sabato 25 aprile 2020

Stierlitz

C'era una volta un'amica consacrata che lesse l'intera saga di Harry Potter perché "se per i giovani è così accattivante, bisogna pur scoprirne il motivo". In qualità di femmina non si accorse che con lo stesso metodo si potrebbero giustificare i pornazzi, ma pazienza. Non è che il successone "tra i 'gggiovani" rende automaticamente di qualità un racconto.[1]

E quindi il sottoscritto, in questi giorni di arresti domiciliari di massa, ha visto con comodo - una puntata a sera, come durante la trasmissione originale - Семнадцать мгновений весны ("Diciassette momenti di primavera"), sceneggiato di spionaggio trasmesso sulla prima rete dell'URSS nel 1973, un successone replicato per decenni, una delle pietre miliari delle serie televisive sovietiche,[2] le cui novelle originali avevano convinto il giovanissimo Putin ad entrare nel KGB. Mi permetto qui qualche considerazione, senza spoilerare nulla.[3]

Mi dicono che nella mentalità russa l'uomo vero si innamora una sola volta nella vita, e resta fedele a quella donna in ogni circostanza, anche dopo essere stato abbandonato per sempre.[4] Queste ineluttabilità e tragicità sono espresse con un carattere cupo e distaccato, con uno sguardo enigmatico puntato lontano e inafferrabile.[5] Il protagonista di quei diciassette momenti primaverili, "von Stierlitz", è quell'uomo con in più tutte le caratteristiche ideali di un agente sovietico. Scaltrezza, impassibilità di fronte alle difficoltà, capacità di sfruttare le esitazioni del nemico e di provocarlo quanto basta, accurata pianificazione, ottima memoria, logica ferrea. Cioè quello che personalmente definirei un ottimo giocatore di scacchi. Soggetto recitato ottimamente: non meraviglia che i russi - a cominciare da Brežnev - ne andassero così fieri.[6]

Stierlitz non è un Getmanov, la storia non è di candidi e virtuosi operai del Soviet comunisti fino al midollo che sconfiggono il lercio e schifoso borghese nemico del proletariato. È solo uno che sta facendo bene il suo mestiere. Perfettamente compenetrato nel personaggio nazista che riveste, pronto ad uccidere a sangue freddo o a domare i propri sentimenti, senza mai tradire ciò che sta pensando. Alla fine della serie uno si chiederà per cosa vive la sua vita l'agente Isaev, alias il "compagno Yustas", alias lo Standartenführer Stierlitz, per cosa ha ripetutamente rischiato tutto. Non è che la moglie - lontana, presente solo in una lunga sequenza muta che è di fatto solo un riempitivo per "umanizzare" il protagonista - e il privilegio della cittadinanza sovietica siano sufficiente motivazione a farlo aggirare perennemente nella fossa dei leoni. Per cosa combatteva? Mistero. Tesseva la sua trama, seguiva gli ordini, affrontava i rischi del mestiere (l'indicibile è che quelli fossero i rischi minori: nel caso di qualche nota stonata, avrebbe dovuto temere molto più i sovietici che i nazisti).[7]

Intendo dire che quel "per cosa" è un non-detto che gli spettatori sovietici del '73 dovevano assolutamente fingere di non conoscere: cioè che un vero "Stierlitz" avesse non solo un punto di riferimento remoto da contattare periodicamente via radiotelegrafia, ma diversi agenti sul campo a cui fare frequentemente rapporto, da cui prendere continuamente ordini contraddittori, da cui venir seguito, controllato, valutato, come esemplarmente descritto ne Il montaggio di Volkoff. Nella loro sospensione dell'incredulità quegli spettatori immaginavano Stierlitz piuttosto libero di muoversi[8] ed agire e senza nessuno che segretamente lo tenesse d'occhio fin nei minimi particolari, senza nessuna commissione segreta pronta a chiedersi severamente "quale rotella non ha funzionato", senza nessuna "squadra" pronta a terminarlo senza dare nell'occhio.[9]

La storia è piuttosto intricata[10] e richiede memoria visiva e ragionamento,[11] pena il perdersi facilmente nella fitta trama di eventi e dialoghi. Gli inserti sui file top secret hanno un che di comico: ogni nazista è descritto come un Vero Ariano, di Carattere Nordico, Implacabile coi Nemici del Reich. Ma è solo un espediente per imprimere nella testa dello spettatore la faccia e il nome del personaggio da "gestire" mentalmente per comprendere la serie da quel punto in poi.

Nella serie abbondano momenti un po' troppo "borghesi" per quelli che teoricamente dovevano essere i gusti di un regime sovietico, anche quando si trattava solo di mettere in cattiva luce i nazisti. A quanto pare anche nelle serie sovietiche si consentiva allo spettatore di sognarsi nei panni di uno dei protagonisti - cioè ricco, di vita mondana, di elevato status sociale, di grande potere, sempre in abiti puliti e di pregiata fattura, magari intento a giostrare congiure di palazzo pasteggiando cognac mentre il popolino hitleriano va alla guerra o patisce i bombardamenti. Le immagini dei nazisti, nelle loro impeccabili divise, quasi stridono con le immagini di repertorio.

Salvo che per certi pezzi grossi - per i quali la serie non si risparmia nel rappresentarne beghe, invidie, avidità[12] -, i nazisti vi vengono dipinti in maniera piuttosto benevola. Gente che fa il proprio dovere, che ubbidisce agli ordini, che ha scrupoli di coscienza, che è dalla parte del popolo, gente a cui i pezzi grossi fanno pagare amare conseguenze per essersi trovata per caso nei paraggi di un sospettato.[13] La Germania nazista vi appare quasi un paese legittimo con una politica legittima (e forze armate degne di questo nome) ma che ha commesso l'errore di aggredire l'Unione Sovietica,[14] mentre la questione della Shoah non viene quasi per nulla menzionata,[15] forse il motivo per cui in Italia la serie è piuttosto poco conosciuta (erano gli stessi anni in cui in un paesetto emiliano si installava in pubblica piazza un busto di Lenin, esposto ancor oggi all'adorazione pubblica dai fedeli).

La serie me la sono gustata, pur chiudendo un occhio su alcune imperfezioni[16] e notando quante volte sui nazisti venivano proiettate attitudini e abitudini dell'apparato repressivo sovietico. Ho qualche sospetto, però, che l'amica di cui sopra non sia troppo disposta a vederlo, benché abbia appassionato più di una generazione di russi.



1) I 'gggiovani avvertono la sola urgenza di auto-convalidarsi come tali, e quindi sono un target ideale di mercato. "Se tutti hanno La Plei, devo averla anch'io! Se tutti leggono Harry Potter, devo legg-- uhm-- dovrò magari prima o poi considerarlo anch'io". Il risultato è questo branco amorfo di 25-45enni autoconvinti di essere adulti e di idee originali, che proclama la propria fede nei più triti luoghi comuni in tema di vaccini, boomer, politica, relazioni sentimentali, Chiesa, ecc.

2) Tradurrei volentieri l'articolo di wikipedia in italiano, ma penso che l'ambiente tossico dei moderatori wikipediani italioti, a furia di lasciarsi andare a modifiche che alterano il senso (quando la fanno loro non è mai "edit war"), a revert arbitrari, a cancellazioni per presunta "non enciclopedicità" (avvenute addirittura su voci create negli edit-a-thon a tema) e a "la verità è data dal consenso" (col sottinteso che la minoranza chiassosa dei moderatori e dei wikipediani più ostinati è quella che letteralmente vota cosa sarebbe "vero" e cosa no, ogni volta che le prove non siano davvero schiaccianti), non meriti il tempo altrui, men che meno il mio, specialmente quando una voce tocca parecchie buzz-word "sensibili".

3) Sebbene affascinato da sempre dalla lingua russa (il cui alfabeto lo imparai già da bambino), ogni volta che mi cimento a imparacchiarne un po' ottengo risultati magrissimi a fronte di sforzi titanici.

4) Al russo piace raccontare e ascoltare. Ne parla - sospirante e compiaciuto - Solženicyn in Arcipelago GULag, soprattutto quando spiega come è riuscito a venire a conoscenza di tutto ciò che ha trascritto.

5) Forse dovrei dire epicamente tolstoiano? Verso il Tolstoj non ho una gran simpatia. Da piccolo mi regalarono da leggere Guerra e Pace, mi piacque così tanto che non arrivai neppure a pagina 99, e da allora non ha fatto altro che prendere polvere.

6) Vero è che l'autore delle novelle, Semënov, era stato incaricato da Andropov nei primi anni '60 (toh, quando Putin era adolescente) di scriverle per mettere in buona luce "patriottica" il lavoro squisitamente repressivo del KGB. Миссия выполнена.

7) È un racconto di spionaggio, cioè dove i colloqui e le mosse di poche persone decidono destini immensi, e il KGB giustamente temette che potesse dare l'impressione che "la guerra l'hanno vinta le spie", obbligando la regista a inserire immagini di repertorio di eroici soldati russi che distruggono il nemico nazista.

8) Epica la trollata dell'attore protagonista Tichonov che, nella ex DDR dove si stavano girando alcune scene, esce per strada già vestito da Standartenführer nazista (ufficialmente per risparmiare tempo sul set) e percorre poche centinaia di metri a piedi prima di essere bloccato dalla polizia tedesca. Occorse un po' di fatica per non venire arrestato, e le riprese poterono proseguire.

9) Squadre, peraltro, composte da uomini soggetti allo stesso pericolo: al primo presunto errore sei finito. L'episodio di Getmanov, in cui un'accidentale menzione di un argomento tabù a tavola non verrà dimenticata e rovinerà una carriera al momento giusto, è solo la versione più dolce. Come incessantemente spiegato da Solženicyn in Arcipelago GULag, quando tutti sono controllori di tutti non hai scampo.

10) Sarà che l'ho seguito con sottotitoli in inglese e inespressivo doppiatore polacco, perché non volevo la versione a colori ma accorciata. Quanto ho odiato quel "gencùia!" (dziękuję) a ridosso di ogni "spasìba" (спасибо).

11) Per esempio non viene spiegata la scala gerarchica dei protagonisti nazisti e dei complessi rapporti di collaborazione e rivalità tra le diverse entità militari tedesche. La cinematografia americanoide, e dunque anche quella della colonia americana dello Stivale, presuppone spettatori piuttosto distratti e scemi, al punto da dover semplificare tutti gli schemi, spiegare le allusioni fatte, mostrando spesso visivamente un dettaglio mettendolo in primo piano per un attimo (e inducendoti a pensare: "sì, l'avevo già capito, grazie"). Mi dico sempre che dovrei curare un'antologia di scemenze cinematografiche hollywoodiane (in due categorie: "originale", e "ulteriormente deturpata dal doppiaggio italiota"). Già oggi Hollywood è difficilmente distinguibile da Bollywood, e non certo per i meriti di quest'ultima.

12) Non meno ripugnanti saranno gli americani (tanto più che settantacinque anni dopo sono ancora come venivano dipinti).

13) Non a caso la critica dirà che i nazisti vi erano rappresentati come se fossero staliniani.

14) Che l'Unione Sovietica staliniana avesse rischiato seriamente di essere sconfitta dai nazisti è testimoniato anzitutto dal fatto che Stalin volle chiamarla "guerra patriottica". Quando un comunista parla di patria e ti consente addirittura la riapertura delle chiese, significa che è con l'acqua alla gola. La vulgata sulla "guerra patriottica" vige ancor oggi: non c'è russo che non sia fiero che il suo popolo abbia "sconfitto i nazisti" (intesi non in termini di "campi di concentramento" ma in termini di "nemico forte, efficiente e potente"), e perciò non è strano che in uno spettacolo televisivo d'epoca brežneviana occorresse presentare la Germania nazista come un nemico di tutto rispetto, temibile, serio, organizzato, elegante. È imbarazzante la somiglianza scenografica fra l'apparatchik sovietico e il gauleiter nazista: stessa scrivania, stessa inquadratura, stesso campanellino per chiamare l'attendente, stessa serietà nel parlare. Altro che gli ottant'anni di hollywoodismo, che ci hanno imposto la rappresentazione esclusivamente caricaturale dei nazisti: bestie sanguinarie, robot prevedibili, perfidi idioti, sadici selvaggi.

15) Penso che ad annacquare il fatto storico della Shoah, qui in Occidente, sia quel rituale pseudoreligioso ai limiti dell'isteria che impone di recitare determinate formule per non ricevere l'immediato linciaggio sociale (come minimo) riservato ai così detti "antisemiti". Nell'URSS brežneviana il problema non si poneva. Come documentato magistralmente da Solženicyn in Due secoli insieme, e come ricordato qualche anno fa dallo stesso Putin in un discorso al museo ebraico di Mosca, «fino all'80-85 per cento dei primi membri del governo dell'Unione Sovietica erano ebrei». Esercizio (sconsigliato) per i lettori: si provi a fare la stessa affermazione in un compito in classe o nella sala mensa aziendale.

16) Come il pastore Schlagg, indicato come prete cattolico ma vestito da protestante.