domenica 25 agosto 2019

Il nipotino si annoia

Ricordo le davvero rare occasioni in cui da bambino mi sono annoiato. Per cui per me è peggio di una pugnalata alle spalle dover assistere alla scena di un dodicenne annoiato che non sa far altro che passare le giornate tra cellulare e Playstation, passando dal primo alla seconda non appena la batteria del primo, massacrata da ore intere di gioco, va sotto la fatidica soglia del diecipercento.

Entrambi gli aggeggi lo hanno rifornito di tutto l'armamentario di volgarità, perversioni e bestemmioni che il sottoscritto alla sua età considerava peggio che impensabili (e dire che in quegli stessi anni mi sono considerato comunque un selvaggio e ribelle). Preziosi anni della sua vita sprecati senza imparare altro che i latrati dei par suoi, col bonus aggiuntivo che in nome del neo-montessorismo può comportarsi da piccolo delinquente arrogante ricevendo premi anziché sganassoni educativi.

Di fronte a questi soggetti mi sembra di provenire dall'epoca di Neanderthal. A suo tempo, in certe occasioni, le ho prese. Era un'epoca (così vicina, così lontana) in cui un bambino si poteva ancora raddrizzare con un misto di mazzate e di sarcasmi. Il sullodato ragazzino, oggi, se le prendesse di santa ragione non appena le merita, non capirebbe, non capirebbe perché sarebbe la prima volta che le prende, penserebbe che è qualcosa di inaudito e che passata la tempesta potrà tornare a comportarsi peggio di prima.

La tragica sfortuna (chiamiamola così) di quest'epoca è la scomparsa dell'educazione, delegata a soggetti esterni (l'ambiente scolastico, la parrocchia, il branco, i videogiochi o altra attività per tenerlo occupato)... che è sintesi della scomparsa di un popolo.

mercoledì 21 agosto 2019

Investire su se stessi

Nonostante le magre risorse economiche ho spesso comprato oggetti perché stuzzicavano la mia creatività. Come quella tavoletta grafica tanti anni fa. Mi costò un capitale ma la sua sola presenza sulla mia scrivania mi invitava a disegnare. Ho disegnato. Migliorando negli anni. E imparato a editare foto. Avere un violino in casa non comporta automaticamente che tuo figlio diventi violinista. Ma è molto improbabile diventare violinisti se non hai vissuto l'infanzia con un violino in casa.

Un amico mi chiama dopo molto tempo per un consiglio. Sua figlia, a cui piace disegnare, ha chiesto una tavoletta grafica. E l'esperto, a suo dire, sarei io. Dopo un primissimo scambio di battute deduco che ha solo fretta di comprare la più economica possibile e considerare chiusa la questione. Non c'è nemmeno tempo per chiedergli se la ragazzina vuole un giocattolo in più da esibire sulla scrivania o se ha intenzioni più serie. Fra sessanta euro e ottocento euro, non c'è voluto molto a scegliere. Se proprio vuoi diventare violinista, devi prima mostrare gran talento con un mini violino di plastica (sempreché i tuoi lungimiranti genitori te l'abbiano davvero comperato).

Sarà che vengo da una terra di poveracci dove persino i formalmente ricchi erano incapaci di investire. I miei compagni di scuola avevano il ciclomotore e i videogiochi, ma solo perché i loro genitori percepivano il primo come status symbol e i secondi come spesa necessaria a quietare il lardoso pargolo. Sarebbe stata una storia assai più interessante, la loro, se anziché il ciclomotore e la stanza per i giochi avessero avuto a disposizione una piccola officina con una collezione di DeWalt, Makita e Black&Decker.

Intanto i poveracci, anche quando potevano permettersi qualche spesuccia non banale, consideravano uno spreco investire su sé stessi e sui propri figli.[1] Ogni centesimo non investito ma messo da parte viene considerato una vittoria. Del resto erano gli stessi che alla notizia dei pessimi voti a scuola, con un sospiro di rassegnazione chiedevano quanto costasse un doposcuola economico.[2] E quei figli di conseguenza crescevano illudendosi che investire su sé stessi consisteva nel videogioco all'ultima moda, nella Vespa, o in ogni altra idiozia che faccia colpo sui decerebrati che frequentavano la stessa scuola.[3] Sono certo di averlo compreso ancor prima di incontrare il movimento, ma fu solo frequentando gli amici del movimento che capii cosa significava davvero investire su sé stessi, che si tratti di una buona giacca, di una tavoletta grafica, di un'abbondante quantità di libri, della partecipazione agli esercizi e al Meeting...

Sono i ferri che fanno il mastro: se all'epoca avessi deciso di risparmiare quei duecento e rotti euro per la mia tavoletta grafica, non avrei sviluppato la capacità di disegnare che non ero certo di avere. Non puoi emergere dalla povertà se non puoi comprare ferri, o peggio se credi che il comprarli sia una spesa troppo rischiosa. Il povero resta tale per una combinazione velenosa di ristrettezza mentale e ristrettezza economica. La paura di fare un investimento sbagliato ("e se le compro il violino e poi si stufa di impararlo?") scende fino alle piccole cose. I nonni non avevano mai assaggiato il taleggio in vita loro perché "se poi non piace, significa che abbiamo buttato tre euro". Grazie a me ora conoscono decine di formaggi, dopo che per una vita intera si erano contentati di non più dei soliti tre o quattro. Grazie a me che ho incontrato il movimento. E vi ho visto gente investire su sé stessa. Più esattamente, prendere sul serio le proprie passioni.[4]


1) Mi dà ancor oggi una sensazione di disgusto il ricordare l'illusione dei miei di riuscire a mettere da parte abbastanza soldi per avviare l'acquisto di una casa, e l'illusione che l'unico vero investimento consisterebbe nel non spendere soldi "perché in futuro, sai, non si sa mai, se succede qualcosa bisogna essere pronti con abbastanza soldi..." (senza mai precisare quanto esattamente doveva essere quell'abbastanza da coprire ogni <i>ansia</i> presente e futura). Il risultato è consistito in una vita intera passata in affitto e l'inizio degli investimenti su me stesso coinciso col mio primo stipendio.

2) La riduzione dei figli a prodotto da esibire ad un'immaginaria platea di spettatori ha trasformato il doposcuola in una specie di multa ingiusta inflitta dall'autorità Scuola agli sfortunati che non potevano permettersi tale spesa.

3) Per affermare sé stessi - non appena si inizi a percepire l'assenza delle figure paterna e materna - i figli finiscono inevitabilmente per identificarsi col branco. Riesce a non farsi omologare dal branco solo chi ha avuto in dotazione abbastanza passioni e figure adulte da non dover cercare forsennatamente l'approvazione e le manovre anti-noia di un branco.

4) L'attuale e triste declino del movimento di Comunione e Liberazione nulla toglie a ciò che efficacemente trasmetteva fino a non troppi anni fa.

lunedì 19 agosto 2019

Distruggono i franchise che parlano della vocazione

Mi sorprende sempre come ogni grossa azienda prima o poi cominci a spararsi fucilate nelle proprie ginocchia. La Marvel non è da meno, imbottendo i film dei suoi supereroi di luoghi comuni di femminismo e sinistrismi vari, rendendo sempre più inguardabili tali film.[1]

Per fortuna c'è qualche appassionato che pone rimedio. Non è la prima volta. Così, dell'ultimo Avengers Endgame, è stata diffusa una De-feminized Fanedit (aka Anti-Cheese-Cut) da cui hanno tagliato via tutte le scene intese ad accattivare quella parte di pubblico femminile ideologizzata e stupida.[2] Il risultato è ottimo, con pochi percettibili glitch: un montaggio di appena 91 minuti inclusi i titoli di coda, di qualità paragonabile ai primi del Marvel Cinematic Universe, senza scene "cheese!" (termine fotografico per dire "sorridi!" davanti alla fotocamera), senza scene "il gruppo di femmine super-eroine che salva qualche super-eroe maschietto",[3] senza abbracci né scenette melense mid-fight... Sul serio: la prima beneficiaria di questo montaggio piratesco è la Marvel stessa (che pure aveva incassato fior di soldoni da pellicole ideologizzatissime fino alla stupidità, come Black Panther[4] e Captain Marvel).[5]

Il fascino dei fumetti di supereroi - durato parecchie decine di anni e ormai estinto[6] - era per gran parte dovuto a due inconfessabili esigenze del lettore: la percepita necessità di un Messia[7] e l'interesse sul tema della vocazione. Il mondo va a rotoli e quindi anche il sedicente agnostico/ateo[8] trova conforto in una storia di un supereroe che efficacemente affronta le ingiustizie che il potere (legislativo, esecutivo e giudiziario) non riesce a toccare (o peggio le alimenta). La vita è infame e quindi anche il sedicente agnostico/ateo trova sollievo in un supereroe che segue la propria vocazione (i grossi "superpoteri" che gli danno grosse "responsabilità") a costo di vivere nel nascondimento e di distaccarsi dai propri affetti.[9]

Se da un lato è impressionante la riuscita del MCU e del DCEU (che giustifica i ciclopici investimenti di risorse), non meno impressionante è il loro declino dimostrato anzitutto dalla sfacciataggine con cui vengono infilate a forza delle scemenze "politiche" come contentino per minoranze troppo chiassose. Me ne lamento perché non suona molto logico che in un ristorante di lusso ci si veda servire una torta con una bistecca sopra, e ancor meno una torta con una scarpa usata sopra, per quanto di gran marca sia la scarpa. Certo, lo spettatore intelligente e sveglio sorvola sulla forzatura e si permette anche di deriderla. Ma il popolino bue finisce per considerare che quelle sbobbe (diversità, femminismo, omosessualismo...) devono essere temi "importanti", più del tema della vocazione (che era il vero motivo del successo).


1) Un supereroe di colore, ci sta - era nei fumetti già a suo tempo. Super-tecnologico, ci sta, altrimenti le storie sarebbero state noiosi generici combattimenti contro noiosi generici nemici. Re di una nazione africana iper-tecnologica, ci può stare, per rendere misterioso il supereroe, per costruirgli attorno una nobile storia. Ma quando oltre a tutto questo vengono infilati nel film elementi insulsi intesi solo a far gasare lo spettatore negro più stupido e arrogante e lamentoso, oltre ogni ragionevole soglia di avidità commerciale, ti viene la nausea. "Popolare", infatti, non è sinonimo degli standard più bassi possibili.

2) A leggere certi forum americani vengono i brividi per il parossismo idiota con cui la terza ondata di femminismo promuove i propri dogmi. Ma il suo successo è dovuto solo all'essere utile idiota dei poteri che contano.

3) Che un film possa prendersi qualche libertà rispetto al romanzo o fumetto originale, ci sta. Ma che tali libertà siano a senso unico, già fa infuriare il fan pluridecennale. Se poi è una manovrina prettamente politica a favore di una minoranza tanto stupida quanto chiassosa, ancor peggio. Se infine gli artifici introdotti impoveriscono personaggi e trama anziché renderli "più interessanti" o almeno "diversi" (non in senso di diversity), allora veramente si meritano la distribuzione capillare dei De-feminized fanedit aka Anti-Cheese-Cut.

4) Capii che non valeva la pena andare a vedere Black Panther quando il primissimo trailer mostrò un grattacielo con tetto di paglia. Un pizzico di pseudoscienza serve talvolta a giustificare un deus ex machina e a riconnettere un paio di storyline divergenti, ma se serve solo come contentino per gente accecata dall'ideologia (quattro gatti, sebbene molto chiassosi), rovina tutto il film. Quanto a Capitan Marvel, occorre stendere un velo pietoso multistrato: uno spottone propagandistico per le isteriche femministe americane, una sorgente di meme e nient'altro.

5) I tanto vantati incassi sono probabilmente frutto di una gigantesca corsa ai ripari: valanghe di biglietti comprati dalla Marvel stessa per ingrossare un numero già artificialmente gonfiato di spettatori.

6) L'esistenza di nicchie di appassionati è cosa ben diversa dalla religiosa abitudine di andare in edicola a comprare l'ultimo numero e correre a casa per religiosamente leggerlo con cura e attenzione. Abitudine popolare, nel senso che c'era un popolo che riconosceva valida tale agenzia educativa. Anche il sedicente ateo trovava conforto in una rappresentazione di "Messia".

7) Che ovviamente Hollywood ha "umanizzato" a modo suo...

8) L'accanito, ossessivo e irrazionale rifiuto della fede, un vero e proprio dogmatismo, una convinzione religiosa calamitante facili sarcasmi ("l'ateo, se vede un grattacielo, pensa che è sempre esistito") ed ha creato dapprima un sottobosco di sedicenti atei e di sedicenti agnostici, caratterizzati unicamente dal profondo odio alla Chiesa Cattolica, quindi una minoranza fracassona al punto che talvolta pare quasi una maggioranza.

9) Il tema della morte dei parenti, magari dovuta al "crimine", al pari di quello del distacco dalle amicizie, è un comodo artificio narrativo per descrivere un concetto equivalente all'entrata in monastero.

domenica 18 agosto 2019

Lo zucchero per addolcire i telegiornali

C'era una volta il Meeting. È cominciato oggi un Meeting "nuovo corso" a cui ho ritenuto opportuno non andare. E c'erano una volta i "vescovi ciellini", la cui sola esistenza faceva infuriare sinistre, massoneria e clerical-progressisti. Oggi si sono adeguati al "nuovo corso". Per carità, nulla contro suonar concerti e giretti in autodromo, ma ai miei tempi, cioè sette o otto anni fa, dopo l'ordinazione e il rinfresco uno si ritirava in preghiera, non sul palcoscenico a costruirsi un'immagine dolce.

Chiedo notizie di un vecchio amico, e mi sento rispondere: "sì, ho conosciuto la sua compagna..." Era nei Memores. Chiedo notizie di un altro vecchio amico: "da quando si è sposato..." Lui e consorte erano nei Memores. Fammi indovinare, ha lasciato anche quella nostra amica che...? "Ah, quasi; ora non abita più nella casa (delle Memores)". Ai bei tempi (cioè sette o otto anni fa) uno intendeva donarsi a Cristo, non al Dialogo. Ai bei tempi uno entrava perché desiderava essere il sale della terra, non lo zucchero per i bollettini diocesani.

Magari è colpa del riscaldamento globale, chissà. Dopotutto, uscendo stamattina per andare a Messa, sento la vicina di casa che mentre fa le pulizie canticchia una cantilena: "Maledizione, maledizione, maledizione". O la nonna che scaccia le mosche con voce rabbiosa: "fanculo, fanculo, fanculo". Per strada cercavo di capire se entrambe stessero riflettendo sullo stato del movimento oggi.

lunedì 12 agosto 2019

La nonna e quei suoi: ''ma come?!''

La nonna si infuria perché un certo prodotto, che pagò tre euro nel 2015, ora le è costato cinque euro. All'epoca ero presente anch'io, e sopportai stoicamente la sua sfuriata in negozio: "ma come! quattro euro?", e riuscì a farselo scontare a tre. Così, quando stamattina siamo andati dopo tanto tempo nello stesso negozio per comprare la stessa cosa, ha cominciato a lamentarsi ("ma come! cinque euro?") per cui le ho ricordato l'episodio di quattro anni fa. Dopo sue supplementari insistenze per darmi a capire che non mi aveva proprio ascoltato ("ma com'è possibile! cinque euro?!") non ne ho potuto più e le ho fatto presente che il voler evitare di guardare la realtà non cambia la realtà. Che se hai un problema e lo traslochi comodamente nel cassetto delle cose da dimenticare, non è che il problema va via o almeno si ferma. Al contrario, continua a crescere.

Uno si rende conto di essere vecchio quando gli arriva una lezione di vita da qualcuno assai più giovane di lui. Alla nonna, alla sua veneranda età, pareva ingiusto farsi dare una lezione sulla realtà e sul buonsenso dal nipote. Perciò, furiosa, ha contrattaccato: "no! tu parli a vanvera!" Ho risposto alzando la posta: "per te parla a vanvera chi ti ricorda i fatti?" Lei, su tutte le furie: "se fosse per me, ammazzerei tutti!" (il "tutti" era naturalmente il sottoscritto). Al che, ridendo: "dunque per evitare di affrontare un problema ammazzeresti chi te lo fa notare?" Finalmente si arrende, sbuffa, e proclama di non voler più parlare.

Anche in altre occasioni, con tutto il possibile rispetto per la parente anziana, non mi ero risparmiato nel far notare che alle azioni corrispondono reazioni. Che la pace è figlia della giustizia. Che se vizi un bambino compi un'ingiustizia che ti si ritorcerà contro nel momento in cui accidentalmente lo incenserai meno di quanto si aspetta. Che se non ti opponi al vicino di casa quando si comporta da incivile, lo stai autorizzando a diventare sempre più incivile... Sono tutti "consigli pratici della nonna" che fino a non troppi anni prima aveva lei stessa generosamente distribuito a figli e nipoti.

La nonna ha sempre avuto la fissa dei negozietti. È lo scenario principale del suo mondo piccolo mentale. Ricordo che da piccolo la ascoltavo cantare le lodi della vita da negoziante: guadagni stabili, stress limitato, clientela fedele, il tutto rendendo un utile servizio alla comunità. Saranno anni che i suoi "ma come!?" danno dure capocciate alla realtà e - come stamattina - alle logiche conclusioni che le somministro volta per volta... e che lei cerca di schivare per poter conservare il suo sogno di paesetto tappezzato di utili negozietti pieni di premurosi addetti, socievoli e gentili, generosi e disponibili...

Stamattina si chiedeva ancora una volta come mai i negozietti non abbassino i prezzi delle merci, costringendo i clienti a preferire il supermercato. In queste lande sperdute e dimenticate compriamo al supermercato quel tal prodotto a marchio francese con scritta in piccolo Made in China, che lei alla mia età non poteva permettersi. Se nel negozietto sotto casa lo paghi il trenta per cento in più, è perché la grande distribuzione fa economia di scala, mentre la "libera circolazione" di merci e capitali ha fatto il resto, indebitando i nostri pronipoti per consentire alla nostra generazione di imbottirsi di orpelli e carabattole. Intanto l'inflazione ci toglie potere d'acquisto giorno per giorno, alimentando il circolo vizioso per cui continuiamo a comprare schifezze cinesi. Nonna, il tuo mondo piccolo sta svanendo proprio perché i prezzi sono così bassi (e sì, quel "cinque euro" era decisamente basso rispetto a quanto costerebbe produrlo qui).

Viviamo in una società dove lo sforzo individuale è ostacolato in ogni modo - che è una delle conseguenze dell'aver ridotto il lavoro a merce, cioè di averne dimenticato la dignità e di essersi illusi di poter campare di rendita, cioè di poter tutti essere imprenditori senza rischio. Le leggi sono calibrate per favorire i pesci grossi. E non c'è niente di strano che una cineseria che ci costò tre euro oggi ne costi cinque.

mercoledì 7 agosto 2019

Schiavisti

Di recente mi sono permesso di rifiutare qualche Opportunità di Lavoro perché avevo la netta impressione che sarebbe stato un banale commercio: tot euro in cambio di tot ore della mia vita. Mi vien da chiedere: ma quanto valgono davvero, in euro, le singole ore della mia vita? Tale domanda non viene intaccata dalle omelie sul testimoniare Cristo attraverso il proprio lavoro. Le ore della mia vita sono contate (ma uno ci pensa solo se ha fede o quando si rende conto che giovinezza e salute non sono affatto durature). Il mio lavorare nella tua azienda può essere solo il frutto di una convenienza reciproca (non solo economica), altrimenti è mediocrità, se non schiavismo o truffa. Di questi tempi sono praticamente schiavi tutti coloro che per mantenersi (e mantenere la propria famiglia) non possono permettersi di non lavorare.

Sì, il fatto è che viviamo in una società schiavista. Una società in cui normalmente devi "vendere" le tue ore di lavoro per poter sopravvivere. E non si tratta solo di ore. Per esempio danno tutti per scontato che hai un computer, un autoveicolo, un cellulare. Ciò implica carburante, bollette, manutenzione, costosi aggiornamenti, burocrazie varie. Cioè soldi, continuamente. Certo, sono oggetti che ti fa comodo avere e che magari desideri possedere, ma se vuoi lavorare devi averli. Talvolta si può fare a meno dell'auto... in cambio di tot ore in più da pendolare. Il risultato è lo stesso: parte del tuo stipendio (e del tuo tempo libero) viene bruciato per beni e servizi che ti consentono di avere quel lavoro. Cioè riducono nei fatti quello che era il già discutibile valore economico delle ore della tua vita che stai vendendo all'azienda poiché nella tua situazione non puoi fare a meno di venderle. Fra te e un bracciante c'è poca differenza: avrai pure ferie, scrivania e climatizzatori accesi, ma non puoi permetterti di "rifiutare un lavoro" nemmeno quando noti che la scosciata segretaria nullafacente guadagna più di te che hai una laurea in ingegneria e trent'anni di esperienza sul campo, nemmeno quando noti che il passacarte annoiato prende più di te che fai servizio su strada e turni di notte.

Chi si lamenta che nel nostro paese manca una "cultura del lavoro" sta implicitamente ammettendo che siamo in una società schiavista. Chi nota il crescente fiume di burocrazia e di tasse, la scomparsa del posto fisso, il popolo dei paganti mutuo trentennale, l'ormai certa e inarrestabile estinzione delle pensioni, sta implicitamente ammettendo che questa è una società schiavista.