosa che oggi non si può più ricordare in pubblico, perché a negarlo nei fatti è stata quell'attitudine che qui amo chiamare carronismo, col suffisso -ismo che indica le ideologie. Scelto dal don Giussani per custodire e far crescere quanto già seminato, si è invece fatto strada come interprete assoluto prima e (involontaria? imprevedibile? naturale?) giustificazione di giussanologi e cielloti poi, cioè delle due riduzioni tipiche del movimento a circolino culturale e attivismo sociale.[21] Ciellini e Memores dell'ultima ora sembrano non avere gli anticorpi intellettuali necessari a capirne le conseguenze. Cioè ripetono anche con professorale destrezza ogni recente nota della diaconia centrale ma sembrano credere davvero che lo Scettro del Movimento sia tuttora abbastanza saldamente nelle sue mani,[22] come se fosse tutto lì il motivo per cui ai piani alti han deciso di snaturare, ridimensionare, e far fagocitare dall'AC il movimento.[23]

Occorreva pensare alla vita interna, alla crescita personale dei singoli, ma la combinazione di crescita numerica ed istituzionalizzazione ha indotto capi e capetti a traghettarci nella direzione opposta. Quelle stesse vacanzine, quelle scuole di comunità, quel darsi da fare insieme, è stato svuotato dall'interno: Cristo c'era a parole e solo convenzionalmente,[24] una volta ammannita la predica preconfezionata l'iniziativa era conclusa.[25] La Messa comunitaria diventava un prodotto artigianale prima e industriale poi, da catena di montaggio, in rispetto di standard ciellini curia-compatibili, e i nostri gesti pubblici tipici andavano castrati quanto basta per diventare indistinguibili dagli altri movimenti se non per il repertorio di canti da sciorinare.[26] Il Meeting cresceva in ampiezza ma diminuiva in contenuto. La nuova Cielle OGM a poco a poco sembra aver guadagnato davvero il beffardo destino che le hanno pianificato da tempo: finire a rimpolpare quello zombie altamente stagionato che è l'Azione Cattolica.


1) Più cerco di essere sintetico e più mi rendo conto che ciò che dico urta la sensibilità degli snowflakes ciellini e pertanto ogni affermazione richiede una mitragliata di chiarimenti preventivi. L'incapacità di riconoscere la crisi del movimento - o peggio il far finta di niente - sono la ricetta perfetta per l'eutanasia volontaria della Cielle OGM, ironicamente riassumibile in “cammina bene l'uomo che non sa dove andare”.

2) In qualità di ciellino mi aspetto che i vertici di Comunione e Liberazione abbiano maturato un giudizio anche su questioni contingenti, e che me lo comunichino e magari anche motivino, perché mi interessa parecchio sapere come la pensano coloro che guidano questa “compagnia guidata al destino”. E che se non lo hanno maturato, o se non lo ritengono importante, tacciano, senza menare il can per l'aia. L'essersi sempre presentati scodinzolanti alla gerarchia ecclesiale ha avuto l'inevitabile conseguenza di non poter più prendere posizione. Cioè i vertici del movimento hanno di fatto rinunciato ad essere voce autorevole sulle questioni importanti, trasmutando da realtà educativa a distribuzione di omelie. Per esempio, di fronte alla pandemenza covidiota, quando l'esimio cardinale beffardamente comandava di seguire la Messa in TV, poteva mai il movimento dare indicazioni diverse dopo aver srotolato tante sbavanti lingue al cardinale esimio?

3) Nonostante la proverbiale ubbidienza ciellina, l'impiccagione del movimento deve avvenire lentamente per evitare che anche soltanto quattro gatti dissidenti possano ricostruire qualcosa. Il clericalismo è spettacolarmente somigliante al più feroce stile sovietico, pronto a far vastissime distese di terra bruciata pur di mettere a disagio l'odiato nemico.

4) Da giovincello ho scoperto con dolore l'attitudine clericale a mazzolarti per il solo fatto di non essere utile alle loro piccole manovrine di politica ecclesiale del momento. Era già tanto quando si limitavano a pestare nuora affinché suocera intendesse. Ma pestavano, e pestavano sodo - in senso spirituale e psicologico, s'intende - e, kafkianamente, senza mai spiegarti il motivo o l'alternativa, se non in modo fumoso e ipocrita. Smisi perciò di dare una mano in parrocchia, aspettando il momento (ancora non arrivato) in cui avrei potuto ricominciare senza subire lo stesso trattamento. Ma i parroci mi detestarono comunque. L'unico ciellino della parrocchia non riuscirà mai a scollarsi tale marchio d'infamia. E ora vediamo i vertici del movimento assaporare lo stesso trattamento: mazzolati perché il movimento esiste. Non raccontiamoci balle: qualche problema oggettivo il movimento ce l'ha ma lo scopo ultimo dei nostri persecutori è di appiattirlo al punto da renderlo indistinguibile dall'insipida e disturbante Azione Cattolica. E magari ai vertici di CL, dimentichi di quello che era stato il movimento a suo tempo, hanno giurato pronta collaborazione al progetto.

5) Dai comunisti ci beccavamo molotov e pallottole ma è perché non sanno perdere, specialmente alle elezioni.

6) Le accuse di eccentricità non ci mancarono, qualche monsignorino più isterico si spinse perfino a dire che eravamo eretici. Ma erano giudizi sommari, campati per aria o al più sulle affermazioni di qualche baldanzoso e ingenuo ragazzetto: “credo solo nella mia esperienza”, e per gente abituata a sommergerti di chiacchiere - e a considerarle infinitamente superiori a qualsiasi tua esperienza - quello era il peggiore degli insulti.

7) Crea non poco dolore l'aver visto il movimento arrancare, zigzagare o addirittura indietreggiare, di fronte ai temi difficili di questi ultimi anni. Se ai piani alti erano stati capaci di professare un bergoglismo di maniera - “premiato” con la suddetta lettera del 10 giugno, e sono assolutamente certo che il cappio continuerà a stringersi senza pietà -, non potevamo certo aspettarci un giudizio sereno e chiaro riguardo alla pandemenza e al suo magico olio di serpente multidose, e all'operazione speciale in Ucraina. L'editoriale di giugno è l'ennesimo esempio di questo sentimentalismo cerchiobottistico da sinodo diocesano che cerca di tenere un piede in due scarpe tirando in ballo lo stupore dello sguardo da cui rinascono le cose della vita. Come se fosse più importante tenersi buoni i lettori anti-russi che dare un giudizio non allineato alla martellante propaganda televisiva.

8) Il ciellino d'allevamento è quella particolare specie di soggetto figlio di ciellini, nipote di ciellini, amico di ciellini che a loro volta sono figli di ciellini. La leggenda che siano soggetti con diritto di prelazione su posti di lavoro, borse di studio e altri privilegi si scontra con la realtà di problemucci personali - dal semplice spirito di ribellione allo stress di genitori iperattivi nel movimento. Quel che posso invidiare loro è l'accesso privilegiato ai pezzi grossi della Cielle senza doverli inseguire come un Wyle E. Coyote con Beep Beep.

9) In tutti gli ambienti sociali c'è gente che per circostanze privilegiate come ad esempio una rendita di posizione (abitare vicini ai capetti locali), riesce a stare in contatto con “quelli che contano” e a non stare mai out of the loop, laddove la maggioranza si affatica a fare altrettanto (come ad esempio un'ora di treno per andare alla scuola di comunità). Persino nell'epoca dell'internet e dei cellulari si innesca il circolo vizioso dell'acquisir punteggio nell'immaginaria classifica di chi “vive di più il movimento” (cioè vi investe molto più tempo dell'ordinario: può permettersi due ore di treno per un'ora di scuola di comunità). Così va a finire che soggetti di convinzioni eccentriche (e tutt'altro che cattoliche) permangono fastidiosamente nell'orbita dell'attenzione di capi e capetti, i “nuovi entrati” capiscono subito che c'è una cerchia di privilegiati, una serie B di gente ai margini che tenta di assorbire quel che di buono c'è e una serie C di manovalanza usa e getta. In altri tempi, quando leggevamo su Tracce espressioni come “una grande amicizia”, pensavamo che stesse parlando di noi fortunati di Serie B o C anziché degli altolocati di Serie A.

10) L'imborghesimento dei cattolici comincia sempre con l'incapacità di compiere gesti di carità alle persone “vicine” per occuparsi sempre di persone molto “lontane”. I bimbi del terzo mondo - cioè le loro artificiose foto con le facce sorridenti o sofferenti - che valgono più dell'amico che ha bisogno di cinque minuti di telefonata.

11) A furia di invitare al Meeting di Rimini tali “persone interessanti”, lo trasformarono esattamente nella caricatura che ne avevano fatto sempre i telegiornali di regime: una passerella estiva per politici e imprenditori, con applauso garantito e proporzionale al pezzo grosso di CL in cattedra a fare da moderatore e da richiamo.

12) Il mio continuo puntare l'attenzione sul piano “orizzontale” del movimento (dinamiche interne, rapporti con la gerarchia…) dà per scontata la necessità del piano “verticale” (la vita di fede e i sacramenti). Quando il primo è tale da non facilitare largamente il secondo, diventa un club, un associazionismo, un darsi da fare. Per questo don Giussani diceva che se la scuola di comunità non ti cambia, è inutile.

13) Per chiamare le cose col loro nome finimmo, seguendo fedelmente don Giussani, a maturare tutto un “gergo ciellino” completamente sganciato dal parolame chiesastico di ieri e di oggi.

14) Parlare del movimento dei tempi che furono sembrerebbe un po' come parlare di una ex che ti mollò senza motivo: ci vogliono anni prima di fartene una ragione e molti più anni prima di considerarla un argomento che non ti interessa più. Con la differenza che non considero affatto morto ciò che incontrai a suo tempo e che il disprezzo ce l'ho solo per il takeover che ne è stato fatto con successo tale da aver spazzato via pure quella possibilità di “stare ai margini”.

15) Abbiamo macinato parecchi chilometri di strade sgangherate pur di incontrarci per una passeggiata in montagna e uno scambiarci poche ma densissime parole nei momenti belli e meno belli della nostra vita. Ai loro genitori e parenti non pareva vero vedere questi “amici” così affiatati, e veder presa sul serio la fede, come se la fede fosse davvero parte della vita quotidiana anziché un fardello sociale di cui fare a meno quando nessuno ti vede. Ciò che nella scuola di comunità “principale” raccontavano di aver sentito “da Milano”, noi lo avevamo già vissuto. Mentre in quest'ultima ci si interrogava pensosamente su complicati concetti astratti - con pancia piena e termosifoni accesi -, noialtri ci beccavamo freddo e pioggia e si discuteva in macchina dei novissimi e dei sacramenti.

16) Ricordo con amarezza un bel po' di ex Memores che ad un certo punto, senza apparente motivo, avevano mollato tutto di punto in bianco. Come per gli abbandoni della talare, i primi a stupirsene sono quelli della casa stessa e quelli che avrebbero scommesso sul fulgido e luccicante avvenire di quella vocazione. È facile iniziare, è difficile - anzi, impossibile - donarsi a Cristo se si è entrati senza davvero desiderarlo prima. Il problema dei Memores, da qualche anno a questa parte, è che occorre essere compatibili col bergoglismo, il che premia chi si dona al Dialogo anziché a Cristo. E chi si dona al Dialogo si stuferà anche di essere trattato come un re.

17) Uno dei casi più dolorosi riguardava l'attitudine a giocare al “figli e figliastri” con la vita altrui, che già di suo è una clamorosa mancanza di carità, aggravata - faccio un esempio che ancora fa male - dall'aver promosso a Memor un esperto venditore di chiacchiere nello stesso momento in cui si bocciava un altro aspirante solo per mantener bilanciati ridicoli equilibri di potere e di prestigio di capi e capetti.

18) Ogni sei mesi correva voce che il don Giussani stesse piuttosto male, e noialtri si pregava sempre il Signore che ce lo preservasse ancora a lungo, anche se ormai in pubblico e agli esercizi della Fraternità erano già molti anni che non s'era più visto. Era stato ordinato al sacerdozio con un bel po' di anticipo perché temevano che morisse prima dell'ordinazione. Erano altri tempi. I tempi in cui la Messa era considerata un bene così prezioso da decidere, senza che il candidato lo richiedesse, di ordinarlo prima: “se se ne va giovane, almeno se ne va dopo aver celebrato Messa”. Nostro Signore ce l'ha conservato molto più a lungo di quanto sperassero quelli che gli vollero bene e di quanto temessero quelli che già negli anni Quaranta lo consideravano peggio che fumo negli occhi.

19) Una convinzione così assurda come quella del “carisma ereditario” non nasce come un incendio estivo ma come un sedimentarsi lento e costante di un pozzo di petrolio a partire da residui di dinosauri. Il gran capo, a lungo andare stufatosi di gente che cerca di rosicchiare una propria nicchia di potere, a poco a poco comincia a pensare di essere lui l'unico vero ed esclusivo interprete del carisma del movimento, tanto più che è stato scelto in persona dal donGius. Ma il donGius non lo aveva certo scelto per dirci “il movimento è lui”.

20) La brama di potere di certi ecclesiastici riconosce subito come antagonista quella sottintesa brama di potere del movimentismo ecclesiale che segretamente pensa che la Chiesa sarebbe una specie di arbitrato di una federazione di club. Magari c'entra complottisticamente anche il fatto che in questi ultimi anni sono diventati emeriti (o meno legati al movimento) diversi vescovi provenienti dal movimento o molto amici del movimento.

21) Il problema fondamentale del darsi da fare è che se ne diventa irrimediabilmente schiavi perché oltre a sembrar disdicevole il tirarsi indietro in un qualsiasi momento, si finisce per misurare i propri risultati e illudersi che abbiano un qualche valore spirituale. Il giussanologo penserà sempre di non aver fatto abbastanza prediche. Il ciellota penserà sempre alla presentabilità dei risultati del suo attivismo.

22) Quando spiegavamo su Litterae Communionis certe eresie delle traduzioni in lingua parlata di certe preghiere eravamo ancora piuttosto invisibili alle curie. Che non avevano tempo di metter becco sulla nostra vita interna, sull'organizzazione, sullo Scettro del Potere. Ora invece che abbiamo i riflettori puntati addosso, come in ogni GULag che si rispetti - e quindi anche quello clericale - qualsiasi cosa faremo in ubbidienza sembrerà sempre insufficiente, il cappio al collo non parrà mai abbastanza stretto. È possibile che ai vertici del movimento ciò sia già chiaro, e forse anche che è troppo tardi per tentare di salvare il salvabile, e che dunque si tratti solo di proseguire la recita del “tutto va ben madama la marchesa” sperando di rimediare infine uno strapuntino nella nascenda claque (CL+AC=CLAC) dei futuri eventi ecclesiali. Come già disse una volta don Giussani nel 1981, dopo il fallimento del referendum contro l'aborto, “sarebbe bello ricominciare in dodici”. Il movimento in versione giussanologi-cielloti-carronisti non è riuscito a sopravvivere un paio di generazioni.

23) Anche nelle storie ufficiali del movimento si nota come il declino dell'Azione Cattolica sia curiosamente parallelo al sorgere di Comunione e Liberazione. L'AC non aveva più nulla da dire, se non psicologismi d'accatto e buonismi politically correct. CL, invece, andava ai fondamenti più elementari della fede ripulendo il campo dagli equivoci tipici - fideismo, buonismo, sentimentalismo. Da allora ad oggi le gerarchie hanno investito tempo e risorse considerevoli per tenere in piedi il malconcio rudere di AC e non fa alcuna meraviglia che fin dagli inizi del pontificato bergogliano si accarezzi troppo seriamente l'idea di rimpolpare l'AC facendole fagocitare la CL. Ché quest'ultima ha i numeri, ha ben collaudate capacità organizzative, ha capillare presenza pubblica, ha ranghi disciplinati in tutte le fasce di età (immaginate come si leccano i baffi budgettando gli adulti della CLAC per le manifestazioni, i giovani della CLAC, i ragazzi della CLRagazzi, gli studenti della CLAC, i lavoratori della CLAC), e si vanta di ubbidire alla gerarchia. Se cominciamo a dirci che dopotutto Graecia capta victores cepit, significa che ci siamo già arresi.

24) E sì che uno andava alle iniziative del movimento per nutrire la propria fede, e sì che nel suo piccolo ci riusciva nonostante tante di quelle iniziative fossero più un darsi da fare che un'esigenza personale di crescita di chi l'aveva organizzata e caldamente invitato a parteciparvi. Ma ad un certo punto ho ritenuto non più bilanciato il rapporto fra quanto mi costava di soldi tempo e pazienza e cosa ne avrei cavato di crescita personale al termine. Ricordo con commozione stupide e squinternate vacanzine, mini-pellegrinaggi, passeggiate, facendoli - anzitutto da chi le organizzava e guidava - con cuore grato e commosso, come se Cristo c'entrasse qualcosa. Ricordo poco o nulla delle ultime a cui ho partecipato, perché del fare qualcosa di “che bello tutti insieme” non resta a lungo termine grande nostalgia.

25) La fede dei singoli ha saputo trarre beneficio anche da quegli eventi del movimento trascinati con finto entusiasmo da capetti impegnati a contare il numeretto vantabile di partecipanti. Il problema dei capi e capetti del movimento, una volta avviatasi loro malgrado l'istituzionalizzazione, è che hanno smesso di ritenere che quell'esperienza cristiana serviva anzitutto a loro, ciascuno di loro, personalmente. Hanno smesso di ritenere di aver sempre qualcosa da apprendere, pur essendo “capi”, ed hanno sostituito la capacità di stupirsi con le espressioni preconfezionate: “ieri mi colpiva questo… quest'altro… il telegiornale…”: la versione laica-amatoriale del pretino di campagna che non ha idea di cosa predicare ma sa che deve far durare la predica almeno venti minuti.

26) Non esistendo una tessera d'iscrizione al movimento, è entrata e uscita gente assai variopinta. Finché avevano una guida e un riferimento il movimento restava compatto. Quando il carisma è stato ridotto a scettro nelle mani del Carrón (col sottinteso che il prossimo Grande Capo, ereditandolo, avrebbe cambiato di nuovo le carte in tavola) qualcuno - come me - ha cominciato a notare la differenza tra ciò che lo ha fatto crescere e ciò che gli viene chiesto adesso. Ha cominciato a capire di essere parte di un club anziché di un'esperienza. Ha cominciato a chiedersi: mi sto donando a Cristo, o alla bergoglionata del giorno che dai piani alti ci comandano di applaudire? Ne segue che la realizzazione della claque CLAC avrà tutt'altro che il successone che han messo a budget.