sabato 30 ottobre 2010

Sono iscritto, dunque esisto (e potrei perfino vantarmene)

“Noi ti offriamo la lotta”, recita pomposo il cartello cercando di risvegliare (testuale) “la tua voglia di lottare”.

Proprio così: la voglia di lottare. Solletica una voglia.

Ma se ti fermi un attimo a riflettere ti chiedi: la lotta a chi e a che cosa? E perché e come? Se metti da parte la voglia di far qualcosa e ti fermi a riflettere, la prima impressione nel vedere quel cartello è che qualcuno stia gridando “voglio esistere!” e che stia cercando altri vogliosi di gridare la stessa cosa, in modo da non sentirsi solo[1]. “Noi ti offriamo la lotta”: ecco, potrai finalmente avere la certezza di esistere, perché potrai pensare: “lotto contro qualcosa, dunque esisto”.

L'associazionismo moderno (anche quello non politicheggiante) è quasi tutto riducibile a quello slogan: lotto contro qualcosa, dunque esisto (vi prego, accorgetevene! qualcuno si accorga che io esisto! almeno qualcuno, su, dai! da un sacco di tempo sto gridando che esisto ma nessuno se ne accorge!)

Tanto, troppo associazionismo oggi è generalmente un pullulare di piccole tifoserie fai-da-te, un “noi contro loro”, un “buoni contro cattivi”, un “belli contro brutti”, un “noi contro il resto del mondo”, un “noi promuoviamo e il resto del mondo colpevolmente ignora”. Non hanno altro da offrire che la “lotta”, ossia un impegno che viene ricompensato anzitutto con la possibilità di vantartene con qualcuno[2].

Mi figuro il giovane che guarda con ammirazione e trepidazione il cartello, cercando dentro di sé la voglia di “lottare” per verificare con entusiasmo la compatibilità[3]. Ma vedo la signorinella sognante davanti alla vetrina del negozio di scarpe mentre fantastica di quel bel paio ai suoi piedi ancor prima di sapere se è la sua taglia. Hanno in animo lo stesso fascio di emozioni, sebbene indirizzate verso due cose diverse.


1) C'è chi si contenta di un gruppo Facebook e chi invece fa le cose più in grande stile.

2) Per questo esistono tante associazioni che offrono la lotta a favore di ottime cause ma con risultati assai sproporzionati rispetto alle forze e risorse investite.

3) Sono tutti bravissimi ad inventare una ragione per una lotta che hanno già iniziato.

giovedì 28 ottobre 2010

La religione del pallone

«Per voi una semplice partita, per noi uno stile di vita», recita la scritta fatta con lo spray.

Lo stile di vita è guardare le partite: attenzione, non siate così tonti da sottovalutarle, non sono mica una “semplice” cosa! Voialtri non credenti non avete la fortuna di sapere che celebrazione grandiosa sia una partita.

L'attaccante è il celebrante, i centrocampisti sono i diaconi e accoliti, i difensori sono i ministranti. Gli spettatori e le spettatrici[1] seguono ogni minuto con attenzione, trepidazione, raccoglimento, actuosa participatio. E quando l'attaccante-celebrante consacra il goal, elevando un pallonetto nell'angolino della porta, tutti esultano entusiasti prorompendo in canti di gioia.

Il pallone è una religione esigente: «Ultras lo si è nella vita, non solo nella partita», recita un'altra scritta con lo spray. Eh, sì: esistono anche qui i “credenti ma non praticanti”, per cui qualcuno più fervoroso si è incaricato gentilmente di scriverlo sui muri per ricordare a tutti che non bisogna limitarsi alla celebrazione domenicale. E cosa dovremmo dire di quelli che dicono “non ho tempo” di seguire le partite nelle festività comandate?

Non scandalizza molto che per poche decine di minuti di celebrazione calcistica i celebranti guadagnino montagne di soldi mentre i semplici fedeli non solo non guadagnano nulla, ma si dissanguano per pagare biglietti per lo stadio, abbonamenti alle partite in TV, costi per le trasferte, un'infinità di gadget... Un buon giocatore-celebrante può costare in un anno quanto mille anni di stipendio di un fedele ma è raro veder imprecare qualche fedele (anche solo bonariamente) contro i propri beniamini, attraverso i piedi dei quali avviene la transustanziazione dallo zeroazero all'unoazero. Poco importa quanto guadagnino, poco importa che “lavorino” solo poche decine di minuti alla settimana: importa solo che preservino l'unica fede e mantengano l'ortodossia.

Il termine unica fede è utilizzato da moltissimi credenti del pallone: non avrai altra squadra di calcio al di fuori di me. Per cui è naturale deridere l'avversario. «Irriducibili», si qualificavano con lo spray alcuni credenti, «irriducibili conigli» correggeva una mano anonima di un credente di un'altra religione. Colui che ieri era il benefattore supremo, il celebrante-goleador, nel momento in cui tradisce la squadra-chiesa e passa scismaticamente ad un'altra squadra, subito diventa «merda». La fede non ammette dubbi, figurarsi i tradimenti.[2]


1) Sì, ho letto anche una scritta spray inneggiante alla «Femminilità Ultras». Penso anche che la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport ne abbia tenuto conto.

2) Curioso questo mondo dove lo spettacolo di alcuni uomini scalcianti palle provochi più momenti intensi della celebrazione dei sacramenti. Ciononostante i sedicenti atei guardano con sdegno e disappunto la Chiesa.

mercoledì 27 ottobre 2010

Frattaglie / 6

Vuoi «tutelare i tuoi diritti?» chiede la pubblicità. Ma il destinatario capisce benissimo il sottinteso: «vuoi tutelare la tua arroganza?»

Un altro dei tanti aspetti della crisi della Chiesa cattolica è il proliferare di attività tutte con lo stesso nome. È tutto un noioso coacervo di Effatà, tutto Emmaus, tutto Bethlem... Centro Emmaus, gruppo Emmaus, campo Emmaus, iniziativa Emmaus... tutti uguali nel loro conformismo biblicheggiante. Quella parte di Chiesa che “si vergogna di dire chi è Cristo” finisce per appiattirsi sull'ineffabile pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport[1].

Un'icona della nostra epoca moderna: il compact disc piratato gettato via dal finestrino sulla strada statale.

«Voglio provarle tutte!» L'insaziabile sete di infinito: il bambino che piange perché è ora di andar via senza essere riuscito a provare tutte le altalene presenti al parco. Ma se ci fosse riuscito, il parco gli sarebbe diventato drammaticamente meno appetibile. Non gli basterebbero tutte le altalene di questo mondo. Non gli basterebbe la vita intera per provarle tutte. L'unica cosa che c'è nel fondo del cuore di ogni uomo, fin da bambino, è un desiderio tanto tambureggiante quanto umanamente irrealizzabile.


1) Sarà il tormentone di questo blog per i prossimi mesi.

martedì 26 ottobre 2010

Frattaglie / 5

Per una definizione di noia: osservare la quantita' di persone che decidono di innamorarsi perdutamente delle uniche cose esotiche che conoscono. Come la gentile signorina di ieri con quelle robette orientali di cui aveva avuto notizia per caso su un depliant in treno qualche anno fa.

Distinguiamo due mentalità. C'è quella in cui prima si osserva il bisogno e poi si cerca di costruire una risposta. E c'è il suo opposto: prima si fabbrica una risposta e poi si tenta di fabbricare la domanda oppure di adeguarvi con forza altre domande. Certuni sembrano voler gridare: «No! Non può non esistere una domanda per la risposta che io ho deciso di costruire!»

Pubblicità: «lui ti dirà: non ti avevo mai considerata da questo punto di vista». Lei vuole essere sempre nuovamente considerata, sempre da qualche nuovo “punto di vista” che non sa neppure immaginare. E così guardava sognante la pubblicità sul giornale che le prometteva finalmente qualcosa del genere. Basterà comprare l'apposito prodotto e la vanità (scusate: il sogno) sarà assecondata.

“Finalmente ho un nemico da combattere, finalmente sono un uomo! Combatterò l'islam e il comunismo, così capiranno tutti che sono cristiano”. Sacrosante cause ma il cristianesimo non è una sommatoria di anti-qualcosa. Il motore che spinge certuni (talvolta perfino sedicenti cristiani) ad essere anti-questo e anti-quello è sempre lo stesso: la vanità.

lunedì 25 ottobre 2010

Frattaglie / 4

La copertina del numero di settembre parlava di “cose grandi”, con la foto di due che improbabilmente si riappacificano. Una foto scattata e mostrata da chi sinceramente si ostina ad aver speranza di “cose grandi”. Mentre la osservavo non riuscivo a liberare la mia testa dai soliti problemi che asfissiano le giornate: il lavoro, la famiglia, la salute... Per un attimo ho indirizzato al dialogo ecumenico questo gentile pensiero: «ma và a caghèr!» Sebbene anch'io desideri che i cosiddetti ortodossi rientrino in comunione con Pietro, ho purtroppo problemi più urgenti: al mattino, lo dico francamente, il mio primo pensiero non è per il dialogo e nemmeno per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport.

Il moralista s'è scandalizzato che il prete, cinque minuti prima di andare a celebrare messa, ha preso un caffè[1]. Il moralista si contenterebbe delle apparenze, e non contemplava il caso che quel caffè fosse utilizzato a mo' di medicinale.

Utilizzo il termine “moralista” come dispregiativo. È una scelta ponderata. “Legalista”, infatti, lascia l'immagine di uno che si contenta del rispetto (fiscale) di leggi esistenti. “Fiscale” lascia l'immagine di uno ostinato a misurare. “Puritano” lascia l'immagine di uno fissato col sesso. “Borghese” sembrerebbe uno talmente chiuso nelle sue piccinerie che talvolta sarebbe disposto a fare eccezioni. No, il “moralista” è peggio di tutto questo. Il moralista è pronto a stracciarsi le vesti per qualsiasi cosa, è pronto a fare la morale a chiunque (presente o assente), è pronto a cercare il pelo nell'uovo, ha sempre da protestare.

In fila per la Comunione mi trovo alle spalle di un giovanottone con una scritta in inglese sulla felpa. Per sua sfortuna, conosco un po' di inglese: la scritta inneggiava brutalmente al sesso e alla violenza. Uno abbigliato così va a fare la Comunione. Un moralista se ne sarebbe scandalizzato, ma in giro non c'erano moralisti (o almeno, non ce n'erano che conoscessero la lingua inglese). Io invece riflettevo su quanto passivamente assorbiamo simboli, miti e riti stranieri. Sempre meno identità, sempre minor condivisione di un destino.

Ultima frattaglia di oggi: c'è un tipo di moralisti-puritani adeguati all'era moderna: vogliono rispettare la Natura in tutto... tranne per ciò che riguarda il sesso.


1) Osservare il digiuno eucaristico (anche se limitato a soli sessanta comodi minuti) è diventato arduo, di questi tempi di caffè, gomme da masticare, merendine, caramelle, snack, mentine...

venerdì 22 ottobre 2010

Felicità immaginata

Siamo talmente avidi di felicità che corriamo come matti assatanati da chiunque ce ne venda un'immagine, per quanto approssimativa e falsa essa sia.

Spesso accade senza rendercene conto (o addirittura risentiti quando qualcuno ce lo fa notare), ma non di rado anche quando ne riconosciamo l'evidente inganno.

Questo è il principio fondante sia dell'industria pubblicitaria che del gioco d'azzardo, sia dell'industria finanziaria che della pornografia, dell'alcolismo, della droga... Che evidentemente condividono lo stesso DNA: vendere sogni a chi desidera la realtà.

Per sfamarci non basta una foto di un piatto di agnolotti, tanto meno un disegno, ancor meno la scritta “agnolotti”. Riusciranno al più a far diventare ancor più nera e lancinante la fame.

Pur sapendo che non è il disegno di un bicchier d'acqua a dissetarci, generalmente dimentichiamo molto in fretta la lezione, ripetendo con entusiasmo e convinzione gli slogan del principe delle tenebre: “questa volta mi sento fortunato”, “facciamo solo un'ultima eccezione”, “ma che c'è di male?”, “io sono liberissimo di scegliere e nessuno deve giudicarmi”.

martedì 19 ottobre 2010

Rendere attraente il cristianesimo

Flannery O'Connor: «Quando ti chiedono di rendere il cristianesimo allettante, ti stanno chiedendo di descriverne l'essenza, non quello che vedi tu».

Antonio Gramsci: «Per attirare (curiosa espressione davvero) i giovani, basterebbe che i circoli cattolici ne rappresentassero una necessità dello spirito...»

Benedetto XVI: «Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attraente sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri».

Don Giussani: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

lunedì 18 ottobre 2010

Domande mal poste

Mi capita talvolta di dire che l'appartenenza a CL rende più gustosa la vita. Non per tifoseria, bensì per prolungata constatazione[1]. Ma sta proprio qui il problema, perché certuni subito han da ridire: c'era davvero bisogno del movimento per ravvivare la Chiesa?

La domanda è mal posta. Quando dico “CL”[2] non ho in mente una struttura ma la santità di chi l'ha involontariamente generata[3]. A furia di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, don Giussani si è ritrovato circondato da un popolo.

L'autenticità di un carisma si vede anche dal fatto che non inventa niente. Per paradossale che possa apparire ai profani, quanto più si torna agli elementi originali del cristianesimo tanto più si è “allettanti”[4]. Coloro che cercano di rendere attraente il cristianesimo stanno implicitamente affermando che senza la loro magica ricetta[5] la fede non sarebbe abbastanza viva. Anche quando siano mossi dalle migliori intenzioni.

Ritornare agli “elementi originali” è inevitabilmente un ritornare alla Tradizione, da intendere quella con la T maiuscola, che non è banalmente riducibile all'armamentario monsignorile in uso negli anni Cinquanta[6]. Infatti non c'è niente di più incredibile della risposta ad una domanda che non si pone. Il cristianesimo non è un sistema dottrinale/liturgico/assistenziale calato dall'alto sugli uomini, come si ostinano a vagheggiare coloro che non vogliono prenderlo seriamente in considerazione. Il cristianesimo non arriva su una domanda che non si pone. Al contrario. Ed è una risposta talmente vera che illumina anche la domanda, la domanda più profonda del cuore dell'uomo, la sua sete di felicità. La risposta è Cristo.

Per questo dico anch'io che il cristianesimo vissuto in maniera autentica è quanto di meglio possa capitare ad un'anima pellegrina in questa valle di lacrime. Non vale solo per i santi: vale persino per la gente semplice come noi.

In tempi di crisi, di ottundimento, di relativismo, di confusione, ho (abbiamo) trovato in CL qualcosa che fa andare agli aspetti più essenziali (e perciò più affascinanti e coinvolgenti) del cristianesimo. Mentre altri si affannano a fabbricare o a “riscoprire” (cioè fabbricare) orpelli per adeguare Cristo ai tempi moderni, il don Giussani faceva leva sulle attese più concrete della nostra umanità[7]: una “pedagogia” inaugurata proprio da Nostro Signore in persona.


1) Don Carròn era “pienamente d'accordo” con don Giussani, finché... «Avevo già letto qualche testo di don Giussani, ero pienamente d’accordo con lui, ma non vedevo nessuna particolare novità. È stata invece la partecipazione alla vita del Movimento, la lettura dei suoi scritti dall’interno che mi ha permesso di avere un’esperienza della vita come quella che sto descrivendo…» (su Tracce di ottobre 2010).

2) Gli aderenti a Comunione e Liberazione si possono sommariamente classificare in tre categorie: quelli che non hanno ancora capito niente (e perciò lo indicano col nome ufficiale o con la sigla “CL”), quelli che hanno cominciato ad apprezzarlo (e perciò dicono “il movimento”, senza specificare altro), e quelli che non ne possono più fare a meno (e perciò dicono “i miei amici”, o “un grande”, o locuzioni del genere). Sebbene io faccia parte di quest'ultima categoria, devo purtroppo utilizzare la sigla “CL” sul blog che altrimenti risulterebbe incomprensibile ai non addetti ai lavori.

3) Don Giussani: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

4) Flannery O'Connor: «Quando ti chiedono di rendere il cristianesimo allettante, ti stanno chiedendo di descriverne l'essenza, non quello che vedi tu».

5) La magica ricetta può anche essere travestita di antichità: archeologismi e “recuperi” bizzarri, però, alla prova dei fatti si dimostrano non meno banalizzanti delle messe-beat, clown, tamburi e balletti. Uno dei termini che più mi hanno fatto ridere è “danza liturgica”, proferito da una persona che seriosamente aggiungeva: «anche re Davide danzò per il Signore».

6) I nostalgici del ferraiolo e delle scarpe a fibbia vorranno legnarmi per bene. Ma avranno da ridire anche quelli che riducono la Tradizione ad un elenco di documenti e di consuetudini liturgiche.

7) È straordinario osservare come le domande più essenziali vengano sempre televisivamente trasformate in qualcosa d'altro: sogni, istintività, distrazione.

domenica 17 ottobre 2010

Un dottorato all'estero? Poco incisivo. A meno che...

Per me è stato decisivo cominciare a partecipare alla vita del Movimento ed entrare in contatto con la sua proposta educativa. Io, con il mio dottorato conseguito all'estero, non riuscivo a far smuovere di un millimetro i miei alunni dalle loro posizioni, perché insegnando non ero abbastanza incisivo. Ma quando ho cominciato a confrontarmi con la realtà – in questo caso, con le mie lezioni – come mi proponeva il Movimento, ho incominciato ad avere una libertà e una capacità di sfidare i ragazzi che prima non possedevo. Non avevo imparato chissà quali cose nuove, ma un nuovo modo di vivere nella realtà che prima non avevo. E come lo vuoi chiamare altrimenti? È evidente che è successo qualcosa che ti ha cambiato la vita. E proprio tu sei il primo a sorprendertene.[1]
Tutto (da un colpetto di tosse a un dottorato all'estero) diventa fatica sterile se non c'è quel “qualcosa”.


1) Don Julian Carròn, su Tracce di ottobre 2010.

venerdì 15 ottobre 2010

Frattaglie / 3

Un crocifisso d'oro. Era circondato da una folta peluria che copriva irregolarmente il petto abbronzato, mentre sull'avambraccio campeggiava un tatuaggio di un animale mitologico in assetto minaccioso. E i capelli bianchi e l'aria da duro a completare il quadro. Un'icona del nostro tempo, insomma: un Gòlgota di ignoranza e stupidità su cui campeggiava, banalizzato, quel crocifisso d'oro[1]

In un film-tv una delle protagoniste non trova il coraggio di comunicarsi. Chiede al prete un incontro: intende confessarsi. Ricorda più tardi ad un altro protagonista che il segreto confessionale è assoluto. Sì, saranno stati tutti concetti di catechismo, ma il modo in cui venivano recitati dai doppiatori italiani li faceva suonare terribilmente fastidiosi. La donna che intendeva confessarsi sembrava incarnare la solita ipocrisia di chi ha bisogno di mostrare agli altri di essersi liberato di un peso. Il prete sembrava un addetto pacioccone all'assistenza psicologica per vecchiette. I concetti di catechismo (che se presentati con onestà farebbero tremare il cuore a tanta gente) sembravano solo uno dei tanti legalismi in circolazione. Rappresentare il cristianesimo è un'arte particolarmente difficile: solitamente si riesce solo ad essere banali e noiosi.

Trovo un altro film che per incutere paura presenta il demonio. Stavolta è sotto le spoglie di uno spaventapasseri. Ma quel che mi colpiva di più era l'affettata religiosità dei protagonisti: anche qui, fatta salva la possibilmente poco eccelsa qualità del doppiaggio, appariva evidente che la fede doveva essere presentata come un orpello inutile, di cui si fanno carico solo alcune anime particolarmente vogliose di “qualcosa di religioso” da appiccicare alla propria vita. Qualcosa da cui i sani stanno alla larga. L'arte del diavolo (quello vero) è di trasformare la fede in un legalismo idiota per malati mentali.

Parliamo ancora di preti. Un'amica atea mi rimprovera perché il curato, per benedire il matrimonio della sorella, esigeva un'offerta che le sembrava spropositata (cioè pressappoco l'equivalente di tre invitati in più al ricevimento che sarebbe seguito dopo la Messa): per il ricevimento, l'abito nuziale ed il viaggio di nozze si spendono cifre oscene, ma sull'offerta a colui che benedirà il matrimonio e farà ripulire la chiesa dopo il passaggio della tribù dei selvaggi nessuno resiste alla tentazione dell'avarizia. E alla tentazione di prendersela con il primo cattolico che capiti a tiro.

A gran voce pretendono che i preti siano poveri: “per dare l'esempio”, dicono. Esempi che si guardano bene dall'imitare: “non sono mica prete, io”. C'è un inequivocabile fondo di odio in quell'urlo ipocrita “devono dare l'esempio”: sottintende infatti il desiderio di impoverirli, annichilirli, distruggerli. Per rovinare il fegato a tanta gente basterebbe mostrare in uno di quei soliti telequiz truccati un prete che vince centinaia di migliaia di euro e poi, intervistato, affermare: “comprerò calici, pianete, candelieri, cartegloria e un tabernacolo ottocentesco colossale”.


1) E io che recitavo il rosario con una corona di spago e plastica...

mercoledì 13 ottobre 2010

Superman il "messia"



Superman returns è un film dai tratti religiosi[1]. Le vicende umane sono l'ossatura del film; c'è poca azione, quasi tutta concentrata nella scena iniziale e nella lunga sequenza finale. Le ottime musiche e le lunghe scene di silenzio la fanno da padrone.

Il supereroe Superman fu creato da due ebrei[2] che intesero dargli i tratti del Messia che si aspettavano: incapace di mentire, fortissimo e invincibile, giustiziere che lotta contro il male (sia contro il crimine, sia contro gli incidenti), pronto ad ascoltare la voce di chi gli chiede aiuto, capace di emozioni (innamorarsi, provare compassione), per il quale il supremo dovere (la Legge) viene prima di tutto.

All'inizio, dopo aver salvato i malcapitati dell'aereo usa perfino la delicatezza di entrarvi dentro e chiedere: «state tutti bene?» (non lo fa solo perché c'è Lois: questa delicatezza la rivedremo altre volte durante il film).

La sua presenza raccoglie applausi oceanici, la prima volta che appare in pubblico è riconosciuto subito da tutti, semina gioia e conforto con la sua sola presenza. Proprio come un Messia tanto atteso.

Quanto alla morale, curiosamente non ha nulla da ridire sulla convivenza di Lois (con quella «persona perbene» di Richard), tanto meno sul figlio illegittimo (di cui il film abilmente gioca a seminare indizi contrastanti), ma sulle sigarette[3].

Anche l'osservazione che l'aereo che «statisticamente, comunque, resta il modo più sicuro di viaggiare»[4], al di là del fatto che è fondata, al di là del fatto che viene espressa per rassicurare, è in fin dei conti un moralismo[5], confermato da quell'annuire ansiosamente con la testa come da scolaretta scoperta a copiare dalla vicina di banco.

I cattivi non sono cattivissimi in assoluto: Brutus, prima di morire, mostra che non è affatto insensibile alla musica; lo stesso Lex Luthor rende allegri i giorni della vecchia Gertrude (interessato all'eredità come gli altri parenti, ma in fin dei conti più umano di loro).

Il tratto più religioso in assoluto è quando Superman dice: «tu hai scritto che il mondo non ha bisogno di un salvatore, ma ogni giorno sento gente che piange e che lo invoca».

Superman però non è Gesù Cristo, non ne ha i tratti.

Anzitutto perché è un Messia triste.

Triste sia per il suo tratto assai sentimentale (l'innamoramento non corrisposto e l'impossibilità di realizzarlo anche nel caso in cui fosse pienamente corrisposto), sia per il suo stile non troppo divino (la coscienza dell'incapacità di far fronte ad ogni problema esistente sulla Terra).

Superman è un «messia» ma non è divino. Ha poteri pressoché divini, ma li usa come un uomo[6]. E si rende conto anche di questo limite, ma gli è impossibile fare qualcosa di diverso, è ancora “troppo umano” (durante le uscitine con la Lois non sta certo risolvendo i problemi dell'umanità come suo solito[7]).

Superman appare pertanto buono solo per essere «re» degli uomini e per “salvarli” risolvendo i loro guai. Mi dà l'idea di essere un messia Messia-tappabuchi.

La tristezza del “messia Superman” in realtà ricalca il sentimento ebraico nei confronti del Messia tanto promesso e tanto atteso, e tuttora (secondo loro) ancora non venuto[8].

Il messia-Superman viene ferito, ma torna ad essere lo stesso di prima nonostante la ferita[9]: l'esatto contrario del messia Gesù Cristo, che opera la redenzione attraverso il suo stesso sacrificio e il suo stesso sangue.

Gesù Cristo è «vittima, altare e sacerdote». Quel Superman, invece, è solo “messia” e postula la necessità di una vittima, di un altare e di un sacerdote. Superman – in particolar modo in questo film – è pertanto la rappresentazione di un messia così come viene desiderato (piuttosto di come invece potrebbe essere offerto): cioè un “eroe liberatore”.


1) Il film è del 2006, cioè di molti anni dopo la morte dei creatori del personaggio (che vide la luce nel 1934).

2) Jerry Siegel (figlio di immigrati ebrei lituani, americano) e Joe Schuster (di famiglia ebraica, canadese).

3) Superman parla contro le sigarette in quanto sigarette, ma detesta Richard in quanto rivale in amore, non in quanto “convivente non sposato”.

4) Dopo l'11 settembre 2001 il filone cinematografico di catastrofi a base di aerei si sta adeguando alle necessità del mercato.

5) Non so se avete presente quei film americani degli anni Cinquanta, nelle cui trame venivano inserite vere e proprie «catechesi» religiose e lezioni di galateo (che poi nella mentalità protestante sono pressoché la stessa cosa).

6) A cominciare da quando origlia le conversazioni riguardanti Lois.

7) Sembra quasi un'apologia del celibato ecclesiastico.

8) Fino ad oggi, la storia ebraica contiene numerosi casi di falsi messia, i primi dei quali documentati già negli Atti degli Apostoli, e fu a causa delle continue ribellioni organizzate da sedicenti messia che i Romani distrussero Gerusalemme tra il primo e il secondo secolo. L'ebraismo di oggi non è identico a quello di venti secoli fa, ma per fortuna non è questa la sede dove discuterne (o dove commentare l'espressione di papa Pio XI: «noi siamo spiritualmente degli ebrei»); in questa pagina ho voluto solo buttar giù alcune impressioni dopo aver visto il film.

9) Basterà il bacio di una donna, un po' una versione maschile di Biancaneve.

lunedì 11 ottobre 2010

Frattaglie / 2

Questa Chiesa ha bisogno di rudi guerrieri, non di melensi amministratori.

La lettera uccide, lo spirito vivifica: gli atei odiano non il Dio uno e trino, ma il moralismo. Hanno cioè un'idea sbagliata su Dio e pertanto odiano con tutte le forze tutto ciò che è legato a quell'idea: al fondo c'è un equivoco, che spesso viene coltivato e conservato solo per coerenza, per la vergogna di dover ammettere: “ho speso tante energie per lottare contro un cristianesimo e una Chiesa che esistevano solo nelle fantasie mie e dei miei compagni di partito”.

Certe volte un pizzico di moralismo può perfino produrre risultato (da male minore da preferire ad un male maggiore, s'intende). Il giovanotto va il sabato dalla morosa e poi la domenica a messa, ma... ah, quel penoso sacramento della riconciliazione incombe! Perfino il fastidio del confessare certi peccati è stato involontariamente educativo, poiché alla lunga (speriamo il più spesso possibile) ha suscitato la domanda: “perché?” e suggerito che la risposta è assai più liberante della cosiddetta “libertà”. Ossia, per effetto della grazia attraverso vie bislacche, il moralismo è stato sostituito dalla ragione e dalla fede.

Sono sorprendenti certe analogie della burocrazia nel mondo del lavoro e nel mondo ecclesiale.

Con quanta nonchalance certuni dicono cose come: “poi al regginacèli”... Sono nomi che al solo sentirli nominare verrebbe da piangere di gioia e che invece vengono utilizzati come sigle anodine e insignificanti: “domani invece è all'esse effe pi”.

Nel vedere per la prima volta quella suorina si aspettano una somministrazione di dosi di “suorismo” e pertanto restano infastiditi e stupiti dal notare che ha un carattere tutt'altro che fiorellini e preghierine sdolcinate. È difficile far capire la realtà a chi è profondamente innamorato dei propri pregiudizi.

Il perverso meccanismo del “vedo, dunque voglio”: non gli importa come sia stato aggiustato il giocattolo - gli importa solo romperlo di nuovo. Non gli importa che la commessa non sia uno degli articoli in vendita in vetrina: vuole comprarla e basta.

sabato 9 ottobre 2010

Frattaglie / 1

Trascrivo qui diversi spunti che non ho tempo di sviluppare in “post”.

La settima di Beethoven regge benissimo all'urto del tempo. La musica contemporanea regge invece qualche mese, qualche anno al massimo. L'incompiuta di Schubert è perfettamente attuale, le canzoni della scorsa estate quasi non le ricordiamo più. Dicono di essere appassionati di musica: li vedi cioè ascoltare amorosi e compunti quelle canzonette da coatti, con un fervore ed un abbandono che sanno di liturgico. Liturgia borghesotta, gregoriano de' noantri. “Mi aiuta a star bene”. Il gregoriano risveglia il cuore, le canzonette lo narcotizzano.

Furente il prete durante l'omelia: “voi venite in ritardo alla messa perché non amate la messa!” Macché! Noi il sacramento lo amiamo (semmai è quell'omelia feriale che ci va poco a genio). E il ritardo alla messa vespertina è dovuto al capoufficio...

La forza dei tabù (specialmente quelli teologici) sta nel fatto che i loro contorni sono confusi. Quando non addirittura confusi di proposito. Un misterioso alone circonda il Dogma Laico del Sacro Aborto: non si sa quanto costa (1500-2000€ dei contribuenti per ogni infanticidio), non si sa quanto è diffuso (oltre undicimila bambini innocenti trucidati ogni mese prima che riescano a nascere), non si sa quanto è vicino (eppure ci passiamo in auto ogni giorno, davanti alla struttura “sanitaria” specializzata nella strage degli innocenti). Contorni confusi e misteriosi che gli Oracoli Ufficiali si guardano bene dal precisare.

Anime accecate che urlano: “è un mio diritto!” Con maggior coerenza ed esattezza dovrebbero invece dire: “è una possibilità che non voglio lasciarmi scappare”. Il demonio prepara le possibilità, che certuni tentano in ogni modo di sfruttare, e molti altri invece si limitano ad idolatrare. Come quelli che in vita loro non avrebbero mai abortito, ma lottano per il Sacrosanto Diritto di uccidere bambini prima che vengano alla luce.

C'è una miriade di “piccoli miracoli” che accadono e che non vediamo: siamo circondati dalla grazia ma siamo talmente habitué da non farci caso. L'indifferenza di fronte al miracolo della nascita di una vocazione (c'è, qualcuna c'è) o dei peccatori che si pentono sinceramente (ci sono, ci sono) è peggio di una pugnalata.

Le società che non vivevano di sogni non avevano bisogno di droga.

martedì 5 ottobre 2010

Un'altra scaramuccia nella guerra della liturgia



Striscione esposto a Palermo durante la visita del Papa di domenica scorsa. La Curia, su tutte le furie, ha chiesto alla Polizia (invano, Deo gratias!) di farlo rimuovere. La TV vaticana è riuscita a non inquadrarlo mai.

La Chiesa è sempre stata perseguitata a causa della sua stessa esistenza. Ma la persecuzione più accanita la subiscono (anzitutto dall'interno della Chiesa) coloro che sono anche soltanto sospettati dell'orribile crimine di amare la Tradizione, in particolar modo in campo liturgico. La vera guerra in corso è infatti sulla liturgia.

«La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia».

domenica 3 ottobre 2010

La verità è diventata «inaccettabile»

«La storia della filosofia si divide in due periodi: nel primo si cercava le verità; nel secondo si è lottato contro di essa. Questo secondo periodo, che ha in Cartesio il geniale precursore e in Heidegger una manifestazione deteriore, comincia la sua fase di piena attività con Hegel»[1]
Per questo non c'è da meravigliarsi che oggi il tipico criterio di giudizio non è la verità ma l’accettabilità. La distinzione fondamentale non è fra tesi vere e tesi false, ma fra tesi accettabili e tesi “inaccettabili”.[2]


1) Citazione da Jean-François Revel, La conoscenza inutile, Longanesi 1989, pag. 350.

2) Da Dum Volvitur Orbis.