martedì 28 febbraio 2017

Ancora sulla liquefazione del movimento

C'è un altro vecchio articolo di Roberto De Mattei su cui vale la pena tornare.

Premetto che ho grandi amici "tradizionalisti" che accusano di "modernismo" il movimento di Comunione e Liberazione perché si limitano al suo aspetto più superficiale - che poi è lo stesso che nelle mie paginette di blog ho sempre indicato come "imborghesito", ridotto cioè ad un attivismo (da "cielloti") o un intellettualismo (da "giussanologi").[1]

Un avvenimento di vita cioè una storia fu uno dei libri le cui pagine lasciarono il sottoscritto adolescente a bocca aperta,[2] tanto facevano risultare evidente il nesso tra la fede e la ragione. De Mattei invitava a rileggerlo per verificare - a suo dire - di essere rimasti "con una sensazione di vuoto intellettuale".

È vero, nel senso che quel libro non contiene intellettualismi. È una raccolta di articoli e interventi, non è un ponderoso e articolato volume di dottrina. La sua forza sta nel far emergere la mentalità di chi si oppone a quella riduzione del cattolicesimo a fatto intimistico, a ispirazione interiore, a collage di buoni sentimenti e persino a fatto intellettualistico. Esattamente le gabbie puzzolenti verso cui il mio intuito di adolescente provava la più marcata e chiara repulsione. Qualcosa di vero non può essere invivibile o lontano dalla mia vita. Non sapevo ancora esprimerlo ma lo capivo: desidero una vita, non la tessera di un club e il suo strano gergo. Non so chi altro, al di là di don Giussani, abbia osato affermarlo da parecchi decenni a questa parte.

De Mattei avanza nella convinzione che CL sia talmente impegnata a elucubrare sull'avvenimento da non aver più tempo di scoprire il nesso che ha con le verità di fede. Quella che lui accusa come riduzione del cristianesimo a "pura esperienza ed esigenza dello spirito" coincide esattamente con la mia pluriennale critica a vasti settori del movimento che si sono fermati all'esperienzialismo da salotto, riducendo il movimento ad un discorso sul movimento.

Imbattendomi in certe persone concrete - che per amor di sintesi qui chiamo "CL" -, una delle mie prime esigenze fu quella di procurarmi il volumetto del Catechismo di san Pio X[3] e altri classici della fede (oltre ai testi indicati come salutari dal movimento) perché mi sarei sentito una mosca bianca a fare diversamente. Nessuno del movimento me l'aveva comandato o suggerito, eppure non riuscivo a sentirmi "ciellino" senza poter sfogliare con avidità quel Catechismo che quelle persone concrete (divenute rapidamente i miei migliori amici) stimavano e citavano. La loro era una fede vivibile, una fede che non è più un fardello o un'attività da circolo ricreativo, ma qualcosa che fa vivere più intensamente e più veramente la vita: il movimento che avevo incontrato mi induceva a desiderare di conoscere quelle verità di fede che erano i pilastri di quella vita. Nei primissimi tempi scoprii grato e commosso che i Memores Domini (i consacrati di CL, i ciellini che sul movimento hanno scommesso l'intera propria vita) pregavano con la serietà di chi è cosciente che quel gesto sta impercettibilmente cambiando il mondo (ciò che in parrocchia era trattato come robetta infantile e devozionalistica, tra i Memores era un gesto virile). È stato vedendo loro che ho capito che quelle preghiere erano indispensabili anche nella mia vita.

"Incontrando", ho ereditato e fatto mie delle cose che nei libri di don Giussani probabilmente non sono scritte ma che i migliori che lo hanno seguito le avevano già fatte proprie. Nessun mistero: è semplicemente il fatto che la carta stampata non è l'esatta fotografia della realtà (ed è anzitutto questo che De Mattei pare non aver capito).

Per questo stesso motivo sono stato (e oggi sono ancor più) pungente e sarcastico contro la riduzione esperienzialistica, che dà per scontata quell'eredità e si limita a rendere il movimento una "giussanologia" per "cielloti" sorridenti e dotati di molto tempo libero.[4]

De Mattei afferma che in CL "i princìpi che precedono l'esperienza e da cui l'esperienza dipende" sarebbero messi in secondo piano. Con dolore devo spesso dargli ragione, perché da quando ho incontrato il movimento fino ad oggi, ho dovuto rivedere più volte al ribasso la percentuale di ciellini per i quali l'avvenimento ineluttabilmente richiede e produce la sete di verità e dei sacramenti. Proprio noi che abbiamo sempre esaminato con attenzione i pericoli della riduzione della fede ad un sentimentalismo o ad un elenco di cose da fare. Proprio noi che ci siamo fatti beffe delle caricature che i sinistrorsi facevano del movimento. Proprio noi che abbiamo dedicato al Senso religioso molto più tempo che sulle altre questioni.

Quanto alla "scarsa sensibilità liturgica" di CL deprecata dal De Mattei, devo pensare che delle messe cielline ricordi solo la pur composta e veloce comunione sulle mani e che molti preti di CL sono diventati ciellini dopo anni e anni e anni di vita parrocchiale (è oggettivamente difficile, per un parroco, cambiare il proprio "stile" liturgico, anche se ha "incontrato ci-elle", così come è oggettivamente difficile, per un prete, cominciare a distinguere tra la sacrosanta ubbidienza e il non voler guerre coi confratelli, coi superiori e col vescovo). Non credo di essere una mosca bianca solo per aver incontrato assai raramente liturgie cielline sciatte ma... erano state sciatte perché il prete, sedicente ciellino, era sempre stato sciatto di suo. Se poi osserviamo la "sensibilità liturgica" delle parrocchie e degli altri movimenti, la sobrietà ciellina ha del proverbiale.

Sul perché De Mattei sommando gli indizi giunga a una conclusione inesatta è necessario un altro esempio. La convinzione della positività del reale è stata ridotta ad un generico ottimismo da parte di tanti ciellini, non di "tutti" i ciellini.[5] Per esempio il mons. Negri,[6] che di fronte al ribollire del modernismo ha saputo distinguere tra un legittimo desiderio di "cambiare per migliorare" (positività del reale) ed un pericoloso e maniacale accanimento del "negare per ricostruire". Cosa che naturalmente infastidisce gli esperti di quadripiloctomia, desiderosi di discorsi orwelliani "quattro zampe buono, due zampe cattivo", che sono poi gli unici che comprendono. Chi contesta l'esperienzialismo dovrebbe stare attento a non prestare il fianco al dottrinarismo o al cerimonialismo per poi fregiarsi abusivamente del titolo di "cattolici senza compromessi".

Ho anch'io applaudito (di malavoglia e per ubbidienza al capetto di turno) a qualche politico ciellino o "vicino" al movimento,[7] salvo poi far fastidiosamente notare qualche tempo dopo che misera fine aveva fatto il nostro contributo di applausi e voti, e ancor più fastidiosamente far notare che la patetica giustificazione del "meglio lui che i comunisti" non solo non reggeva alla prova della realtà ma risultava perfettamente simmetrico con l'errore ideologico che avevamo sempre condannato.[8]

Quando Borghesi dice che la pedagogia dell'esperienza salvò la Chiesa più del tradizionalismo, sta evidentemente parlando di quello già autoridottosi a difendere forme esteriori e regolamenti. Quando De Mattei afferma che il movimento non ha saputo dare ai giovani gli "strumenti teologici e filosofici", sta dimenticando che il movimento non era costituito da pensosi studiosi modello Alleanza Cattolica,[9] e che è già un risultato eccezionale (ancorché evidentemente insufficiente) l'aver resistito senza opporre ideologia a ideologia.

Mi sorprende, dunque, come De Mattei - che non è l'asino della terza elementare - riesca a ridurre il movimento ad un equivoco: "Ma chi è Cristo? La risposta ciellina è scoraggiante: colui che si incontra." Ha confuso il mezzo col fine. Ai bei tempi don Carròn poteva ancora permettersi, al momento delle domande durante gli esercizi spirituali, di riassumere drasticamente: "Ma allora Cristo è il movimento? Risposta breve: sì. Risposta lunga: attraverso il movimento..." Questo perché ciechi non possono guidare altri ciechi (salvo miracoli), così come volenterosi cercatori di Dio non possono incontrare o far incontrare Cristo (salvo miracoli). Don Giussani ha ripetuto fino alla nausea che è l'imbattersi con qualcuno che ha già incontrato Cristo a dare la concreta possibilità di incontrarLo, e il Vangelo e gli Atti sono una vasta carrellata di incontri umani, di un continuo imbattersi in una presenza indescrivibile ma riconoscibile, con o senza previ studi dottrinali. Che sono il risultato di una sete, di un fuoco acceso, non di un dovere.

Ci sono voluti diversi libri per spiegarlo (Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa: proprio il materiale fondamentale del movimento), e mi pare alquanto frettoloso confondere il mezzo col fine e ridurre Cristo a "colui che si incontra". Ma forse ha avuto a sempre a che fare con persone colte, satolle e fini disquisitrici di temi apologetici, non come ragazzi del calibro di Edimar che a causa di un incontro imprevisto liberamente cominciano a desiderare tutto il resto della fede. Che non diventa atto "meno razionale" solo perché risvegliata da un incontro, anzi.


1) In tempi recenti si è aggiunto il tag "carroniani" per indicare i soggetti che sotto sotto sono disposti a parecchi compromessi pur di apparire come i tifosi del Papa applauditi dal mondo.

2) Mi stupì parecchio anche la scarsa considerazione che avevano di quel libro, come se fosse vecchio e superato.

3) Ricordo ancora quel giorno in cui la suora delle Paoline tirò fuori quel libretto impolverato da ventiduemila lire dicendomi con fastidio: "altrimenti abbiamo questo". Evitò accuratamente di guardarmi in faccia perché vi avrebbe visto la gioia di chi si vede restituire le verità di fede subito dopo aver scoperto che la fede è una cosa da uomini.

4) Il "carronismo" di vaste percentuali del movimento si è ridotto a discorsetti politically correct farciti di paroline del gergo ciellino: esattamente il fenomeno che abbiamo sempre deriso e ridicolizzato.

5) Ti accorgi di parlare con un credente nel "carronismo" quando il suo intercalare si riduce a goffi tentativi di cambiar discorso: "ma dai, ti lamenti sempre?".

6) L'unico vescovo italiano contemporaneo che ha esplicitamente ricordato le condanne della Massoneria.

7) Il "movimento", per definizione, è qualcosa di fluido, qualcosa che si "muove", senza confini precisi, per cui "vicino al movimento" è un'ambiguità elevata al quadrato.

8) Il leccapiedismo ad Andreotti non era proprio disinteressato, così come purtroppo non lo sono state le sviolinate alla Bonino, Napolitano e altri poco attraenti soggetti. Ma il votare qualche insipido democristiano non ti faceva vergognare come il far da claque all'abortista radicale.

9) Quella che don Giussani chiamava ingenua baldanza e che si esprimeva in canzonette artisticamente misere ma stracariche di ricordi per chi "c'era stato", non era l'essenza del movimento ma il suo aspetto esterno più facilmente riconoscibile. Del resto nessuno ha mai potuto misurare la crescita personale dei singoli, cioè ad esempio di quelli che andavano all'adorazione eucaristica anche se non glielo diceva il movimento.

giovedì 9 febbraio 2017

Intaccata l'ubbidienza, cioe' l'amicizia

Per riflettere sulla brutta piega che ha preso il movimento sarà fastidioso ma indispensabile mettere da parte il gergo buonista[1] e ammettere che il pesce puzza dalla testa: è lo stesso Carròn a propugnare una versione annacquata del movimento.[2] Il Carròn di dieci anni fa non è lo stesso Carròn di oggi:[3] per verificarlo basta confrontare i suoi interventi nelle due epoche.[4] Conoscendolo, temo che sia perfettamente cosciente di ciò che fa e temo pure che il suo più alto scopo sia quell'ubbidienza tamquam baculum che sotto sotto abbiamo sempre professato[5] (poiché in fin dei conti la più facile), sottilmente banalizzando quell'espressione di don Giussani secondo cui chi non ubbidisce sta sicuramente censurando qualcosa, mentre chi ubbidisce -anche senza capire- non sta censurando niente.

L'ubbidienza è una forma di amicizia: riconoscendo la seconda diventa ragionevole la prima persino quando non si capisce. Ma se per una brevissima distrazione si lascia passare il perno da amicizia ad ubbidienza, si finisce per eseguire ordini, si finisce per essere tamquam baculum - come una scopa di cui il capo si serve e poi lascia lì fino al prossimo utilizzo.[6] Sebbene ci siamo ripetuti tante volte che l'ubbidienza è una forma di amicizia, in tutte quelle riflessioni la prospettiva era sempre quella di chi segue: mai un accenno a chi viene seguito e alla sua quotidiana tentazione di adoperare quell'amicizia come baculum,[7] con corollari grotteschi come ad esempio per quegli sventurati ciellini che per ubbidienza ebbero da applaudire alla più famigerata abortista italiana, un evento impensabile fino a pochi anni fa.[8]

Ironia della sorte, chi più sapeva che don Giussani non è riducibile ad una lista di affermazioni e concetti, più ha lasciato crescere e diffondere il virus di quell'ubbidienza cieca, della riduzione del movimento ad una claque.[9] L'etichetta carroniano indica il sintomo oggi più riconoscibile[10] ma la malattia non è nuova: si tratta della riduzione della fede ad un'ideologia, esattamente ciò di cui fino a non troppi anni fa nel movimento si veniva adeguatamente messi in guardia, mentre oggi il tema è toccato solo dopo abbondante spruzzata di astrazioni.[11]

Sono giudizi duri ma addolora davvero il trovarli ragionevoli al punto di non riuscire più a tacere. Dopo aver preso in giro per una vita intera coloro che confondevano il carisma del movimento con le attività, coi discorsi, coi capi, perfino agli esercizi ho la sensazione di essere circondato da quegli errori.[12] È come se da tempo i capi del movimento avessero stabilito che l'urgenza primaria è di tenere in piedi la giostra e che non vale più la pena battersi per ciò che venti, trenta, quarant'anni fa erano le poche cose che realmente cambiano la vita. È come se l'imborghesimento avesse infestato anche i vertici.[13]

Potrebbe essere il preludio alla silenziosa fine del movimento, o alla sua quasi involontaria rinascita da parte dei quattro gatti sinceramente stufi delle eleganti chiacchiere autoconsolatorie in gergo ciellino.[14]


1) Il buonismo ciellino è una versione moderata del politically correct ed è il grimaldello della parlantina dalle leziose e interminabili sfumature di tutti quelli che pur capaci di dire pane al pane e vino al vino non sanno tacere quando necessario.

2) Un'affermazione del genere provoca reazioni scomposte a chiunque abbia la memoria corta e si contenti del solito pastone farcito di termini giussaniani. Basterebbe però domandarsi onestamente: cos'è che ha cambiato la mia vita? Cosa costava esser ciellini dieci, venti, trent'anni fa? Ciò che è avvenuto imbattendomi nel movimento dieci, venti, trent'anni fa, può ancora avvenire oggi oppure ho davanti solo un club parrocchiale qualsiasi e il suo pretenzioso e aristocratico gergo? Quanto è diverso il mio gruppetto di fraternità da un gruppetto Facebook con pedante amministratore?

3) Se il capo sbanda, sbandano anche le membra. E se una cosa era drammaticamente vera per la mia anima 10-20-30 anni fa, non può ritrovarsi oggi banalizzata o considerata superata.

4) Mi riprometto sempre di farlo, nella segreta speranza che nel frattempo altri abbiano già provveduto meglio. Me lo riprometto ogni volta che vedo una foto d'epoca che mi lascia il magone perché mi parla di un passato, non di un presente.

5) Troppo facile sciorinare termini come libertà, memoria, esperienza come foglia di fico. La gratitudine a Giovanni Paolo II che ci fece uscire dalle catacombe è diventata, nell'ormai preponderante strato dei ciellini imborghesiti, una sorta di papismo di maniera, successivamente evolutosi in tifoseria ultrà nel pontificato ratzingeriano e vagamente imbarazzato leccapiedismo da quattro anni a questa parte. E se la fedeltà a Pietro è ridotta così, cosa potrà mai essere di diverso quella "forma di amicizia" nei confronti del Carròn?

6) Anch'io sono stato adoperato per far numero in occasioni in cui era chiaro persino a noialtri bassa manovalanza che l'unico scopo di certe sceneggiate plaudenti era quello di facilitare la promozione a Tale Tizia (Una Dei Nostri, Deh!) o di assicurare uno strapuntino pubblico a Tale Tizio (Uno Dei Nostri, Deh!). Partecipai con zelo, per fiducia nei confronti di chi ci guidava. Ora resto almeno indifferente, perché quella fiducia è stata intaccata.

7) Pensiamo ad esempio a coloro che nell'avvicinarsi al movimento hanno subito notato più le tracimazioni di saliva di fronte all'aura del capetto di turno che il nocciolo delle questioni. E sentito etichettare ah, grande amicizia, ah, un grande, ah, un padre quella che era chiaramente una dipendenza psicologica. Tant'è che poi lì il movimento non ha fatto altro che assottigliarsi, vedendo sostituita la continua crescita con la contrazione delle comunità a corti dei fedelissimi del carismatico, come un qualunque altro club chiesastico.

8) La lenta e inesorabile deriva del Meeting di Rimini, da almeno una quindicina d'anni a questa parte, basterebbe da sola a commentare la crisi del movimento. È stato anzitutto al Meeting che si è notato il passaggio dal virile parlar chiaro all'incensamento scodinzolante.

9) Poche cose sono più dolorose del vedere il movimento autoridursi alla caricatura che ne facevano i suoi detrattori.

10) Il carroniano è infatti un giussanologo più evoluto e più insensibile.

11) Come se il movimento fosse un castello di carte e qualcuno stesse tentando di cambiarne la forma senza farsi notare. Ci manca solo che il progetto di fondere CL con Azione Cattolica sia più che un'ipotesi di complotto.

12) Perfino la rivista Tracce è diventata illeggibile, e non mi riferisco solo alle sviolinate per papa Bergoglio.

13) Certe domande non smettono mai di scuotere il cuore, ma è altrettanto vero che la loro riduzione a discorsetti stufa, smette di interrogare, diventa un "già visto, già sentito", e non sempre per pigrizia di chi segue. La scuola di comunità o ti cambia davvero o è davvero inutile. Idem per le indicazioni.

14) Cioè quelle omelie in cui vengono infilate a forza citazioni di don Giussani ed espressioni "ci-elle compatibili".