martedì 21 agosto 2018

La ricentratura che non era necessaria

I carroniani dicono che le critiche a Carrón sarebbero mosse da chi critica anche e soprattutto Bergoglio. Con l'autoapplaudente e autocompiaciuto sottinteso che ciò sarebbe prova della loro sequela al successore di Pietro.

In realtà Pietro può sbagliare. Può avere "timore dei circoncisi".[1] Può addirittura rinnegare il Signore.[2] Nel seguire Pietro ci sono momenti in cui occorre solo tacere e pregare,[3] perché la fedeltà non consiste in una claque.[4] Non siamo le risate preregistrate da aggiungere nelle tracce audio di quei programmi televisivi che non fanno ridere.[5]

Era facile proclamarsi fedeli al Papa che aveva detto a don Giussani "non capisco ma vedo i frutti, vada avanti, è la strada buona". Fu ancora più facile con Wojtyla: "non una strada, ma la strada". Fu una festa con Ratzinger.

Poi arrivò "il Papa buonasera" e la musica è cambiata radicalmente. Il movimento di Comunione e Liberazione è all'improvviso dichiarato "autoreferenziale". Ci si arrabbatta per fare una "ricentratura"[6] del movimento, non a causa di una sua sbandata o di una crisi interna, ma perché i piani alti hanno deciso che ci troviamo sugli spalti dello stadio e che la squadra di casa va entusiasticamente applaudita e incoraggiata anche in caso di auto-goal o di sciopero. Era proprio questa l'eredità del Giuss?[7]

Fu esattamente quel "buonasera" l'ultimo momento utile per imparare a tacere e pregare.[8] Fu anche l'inequivocabile indicatore di cosa sarebbe successo dopo al movimento.[9] Dopo una vita intera passata a deridere certo progressismo umanitarista da sagrestia, improvvisamente ci viene chiesto di professarlo.[10] Dopo una vita intera passata a deridere gli ecclesiastici che infilavano a forza parole giussaniane a caso nelle proprie omelie per captare la nostra benevolenza, ora ci arriva la rilettura bergogliesca del Gius con obbligo di plausi.[11] Alla luce di ciò che il movimento mi ha dato in passato, ho davvero bisogno di certe novità?


1) Galati 2,11ss.

2) O anche soltanto "fuggire di fronte ai lupi".

3) Puoi seguire acriticamente solo un santo (ma è raro ricevere una grazia di tal genere). Puoi seguire chi riconosci come padre anche quando non lo capisci, ma non ha senso seguire spegnendo il cervello. Puoi voler consacrare la tua vita a Cristo, ma non ha senso entrare nei Memores se "Cristo" ti viene ultimamente ridotto alle solite astruserie (apertura all'altro, cambiamenti radicali senza precedenti, ponti anziché muri, mondo più abitabile ed ecocompatibile...).

4) Nel sentirsi riconosciuto come figlio, uno cambia. Può cambiare per gratitudine o per doverismo. Nel primo caso il cambiamento sarà indolore, sarà un giogo dolce e un carico leggero. Quando sei riconosciuto come figlio da chi riconosci come vero padre la sequela non implica grandi sforzi, perché Cristo c'entra. Nel secondo caso ugualmente la descrivi come attrattiva ma finisci presto per aver bisogno di vendere chiacchiere a coloro che non ottemperano agli obblighi che ti sei auto-inflitto.

5) Significherebbe infatti che l'io non c'entra più niente, e che il movimento è solo un discorso sul movimento. La piaga dei giussanologi, esperti del pelo del singolo pelo del leone ma incapaci di riconoscere il leone intero, consiste nel fatto che esalano continuamente paroloni ciellini ma senza più quel retrogusto di verità di fede che calamitava guai di ogni genere, dalle persecuzioni amministrative alle molotov. Per passare dall'ingenua baldanza al podio da giussanologo è spesso sufficiente cercarsi un po' di plauso dal mondo o dai capetti delle chiese locali. Oppure di confondere la figura del capo della Chiesa con l'emettitore della moda del momento a cui adeguarsi allo scopo di incassare un po' di plauso dal mondo ed un'etichetta "cattolico" da una platea immaginaria.

6) «La storia del movimento è storia di svolte, di riprese, di ricentrature»: per la sua natura stessa di movimento ha infatti sempre attratto sensibilità di ogni genere, al punto da rendere talvolta necessaria qualche ricentratura. Ma una ricentratura è possibile solo se c'è una guida che ha sempre visto bene il vero centro. Altrimenti è solo un andare alla deriva aggrappandosi alla moda del momento. Abbiamo incontrato una compagnia, non una compagnoneria: per questo diciamo volti concreti, perché c'entra la verità, altrimenti la fede sarebbe stata solo un passatempo religioso zeppo di tautologie e il movimento un'associazione di auto-aiuto con volenterosi volontari del sorriso.

7) Sono convinto che il Giuss era disponibile ad azzerare immediatamente il movimento, se avesse riconosciuto ciò come volontà del Papa. Ma è esattamente questo il motivo per cui, di fronte alle circostanze attuali, posso dire che il movimento in cui mi sono imbattuto non è lo stesso di oggi. Confondere la sequela col fungere da claque è stato l'effetto Chernobyl deliberatamente applicato al movimento. Ciò che non mi cambia non mi serve. Affannarsi a spiegare che Carrón è stato scelto da Giussani stesso è solo un modo per insinuare che il primo può reinterpretare il secondo, può trasformare il movimento sostituendo ciò che ci aveva dato beneficio con qualche astruseria temporaneamente di moda: «il visconte Cobram era quello della corsa ciclistica». Affermare che Bergoglio, seppur con sensibilità diversa, proseguirebbe la linea di Woytjla o addirittura di Ratzinger, nonostante gli sforzi di quest'ultimo, è -diciamocelo onestamente- un patetico vender chiacchiere. Noi abbiamo bisogno di essere confermati nella fede.

8) Tutto questo gonfiarsi nel parlare di "Grandi Cambiamenti Radicali Senza Precedenti", di fumose sfide "lanciate" e poi fumosamente "raccolte", di "non occupare spazi ma avviare processi"... In passato il gergo ciellino era stato criticato perché complesso, mai perché fumoso. Ora invece, con l'obbligo di ostentarsi papisti, seguono automaticamente le prediche astruse.

9) Mi scrivono: «il vostro amico Vittadini ha detto che...» Ho laconicamente risposto che in tal caso non è più mio amico. Le unioni civili, un «compromesso accettabile»? Un «altro tipo di famiglia»? Deve aver fumato roba potente, complimenti allo spacciatore. In assenza di rettifiche del Vitta al Corriere, si spera che il suo deretano resti sempre a distanza di sicurezza dalla gittata delle mie pedate. (Chissà come mai in epoca pre-bergogliana non avevo mai avuto motivi per parlare così del Vitta).

10) Quanto ci vorrà affinché nel gergo ciellino "ideale" venga sostituito da "sogno"? Lo chiedo senza alcuna ironia. Farsi beffe di certo opprimente clericalismo era uno dei modi per ricordare a noi stessi ciò che di grande avevamo incontrato (e che non richiedeva fumosi paroloni).

11) Mi ricorda una scenetta di Arcipelago GULag. Mi ricorda anche che le peggiori stangate le abbiamo avute da quegli ecclesiastici dei quali ci si affannava a dire che "hanno letto don Giussani, apprezzano il movimento, ci chiamano, ci approvano, ci apprezzano". Abbiamo davvero tanto disperato bisogno, come movimento, di rincorrere a perdifiato plausi e simpatie?

domenica 29 luglio 2018

Riaccadere della scontatezza

È dalla notte dei tempi[1] che ogni incontro del movimento viene introdotto da qualche canto, da una preghiera, e dalla messa in guardia contro il viverlo con una sorta di scontatezza. In altre parole, contro la riduzione del movimento ad una serie di contenuti, ossia un discorso preconfezionato. Quella dev'essere proprio la tentazione interna che ha accompagnato il movimento fin dagli inizi. Era naturale che le persone ostili al movimento tentassero di inscatolarne i contenuti,[2] poiché dispiaceva loro profondamente che il riproporre delle elementari verità di fede avesse come conseguenza il far nascere un popolo. Ed in fondo in fondo era ovvio anche che i tipici ciellini imborghesiti e dalla pancia piena amassero strologare lambiccandosi lungamente in complesse e fumose spiegazioni di questioni chiare e semplici.

Al termine scontatezza, in quelle introduzioni, segue immancabilmente il termine riaccadere: nobile scopo, quello di connettere il motivo per cui volontariamente abbiamo scelto, chiesto, faticato, sofferto per essere anche lì, con la nostra stessa presenza fisica lì. Ma può funzionare solo per chi riconosce degli amici - in senso pieno, in senso di guida, poiché l'obbedienza è una forma di amicizia, e avvertire l'urgenza di ubbidire ad uno significa già seguirlo e averlo seguìto, significa considerarlo più di un vero grande amico, da tempo, cioè significa che c'è una storia.[3]

Perciò, nel dolore di accorgersi di qualcosa che incrina le fondamenta di quella storia, di quel riaccadere,[4] uno si rende conto di essere andato all'assemblea o alla ripresa di scuola di comunità per mero doverismo. Sì, magari anche per la sete di scoprire nuovi motivi per guardare avanti, ma quella del percepirsi come strumenti utilizzati per un'agenda che non ci interessa è una ferita che difficilmente si rimargina, è una domanda straziante sul "cosa sono venuto a fare qui".[5] L'ubbidienza è sì una forma di amicizia, ma esige inequivocabilmente che tale amicizia sia vissuta anche dall'altra parte. Puoi essere ignorato e messo ai margini per una vita intera e ancora legittimamente provare un senso di profonda gratitudine e un desiderio di ubbidienza che non viene scalfito neppure dai momentacci e dagli scandali. Ma quando scopri che per il soggetto che avevi sempre desiderato seguire sei stato non più che una delle tante anonime pedine su una scacchiera - cioè che la tanto pubblicizzata paternità non c'era mai stata -, la tua vita inevitabilmente cambia.[6]

Ricordo in un numero di Tracce un universitario che raccontava di avere una grandissima stima per un suo docente, un uomo serio, di scienza, un padre... al punto da imitarne il modo di vestire, di parlare, addirittura far proprio un suo tic. Lo invita alla scuola di comunità e dà il massimo di sé, desiderando condividere quel tesoro con lui. Invece il prof, stufo, commenta seccamente: mah, tutte cose già sentite. Va via senza aggiungere altro. L'universitario, addolorato e sconfitto, riassume: in quel momento ho perso un amico e ho perso un tic. Ecco, per me è stato lo stesso. Ho perso un amico, a cui fino a quel momento era stato un piacere ubbidire, e ho perso un tic - il tic del portafoglio, quello di svenarmi senza sosta per qualsiasi opera connessa al movimento.

La mia vita è cambiata lì, nei momenti in cui mi sono sentito una pedina intesa solo a gonfiare qualche statistica e nei momenti in cui dei cari amici sono stati ingiustamente calpestati da quello che in teoria era il nostro comune migliore amico.[7] Ciò che fino ad allora avevo ritenuto un errore di metodo - il distinguere tra la vera eredità di don Giussani e il movimento così com'è oggi - mi si è improvvisamente rivelato fondato e ragionevole. Nulla ha intaccato quel che ho vissuto in precedenza attraverso il movimento (cioè attraverso persone concrete e situazioni concrete), ma non riesco più a togliermi dagli occhi e dalle orecchie ciò che è stato drammaticamente spiacevole vedere e sentire. In queste stesse pagine prendevo in giro, fino a pochi anni fa, coloro che accusavano lo stesso problema: alla fine mi sono riscoperto a condividere ciò che dicevano e proprio a causa di quei mali che avevo io stesso diagnosticato - la sempre più massiccia presenza di "cielloti" imborghesiti iperattivi e "giussanologi" altrettanto imborghesiti.[8] Imborghesiti, cioè non solo estranei ad ogni persecuzione, ma addirittura applauditi nei consessi parrocchiali e diocesani, segno evidente di normalizzazione ben riuscita.[9]

Quando dunque in assemblea l'introduzione comincia col respingere ufficialmente la "scontatezza", dentro di me li sfido a dimostrarmi che fanno sul serio; quando in pompa magna proclamano un "riaccadere", dentro di me chiedo loro buone ragioni per l'uso di quel verbo,[10] quelle buone ragioni per cui un gruppetto di Fraternità nasce spontaneamente, non per meri motivi organizzativi o volontaristici, nasce per necessità vitale, non per passatempo religioso, nasce come una sequela, un'obbedienza, non per mettere nel proprio medagliere mentale un'altra decorazione. E dunque, di fronte a quella che considero una contraddizione non accidentale, quella del grande amico che calpesta i miei grandi amici, quella fastidiosa percezione di trovarmi di fronte a prediche preconfezionate introdotte meccanicamente coi termini "scontatezza" e "riaccadere", a lungo andare finisco anch'io per considerare gli incontri del movimento come qualcosa a cui partecipare "solo se ho tempo", avvicinandomi al diventare il tipico ciellino non praticante finché l'attuale gran capo non verrà sostituito da qualcuno che davvero ha a cuore la mia felicità. Ho bisogno che quel "riaccadere" sia molto più che uno dei classici paroloni del gergo ciellino. Ho bisogno di ritrovarmi sorpreso come negli anni passati, quando potevo ragionevolmente dirmi "non era affatto scontato", al punto da non resistere al volerne mettere a parte parenti, amici e colleghi e persino il parroco, pur sapendolo ostile a prescindere.[11]

È con un pizzico di diffidenza e di sfida che incrocio i volti di coloro che pensavo condividessero con me qualcosa di grande. Se prima tentavo di giustificarli pensandoli incapaci di esprimersi o di andare più in profondità, ora li noto come appartenenti ad un club perfettamente vaccinati contro gli ideali ufficiali del club stesso. Se prima potevo parlare di cielloti e giussanologi riuscendo ad associare a quelle due categorie volti tutto sommato lontani, ora, nello struggimento, non posso più ignorare che il movimento che ho incontrato è stato minato da giussanologi dei piani alti. È come uno che dopo la prova evidente del "tradimento della moglie", anche perdonandola di tutto cuore non riesce più a cancellarsi dalla testa l'idea che "non doveva" farlo e che in futuro potrebbe farlo "di più".[12] Ci vuole una vita intera per guadagnarsi una reputazione, ci vuole un attimo per distruggerla. Quando il gruppo di Fraternità scade nel formalismo, quando diventa stancante, non vale più la pena seguirlo - e gli alti richiami allo sforzarsi cominciano a puzzare di moralismo e di doverismo. Don Giussani ci ha insegnato che se la scuola di comunità non ti cambia è inutile. E un ammasso di eleganti discorsi non ti cambia.[13]


1) Odio scrivere tanto - dopotutto nessuno gradisce leggere pagine più lunghe di due o tre paragrafi - ma certe affermazioni inusuali richiedono spiegazioni inusualmente lunghe. La pigrizia mentale di chi legge non può essere sconfitta, ma può almeno trovare qualche riga più giù quel paio di precisazioni necessarie a comprendere più esattamente le ragioni e il contesto. In questa pagina intendo spiegare come è stata scalfita la mia affezione al movimento di oggi (che non somiglia più a quello di ieri) e perché non si tratta di una lamentela dettata da qualche altro tipo di disagio. Vaste programme, per dirla alla De Gaulle. Per cui, come nelle precedenti e future pagine, proverò a indurre il lettore a mettersi nei miei panni.

2) Tutti gli ecclesiastici che invitiamo a presiedere, pateticamente infilano qualche espressione di don Giussani nelle loro noiose omelie per pepare il discorsino e calamitare automaticamente un po' di plauso.

3) La mia storia, i miei amici, la loro fede, tutto convergeva. Ci era facile e addirittura percepito come indispensabile il riconoscere l'appartenenza al movimento. Avevamo un criterio, un metodo, avevamo un padre, avevamo qualcuno che con tutti i suoi possibili limiti (dei quali non ce ne importava pressoché nulla) era lì a capo e a vivere le nostre stesse urgenze. Avevamo una dimora ed era quantomeno un piacere spendersi senza sosta per sostenerla. La cosa peggiore che ci potesse accadere, l'inimmaginabile sventura, sarebbe stata lo scoprire che quella non era più la nostra dimora ma solo un contenitore.

4) Ci siamo sempre detti di aver incontrato Cristo attraverso il movimento, attraverso volti concreti. Cosa che resta vera anche se qualcuno se ne andasse poi per una diversa strada, dopo essere stato più o meno involontariamente strumento di grazia in una storia molto più grande di quel che ha mai potuto immaginare. Ma quando qualcuno di quei volti concreti viene calpestato da capi e capetti del movimento, qualche domanda uno se la pone. E se pure novantanove volte su cento capi e capetti avevano ragione, quell'un per cento di casi ti ricorda che la loro autorità non è affatto infallibile. Cioè che l'esser capo non significa esser santo - significa solo essere uno dei tanti strumenti che, spesso loro malgrado o a loro insaputa, possono essere eco di Cristo. Cioè che nel momento in cui ti dicono di metterti in gioco, hanno il dovere di essere loro stessi a mettersi in gioco per primi più di quanto non stiano già chiedendo a te. Altrimenti l'autorità degrada in autoritarismo, le indicazioni di ubbidienza diventano un ricatto morale sotto mentite spoglie, la tua appartenenza viene misurata in quanto tempo e soldi davi prima e dai oggi... e cominci a dubitare che loro appartengano a quel movimento in cui imbattendoti hai scoperto Cristo. Quando la loro foga è nel blaterare astruserie tipo "non bisogna Occupare Spazi ma Avviare Processi" per sembrare papisti, o "Grandi Cambiamenti Radicali Senza Precedenti" come un Ciotti qualsiasi, qualche dubbio ti viene. Quando la fedeltà a Pietro comincia ad avere l'aspetto di un'adulazione, quando il fondo comune viene nominato come se fosse una tassa di appartenenza, quando i tuoi amici vengono calpestati, cominci a chiederti sul serio dove è andato a nascondersi quel movimento che ha costruito la tua fede.

5) I nobiluomini del movimento hanno spesso come unica risposta quella più evasiva: "continua a venire, verifica tu stesso, chiediti cosa ti sta dicendo Cristo con tutto questo". Cioè per pigrizia non mettono in campo il tesoro che proclamano di avere, scaricando sull'accusato l'onere della prova (non diversamente da un kapò del Gulag che ti rimprovera di non saper lavorare). E guai a farlo notare loro.

6) Quando il capocasa è un emerito coglione, tu offri a Gesù, preghi, sopporti, pazienti, offri, offri, offri, ma per quanto puoi sforzarti di offrire e per quanto ti sforzi di "pensare positivo", prima o poi il vaso si riempie e arriva la goccia che lo fa traboccare (dopotutto i miracoli non sono mai automaticamente garantiti). E quindi quando nelle statistiche dicono che uno "ha lasciato la casa", c'è una buona probabilità che il problema non riguardi la sua vocazione ma solo la coglionaggine del capocasa che ha dimenticato (o forse mai saputo) che l'ubbidienza non è una dinamica unidirezionale. Sto parlando di coglionaggine reale, non immaginaria, non "reinterpretabile" - e che non è certo inviata da Dio. È uno squallido moralismo, a quel punto, rinfacciare al poveraccio: "devi fare un cammino, devi sforzarti di capire, devi mettere il Mistero davanti a questa tua fatica, devi, devi, devi..." Quel che doveva capire l'ha già capito (al punto che è traboccato il vaso), e ad uno con l'emicrania serve un'aspirina, non un discorsino sul capire l'emicrania per metterla "davanti al Mistero" (in nome della santa carità cristiana, per l'emicrania serve una cazzo di aspirina, non l'ennesima predica del cazzo). Ora, questa stessa dinamica del padre che rinuncia ad essere tale perché ha una diversa agenda, immaginatela in qualsiasi altro contesto - nel grande come nel piccolo, ecclesiale o laico.

7) Un'obbedienza sgradita o un colpo di freni a qualcosa che era buono non cambiano il contesto che don Giussani definiva dicendo che chi non ubbidisce sta comunque togliendo qualcosa dal rapporto. Ma quel contesto presumeva che in ultima analisi chi "comanda" non ha trasformato in pedina chi "obbedisce", cioè non ha declassato quell'amicizia ad un privilegio da aristocratico alla corte del re Sole. Disporre dell'ubbidienza di altri è una responsabilità enorme: basta dimenticarlo per un attimo per provocare danni irreparabili e per far pensare che chi ti ammannisce il fervorino "offri tutto a Gesù" stia difendendo la miserabile piccineria del capo o capetto di turno. L'ubbidienza è una forma di amicizia che non può essere unidirezionale.

8) Uno dei grandi equivoci - dall'esterno come dall'interno - è stato il considerare il movimento poco più che un gruppo di auto-aiuto, un club di amiconi sorridenti farcito con le espressioni tipiche del don Giussani, un movimento ecclesiale indistinguibile dagli altri (nel contesto della strategia wojtyłiana di istituzionalizzazione dei movimenti).

9) C'è un solido motivo per cui l'archeologia ciellina - le fatiche dei primi anni del movimento, i primi drammatici episodi di cronaca, gli anni di Litterae Communionis divenuta poi Tracce, l'essere costantemente attaccati dalla stampa, perseguitati o almeno ossessivamente ostacolati da parroci e vescovi a suon di burocrazie, diffidenze, esasperati tentativi di normalizzazione - ha un irresistibile fascino anche per il giovanissimo che vi si cimenta per la prima volta. La cosa peggiore che potesse capitare al movimento è stata il lasciarsi docilmente ridurre ad una delle tante etichette nella bacheca diocesana, etichetta indistinguibile dalle altre. Cioè il lasciare che l'istituzionalizzazione divenisse in fin dei conti sterilizzazione e normalizzazione dietro il paravento di una presunta "ubbidienza", comodo alibi dei collaborazionisti pilatescamente bramosi di conservare il proprio piccin privilegio e di lavarsene le mani.

10) "Dentro di me" perché ormai nelle scuole di comunità le difficoltà che si possono discutere sono solo quelle eteree e fumose, quelle che hanno risposte generiche preconfezionate. Le difficoltà reali, quelle che richiedono uno sguardo leale, virile, onesto, provocano sarcasmi, occhiatine di sufficienza, "ma dai, su, ma dai..." detti o accennati, sollevano tutti i possibili velati sinonimi di "non hai capito niente" e di "sei il solito lamentoso" (segno inequivocabile di una SdC ridotta ad un "parlarsi addosso", ad un esercizio di retorica dei membri del club dell'alce). Ho sempre speranza di trasmettere ciò che penso senza dover usare parole ufficiosamente vietate.

11) La tentazione del lamentarsi e del dirsi "non sono più parte di questa storia" nasce tipicamente dall'equivoco dell'immaginare che il movimento, in quanto tale, debba fare e dire certe cose anziché certe altre. Ciò di cui parlo, la ferita dolorosa che ho dentro, non riguarda discorsi e attività, ma l'incontestabile riduzione del movimento (operata dall'alto) ad una struttura da "monetizzare" in senso politico ed economico (per di più in tempi di insignificanza politica e di crisi economica, cioè dimenticando che è stata la fede a produrre imprevisti risultati "politici" e dimenticando che è stata la fede a produrre impreviste generosità in materie "economiche"). Il ricordare che "Cristo c'entra con tutto, anche con la matematica" diventa una sterile predica se proviene dalla bocca di chi ha mostrato di aver a cuore più il foglio Excel delle proprie statistiche che Cristo stesso. Tant'è che quando a tradire fu Pietro, non potendo mai bastare neppure il suo più eclatante e sincero pentimento, ci volle l'intervento personale del Risorto per convincere gli Apostoli a dargli nuovamente fiducia come capo.

12) Non escludo di poter cambiare radicalmente idea in futuro. È lo stato attuale delle cose che non va bene. Non va bene perché contraddice ciò che ho incontrato - cioè non è ciò che ho incontrato. Perciò resto in attesa che una diversa guida (non solo in senso di uomini) mandi in soffitta quella attuale.

13) L'espressione "per imparare a dire Tu a Cristo" suona molto diversamente se detta da uno per cui sei solo una pedina. E che all'assemblea dello scorso 6 giugno, nel parlare del fondo comune, ha avuto l'improntitudine di accennare in questi termini alla quantità versata: «sappiamo bene che siete alle prese con lavori a volte molto precari, e anche per questo non insistiamo sulla quantità». Il sottoscritto, precario da una vita intera, è fiero di aver versato con gratitudine (peraltro ricevendone il "centuplo" ancor oggi). Ma questo aristocratico favore del non "insistere" sulla quantità suona piuttosto male. Era proprio necessario aggiungere quell'inciso? Se sì, significa che ai piani alti il fondo comune non è più visto come un dono tanto inatteso quanto gradito, non è più considerato l'imprevisto e generoso frutto della gratitudine di chi ha aderito alla Fraternità, ma come una specie di tassa di appartenenza: "orsù, sforzatevi di dare un po' di più, almeno chi non è precario: qua abbiamo un sacco di spese, ci servono più soldi!". Non è il genere di espressioni che si poteva udire da don Giussani.

martedì 10 luglio 2018

Selvaggi alla conquista della nuova giungla

Come volevasi dimostrare, la voce di corridoio sul Minacciatore di Bambini si è diffusa in un lampo ed un altro topo di fogna ha deciso di non resistere alla tentazione di gettarsi sulla preda, convinto di una facile vittoria.[1] Il suo costruire l'escalation non era solo ad uso e consumo degli spettatori (moglie e figlio)[2] ma aveva tutti i caratteri di una calcolata provocazione: davvero tentava di estrarmi una parola o un gesto su cui costruire la lite da portare trionfante in tribunale.[3] Mi ha minacciato e un attimo dopo lamentava di essere stato minacciato da me. Ha urlato che ho minacciato il figlio sapendo che non era vero. Ha tentato di entrare nel cortiletto sperando in una mia reazione scomposta, e l'ho bloccato solo urlando più forte di lui: chi le ha detto di entrare qui?

Dopo l'inutile scenetta da tribù di cannibali a digiuno, alla fine anche lui è scappato, opportunamente aiutato da un suo parente che ha voluto evitare che la sua "sconfitta" passasse dall'uno a zero al cinque a zero. La (magra) soddisfazione di aver dovuto ripetere più volte concetti estremamente elementari - intesi più per il capannello di spettatori che per il soggetto accecato dall'ira - non mi ripaga. Le mie corde vocali non sono abituate a tutto questo inutile stress.[4]

Personalità "tossiche" esistono da sempre - qualcuno addirittura stima che la fetta di psicopatici sia notevole, dal 10 al 30 per cento della popolazione.[5] Ma da qualche anno a questa parte ho l'impressione che ci sia qualcosa a pompare benzina sul fuoco.[6] Tutta la mia collaudata abilità del vivi e lascia vivere e del mantenere un basso profilo sembra diventata drammaticamente insufficiente - e non riesco ancora a trovare solidi indizi per sospettare che a cambiare sia stato io.

Persino in un paesetto della più periferica periferia delle periferie quello che era un popolo si autoriduce a una massa di gruppuscoli tribali in bramosa attesa di trovare uno più debole su cui affermare la propria superiorità secondo le leggi della giungla (era sempre stato così, con la differenza che eventi del genere una volta facevano notizia). Il triste destino dell'Italia si nota anche da questo genere di degrado. Ed è uno scempio di cui gli uomini di Chiesa, autoridottisi ad impiegatucci del sacro intenti a proferire trite banalità, sono stati i primi, e perciò -purtroppo-, i principali responsabili. L'attempata strega venuta da chissà dove si mette a sbraitare contro l'unico ciellino della parrocchia, il parroco interviene per fingere di dirimere la questione ascoltando compunto le esagerazioni e falsità proferite dalla signora, e quando questa conclude la propria filippica il parroco le dà ragione e mi fa una sgridata multimediale[7] senza neppure voler ascoltare la mia versione - e subito dopo va via perché ha da fare e tra poco deve anche dir Messa. La surreale scenetta si è svolta materialmente a due metri dal Tabernacolo. Due metri due.[8]

Ma le streghe passano, il ciellino resta. La volta successiva ero in preghiera nei banchi, e il parroco mi si siede nel banco davanti (un modo tutto clericale per dirmi "ora possiamo parlarne" garantendosi però una plausible deniability). Per un attimo ho valutato le alternative: farmi il sangue amaro concedendo al soggetto di ascoltare le mie ragioni fuori tempo massimo? Oppure ignorarlo e sperare che la prossima volta ci pensi due volte prima di evitare di ascoltare anche l'altra campana? Rivedendo mentalmente la sua piccineria a due metri due dal Tabernacolo non ho potuto far altro che ignorarlo: dopo un interminabile minutino si è alzato ed è andato via, probabilmente per correre a dipingermi come il nemico giurato del dialogo e della comprensione e della pace. Da allora non abbiamo più parlato.[9] La giungla aveva già conquistato un altro palmo di terra.

Il possesso di telefonini e SUV[10] non rende il selvaggio meno selvaggio. Interi decenni di celebrazione dei sacramenti non rendono il parroco più uomo. La giungla avanza, la civiltà arretra, l'educazione di popolo manca, la cristianità è sempre più annacquata e insipida, chi ti aggredisce lo fa non in vista di qualche vantaggio concreto, ma in ottemperanza ad una ridicola e mutevole immagine mentale. Proprio come i veri selvaggi.


1) Forti con i deboli e deboli con i forti. Avrebbe fatto lo stesso se avesse avuto anche solo il minimo sospetto di avere a che fare con uno che gira armato?

2) Mentre per noi cattolici perseguitati i termini "moglie" e "figli" hanno un significato profondo e che tocca l'affettivitià, per i selvaggi con telefonino sono solo alcune voci del proprio Curriculum Personae, insieme a "telefonino", "campionato", "soldi". Cioè uno di loro si offende in egual misura se gli dici che il suo cellulare dopo un mese costa cento euro in meno, o se scopri qualche suo vergognoso altarino personale. L'affetto è infatti rivolto non al figlio ma all'immagine di sé stessi (la "persona") che vorrebbero esibire sui social, ed oggi è considerato disonorevole il non poter esibire il Figlio "Tutto A Posto" (versione borghesotta del Figlio Perfetto).

3) In pratica il padre tenta di insegnare al figlio i Valori della Giungla Occidentale. Mi ricorda quella vignetta in cui una mamma single sommerge di complimenti la figlioletta che fa twerking, le compra abitini sexy per farla essere "più bella", e quindi vedendola incinta si lamenta: "ma dove ho sbagliato?".

4) Sebbene il sottoscritto segua segretamente la tattica del "can che abbaia non morde", esclusivamente intesa a chiudere la faccenda sbraitando in modo da non essere coinvolto in una nuova faida o un fastidiosissimo seguito di piccinerie e dispettini, l'aver a che fare con gente con rotelle fuori posto non dà alcuna garanzia.

5) Quelle percentuali mi sembrano sorprendentemente realistiche, a giudicare dal numero di certezze che ho acquisito su conoscenti e parenti anche gentilissimi e mansueti ma che alla minima occasione sfoggiano una ferocia e un cinismo da cocainomani.

6) Gli spiriti dell'aria di cui parlava san Paolo e contro cui invochiamo l'Arcangelo?

7) Occhiataccia infuocata e parole taglienti, con una perfidia possibile solo a un panciuto parroco che non è riuscito a far carriera nelle curie.

8) Quando i tuoi eroi cominciano a comportarsi in modo strano, rivedi drasticamente l'influsso che hanno avuto sulla tua vita. Da ragazzino avevo un'altissima stima per il sacerdozio. Oggi ho la certezza - maturata attraverso un'interminabile sequenza di delusioni e di momenti imbarazzanti - che i preti stanno per ricevere una punizione assai più severa.

9) Da allora riconsiderai parecchio il mio impegno in parrocchia, sebbene in tante occasioni non abbia potuto resistere a dare una mano. Quello che succede in parrocchia, succede in tutta la Chiesa. Era stato anticipato nell'orwelliana Fattoria degli animali: il cavallo che per tutta una vita aveva lavorato e servito, quando non è più in grado di lavorare viene venduto al macello per cavarne ancora qualche soldo. Il "laico impegnato" (amavano chiamarlo così), unico ciellino della parrocchia, al quale il parroco non aveva mai risparmiato la battutina corrosiva, aveva donato solo Dio sa quante ore e quanta pazienza (e quanti soldi).

10) Ce l'ho contro gli Sport Utility Vehicles - e qualsiasi altro veicolo a due o più ruote progettato più per essere esibito che per portare a termine la propria giornata di lavoro - perché almeno da queste parti sono invariabilmente guidati da pirati della strada, convinti che il prezzo del veicolo includa il diritto di precedenza, di sorpasso e di parcheggio in ogni situazione, arroganti, aggressivi, pronti a farti rischiare l'incidente perché tu alla guida di una vecchia utilitaria sgangherata (o di un camion, autobus, furgone, qualsiasi cosa utilizzabile solo per lavoro) non meriteresti che disprezzo. Il selvaggio, acquistando telefonino e SUV, non diventa meno selvaggio, diventa solo più arrogante.

martedì 3 luglio 2018

Occorreva pensare alla vita interna

Sembra passato un secolo, eppure sono soltanto sedici anni da quando Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani a proposito di "non una strada, ma la strada".

Ho un ricordo vivo di qualche anno prima, quando mi fu detto - sottovoce, come per le indicazioni più gravi - che era ora che il movimento pensasse alla "vita interna". Cioè ad essere un po' meno "movimento" e con minor presenza sulla scena pubblica ed ecclesiale, e a formare di più i singoli, dando loro un miglior equipaggiamento dottrinale e sacramentale in vista di inevitabili maggiori battaglie.[1] Non ricordo trionfalismi da barzelletta riguardo a quella lettera del Papa, ma ho sempre avuto la sensazione netta che da quel momento alla vita interna i vertici non ci hanno pensato più.[2]

La crisi del movimento è ufficialmente cominciata una decina d'anni dopo, nell'annus horribilis che fu il 2013, quando al conclave Scola entrò Papa e uscì cardinale.[3] I peana carroniani per incensare Francesco ebbero come unico frutto una sonora "sferzata" e la conferma della dimenticanza definitiva della vita interna,[4] tutti presi dalla foga di compiacere il Papa suonando la sviolinata giusta. Al punto che la voce di corridoio secondo cui ci sarebbe un piano per fondere il movimento con Azione Cattolica non sembra più complottismo da bar sport.[5]

Una volta un pretino del movimento, col tono di chi dice qualcosa di Molto Adulto ad un Ragazzetto un po' troppo entusiasta, mi disse provocatoriamente che "i movimenti passano, la Chiesa resta", per poi calcare la mano insistendo che un giorno Comunione e Liberazione potrebbe finire. E fu qui che obiettai, vedendolo di conseguenza recitare la parte dell'Adulto Molto Molto Adulto che dà una Lezione di Vita al Ragazzetto. Anni dopo sarebbe stato Giovanni Paolo II a mettere nero su bianco ciò che non riuscivo ad esprimere. Il movimento ha voluto indicare non una strada, ma la strada, e la strada è Cristo. Questo non può "finire". Può piuttosto "finire" la struttura movimento che ospita ciò - e finirebbe perché smette di "indicare", tutta presa da attività tipiche della peggior Azione Cattolica.


1) La capacità organizzativa è una freccia spuntata se la falange macedone ciellina dipende più dai notiziari che dall'adorazione eucaristica. L'eredità di don Giussani è molto più ampia di quanto non possa emergere dalla vasta quantità di scritti e registrazioni: la prima volta che me ne accorsi fu quando un'amica delle Memores mi parlò dell'angelo custode in termini non bambineschi né da predica. Le Quasi Tischreden sono state trascritte perché anche quando scherzava sorseggiando un buon bicchierino trasmetteva qualcosa. Com'è tipico dei santi.

2) Se ne è accorto - fuori tempo massimo - anche Negri.

3) Sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi negli avvisi degli esercizi della Fraternità l'ubbidienza a Papa Scola riguardo cose come l'augurare "buon Ramadàn" ai fratelli musulmani. Fu un annus horribilis anche per la frustrazione delle speranze politiche dei formigoniani, definitivamente azzerate dalle manovrine del solito Partito della Magistratura.

4) Le parole d'ordine (tipo "cambiamenti radicali senza precedenti", "uscire da sé stessi", "cambiamento d'epoca che lancia una sfida", "davanti a un cambiamento di epoca, da dove ripartire?"...) sono esattamente quelle che fino a pochi anni prima erano oggetto dei nostri motteggi goliardici contro gli stralunati azioncattolichini avulsi dalla realtà e col cervello spento. Il più allarmante segno di una sconfitta è il vedersi comandare di essere esattamente come la caricatura che faceva il nemico.

5) Comunione e Liberazione nacque perché don Giussani, insegnando gli elementi fondamentali della fede, si ritrovò circondato da un popolo. Avendo fatto scuola di comunità con i gruppi di Azione Cattolica, ha dato l'impressione che il movimento ne sia stato una costola. In realtà la separazione era netta, come confermò lo stesso cardinal Colombo, nel 1971: «i gruppi di CL non sono un'alternativa all'AC ma sono solo un libero e legittimo movimento di apostolato». Nei prossimi cinque o dieci anni un cardinale o Papa potrebbe dire il contrario?

mercoledì 20 giugno 2018

Salvare i semi

Salvini già non mi piace più:[1] ha lanciato il tema "gli zingari" senza dire la cosa più essenziale: che la legge deve valere per tutti, non solo per gli italiani onesti e di reddito medio-basso.[2]

È un vecchio trucco clericale[3] quello del lanciare il tema. È un vaccino contro il vero problema: fatene parlare tutti, se ne parli fino alla nausea, tanto er dibattito nel giro di pochi giorni si sposta altrove e tutto rimane come prima. Anche un politicante di mezza tacca sa che lanciare il tema è un'arma - e sa che la fucilata va sparata lontano dal proprio piede. E sa anche che le armi di distrazione di massa vanno usate con parsimonia, perché provocano dipendenza peggio della droga.

È da molto tempo che la politica non mi stuzzica più. Non si può parlare di politica se la sovranità è stata svenduta da un pezzo e le decisioni che ci riguardano vengono prese a Bruxelles. I nostri governi fanno ordinaria amministrazione, autorizzati a gestirsi le proprie piccinerie, e obbligati a ratificare ciò che ci impone l'Unione Europea. Il triste spettacolo in corso - omosessualismo, distruzione della famiglia, immigrazionismo, perversione dei bambini... - ha una regia che non teme la politica. Porre speranze nella politica significa ormai contentarsi che il Titanic abbia gli oblò ben puliti mentre affonda.

L'ultimo vero atto sovrano dell'Italia non lo ricorda più nessuno: la crisi di Sigonella. Era l'undici ottobre 1985 e i Carabinieri puntarono i fucili contro i militari americani del DEVGRU.[4] Craxi piegò Reagan. Sette anni dopo cominciò Tangentopoli e avvenne la svendita sul Britannia. Il berlusconismo fu poco più che un debole colpo di coda prima di annodare il cappio dell'Unione Europea. Quando la politica era importante, i ciellini venivano gambizzati e la Jaca Book si beccava le molotov, e solo perché la stampa ci accusava di "fare politica", cioè di avere un'opinione non allineata a quella dei comunisti.

Nello sfascio generale la massima urgenza dovrebbe essere quella di salvare i semi da piantare. Come farebbe qualsiasi contadino nell'imminenza dell'alluvione. Affannarsi sulla politica, anche solo per condividere l'ennesima sacrosanta vignetta su Facebook, è una perdita di tempo.


1) Detesto parlare di politica e ancor più fare il nome di un politico e ancor più valutarlo. Ciò infatti scatena i più elevati vertici di frenetica stupidità umana con l'incontenibile foga del "devo assolutamente dire la mia" investendo zelo, tempo, energia e nervi senza fare economia. Sono le stesse persone che sbadigliano quando si tratta di questioni davvero serie e del tutto urgenti. È un paese di politicanti e di allenatori. Con quel cognome in cima a questa pagina, ora il blog otterrà parecchia visibilità e parecchi commenti.

2) L'Italia è già ridotta a una giungla (zingari ed extracomunitari mezzo secolo fa erano meno di una rara nota di colore), poiché ciò che non sei in grado di nascondere e proteggere è in balìa di qualsiasi bestia di passaggio. E prima di emigrare occorre riflettere bene, per evitare di trovare altrove uno scenario simile.

3) Il clericalismo da tempo non è più appannaggio esclusivo dei preti. Penso ad esempio a certe dinamiche nella pubblica amministrazione.

4) Assecondare il gangsterismo dei "temibili" (stando a Hollywood) DEVGRU Seals Team 6 avrebbe significato ammettere pubblicamente l'inesistenza di una sovranità italiana.

venerdì 15 giugno 2018

Ancora sulla barbarie che avanza

Tra i totem dell'epoca contemporanea c'è il Bambino in quanto Prodotto Perfetto di due genitori,[1] uno dei totem che hanno preso il posto di Onore, Reputazione, Onestà, Affidabilità...[2] Pertanto oggi una delle più terribili "bestemmie"[3] è minacciare un bambino un po' troppo ladruncolo e dispettoso dicendogli: fammi parlare con tuo padre altrimenti le buschi.[4] "Le buschi": le due parole che scatenano un'instancabile escalation.[5] L'immediatamente successiva patetica scena da Cavalleria Rusticana è stata l'utile occasione per battere accanitamente sul tasto dolente:[6] il fatto che "è solo un bambino", lo autorizza ad essere dispettoso?[7] Suvvia, il fatto di essere "solo un bambino" lo esonera dall'educazione?[8] Bastano le parole magiche "è solo un bambino" per dimenticare che noi, alla sua età, le abbiamo buscate davvero quando facevamo qualcosa di sbagliato?[9]

Come i par miei, mi illudo sempre che esporre ragioni serva a qualcosa, che richiamare princìpi induca almeno un pochino a miti consigli, che ad indicare la luna non sia il dito a ottenere attenzione. Macché. I sacri tabù contemporanei sono perennemente assetati di sangue,[10] e lo sport di cui sono campioni i loro adoratori - il chiacchiericcio condito con l'ostinata confusione tra realtà, paure e sogni - farà il resto.[11] Mi quereleranno per "minacce a bambino"? (tipica scena italiota: diversi mesi dopo, ormai dimenticata la faccenda, ricevere una lettera da un avvocato...).[12] Daranno fuoco al cortile o alla macchina o a qualcos'altro che qui riteniamo necessario o affettuoso?[13] (non lo fanno mica solo a Napoli e Detroit).[14] Si vendicheranno creandomi pasticci tra familiari e vicini di casa? (questo insignificante villaggio di selvaggi con telefonino già vanta pluridecennali faide avviate per non si sa più quali bizzarri motivi).[15]

L'esercito di genitori che mi aveva accerchiato mi stava vincendo per estenuazione. Mi sarei contentato di ottenere che uno di loro ammettesse che sì, l'educazione non è un optional, e già non ci speravo più, quando il genitore "colpevole" si lascia sfuggire in un plurale maiestatis una clamorosa ammissione che getta altra benzina sul fuoco: "fummo noi quella volta a..." (a fare un dispettaccio del tutto gratuito ai miei nonni, motivabile solo dall'invidia). Gli rispondo in un lampo, con un'espressione istintiva di sorpresa che da sola vale già mille discorsi: "dunque siete stati voi?!" Peccato non aver avuto le telecamere a far notare, da quel momento, la sua incapacità di guardarmi in faccia e la sua fuga dal capannello un minutino dopo.[16] Anche una persona adulta e ben addestrata a imbottire di sofismi le discussioni può avere un momento di ingenuità, un vero e proprio autogoal.[17] Chi si crogiola in pensieri di vendetta,[18] prima o poi si fa sfuggire qualcosa del genere, riaprendo ferite che erano rimarginate già da un pezzo.

Quello che mi addolora, dunque, è che questa società non è più viva. È un cadavere caldo. È una massa di selvaggi con telefonino, non "barbari" ma selvaggi: il barbaro non ha mai conosciuto la civiltà, il selvaggio è quello che la civiltà l'ha rifiutata, non la vuole più. Il barbaro può ancora lasciarsi educare qualora si imbatta in qualcosa che lo affascina, il selvaggio rigetta gli ultimi brandelli dell'educazione ricevuta sostituendola alle apparenze e alla legge della giungla. Il barbaro dopo non troppo tempo si è convertito: il selvaggio va magari in parrocchia ogni domenica ma è di fatto tornato alla superstizione. Può avere l'iPhone, il SUV, il microonde e la fibra ottica, ma non riconosce più concetti elementari come la dignità del lavoro, la dignità del matrimonio, l'educazione dei figli, il vivi e lascia vivere, la tragedy of the commons... In società imputridite come questa sorsero monasteri per grazia del Signore, ben sostenuti anche dal fatto che "fuori" dal monastero la vita era semplicemente invivibile.[19] Oggi, invece, non si vedono monasteri (e persino i Memores Domini, grande speranza fino a non troppi anni fa, sono tristemente in declino[20]). L'ottimismo dei cattoliconi da salotto, che è più un parlar forbito che non un crederci davvero, ha da tempo attecchito anche nel movimento: pertanto, nei confronti di capetti con la predica ciellina pronta,[21] non resta altro che augurare di vivere momenti di seria emergenza educativa (con annessi ragionevoli timori di rappresaglie) come quello che ho descritto in questa pagina.[22]


1) L'aborto, la fecondazione "assistita", ecc., sono solo un mercato che poggia su quella mentalità. Eccolo: il Prodotto Perfetto, che non è più da educare ma è da lasciar indottrinare da televisione, videogiochi, internet, e da lasciar autoeducarsi nel branco (scolastico, di quartiere, da clan o altro gruppo on-line...) Avete saputo dimostrare di saper avviare una gravidanza: oh, come siete onorevoli, perbacco, avete passato i vostri geni, che bravi, è un figlio Prodotto Perfetto ("e ora stop: non ce n'è mica bisogno di altri"): applausi, applausi! (preregistrati, ma comunque ambìti anche da coppie gay), ormai ci siamo abituati. Intanto, in qualche sperduta scuola di comunità, per la millesima volta si elucubra sull'imprevisto e imprevedibile incontro con Cristo: anche un cafone può incontrare, certo, anche un barbaro può, ma non è una cosa magica, tanto meno è facile dire di sì. Quell'imprevisto va sostenuto da noialtri - pregando, educando, lottando contro le tentazioni -, eppure persino ai vertici del movimento certe volte si lascia passare l'idea che robacce come quella mentalità anti-educativa vadano più "ascoltate" (in fin dei conti incensate, e comunque non hanno nulla di serio da dire) che combattute con l'insegnamento e con l'agire in controtendenza ("mandateci in giro nudi ma lasciateci libertà di educare").

2) Quei valori erano l'ultimo residuo di una società che un tempo è stata cristiana. Una volta, anche il sedicente agnostico/ateo riteneva urgente dire pane al pane e vino al vino.

3) L'esistenza dell'inferno è massimamente documentata da vita e atti di questa genìa di persone apparentemente buone e normali e che però sotto sotto dedica con inspiegabile zelo tutta la propria vita e le proprie risorse a piccinerie micragnose, ultimo traguardo dell'imborghesirsi. Magari li vedi anche tra le persone tutte casa e parrocchia, in fila per la Comunione, dopo aver aggredito la vicina di casa ferendola seriamente, mentre il loro avvocato riesce ad impressionare il giudice scovando che l'aggredita, quarant'anni prima, aveva fatto un corso di kung-fu e pertanto era "pericolosa" oltre che "minacciosa".

4) Che tradotto dal bambinese alla lingua italiana diventa: "hai fatto qualcosa di grave e pertanto ho sia l'obbligo di fartelo notare, sia l'obbligo di invocare l'autorità, e la tua miglior opzione è collaborare con l'autorità". Un padre ha certamente motivo di allarmarsi alla notizia che uno sconosciuto minaccia di pestare suo figlio, ma in qualità di adulto dovrebbe avere anche l'urgenza di capire le circostanze: potrebbe darsi il caso che suo figlio abbia davvero compiuto qualcosa di pericoloso per sé e per gli altri. La furiosa discussione che ne è nata, invece, ha dimostrato quanto i genitori credano ciecamente nell'impunibilità dei rispettivi Figli Perfetti e quanto abbiano colpevolmente subappaltato l'educazione a soggetti esterni.

5) È pur vero che era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La sola minaccia di buscarle è talmente efficace che nei cartoni animati per bambini potete assistere alla tipica scena dove il super cattivo della settimana sequestra e minaccia la bimba coprotagonista puntandole un coltello alla gola, ma non vedrete mai un bambino ricevere un ceffone (o altra punizione di quelle che non può non capire: quella corporale), nemmeno quando totalmente meritato. È tabù, è un tabù difeso quotidianamente da ogni fiction animata, scritta, disegnata, recitata: montessorismo de noantri elevato a sistema. L'ultimo baluardo dell'educazione, oggi, è quello di insegnare ai bambini - anche con le cattive se necessario - a distinguere il bene dal male. È già una grande notizia sapere che un ragazzetto le abbia prese per aver tirato il proprio smartphone in faccia al fratello: significa che in futuro ci sarà qualche accoltellamento in meno, qualche omicidio in meno.

6) Come il tizio che mi entra in scena per dire "io non c'entro ma vorrei dire la mia": da antologia del variety pomeridiano. L'esprimere un'opinione aspettandosi un applauso preregistrato e l'inquadratura di immaginari spettatori interessati, ha preso il posto del difendere qualcosa di vero per sé come per tutti. In questa società televisionata l'imperativo è quello di aprir bocca, mentre il silenzio è disonore, vigliaccheria, o furba convenienza. Se fossi stato un soggetto di quelli un po' pericolosi si sarebbe limitato a guardare la scena dalla finestra da un forellino della persiana totalmente chiusa.

7) Uno degli astanti mi chiedeva retoricamente se io avessi figli. Cioè spostava l'asse della discussione dal principio dell'educare alle opinioni sull'educazione (stante la sempre più forte confusione fra esperienza e opinione). Se c'è qualcosa in cui la scuola americana supera di gran lunga quella italiana, è il fatto di insegnare a riconoscere le fallacie logiche, un utilissimo fallacy shaming contro i furbetti.

8) È spaventosa la quantità di occasioni in cui si cede alla tentazione di chiedere esoneri anche alle norme più ragionevoli. Quando affonda l'educazione, emerge l'anarchia.

9) Dice il proverbio: le cosiddette questioni di principio non lo sono. Ma a costo di sembrare uno di quelli che vogliono per forza farne una questione di principio, non potevo tacere: per uno come me che da piccolo le ha buscate e da adolescente e adulto ha avuto continuamente a cuore la questione educativa, sarebbe stato profondamente ingiusto contribuire a diseducare anche gli adulti lì presenti.

10) Quod licet Iovi, non licet bovi. Cioè qui sanno tutti che il sottoscritto non è dotato di certi mezzi di dissuasione (non proprio morali) che rapidamente chiudono parecchi discorsi.

11) Nei minuti immediatamente successivi già ho scorto la mancata educatrice (che si era precedentemente distinta per un tentativo di corruzione: "quant'è? vi rimborso", col sottinteso di esser disposta a pagare pur di non andar contro il tabù e di non farsi riconoscere come renitente a educare) a conferire con l'impiccione chiacchierone del quartiere: mi vien da ridere a pensare che anch'io, se avessi voluto fare escalation, sarei stato tentato alla stessa tattica. Se la miglior battaglia è quella vinta senza combattere, la miglior lite è quella che non viene fatta nascere. Per cui la prima tentazione di chi viene coinvolto è quella di mettere subito in moto qualcosa che poi il proprio stesso buonsenso non riesca più a ridimensionare. "Capite? C'è di mezzo una babbina!" gridò tutto rosso alla vigilanza il soggetto al supermercato che non trovava sua figlia. Doveva costringere sé stesso a creare una situazione da cui non fosse autorizzato ad uscirne (e la foga fu tanta che la bambina divenne "babbbina" con innumerevoli "b").

12) Le lungaggini della giustizia nostrana, insieme ad un corpus di leggi di una complessità bizantina e alla debolezza delle norme sulle "cause temerarie", divide il popolo italiano in classi: quelle che possono permettersi un buon avvocato (tale da poter opprimere gli avvocati assoldati dalle classi inferiori), e quelle che non hanno tempo e soldi per permetterselo. Il buon senso e il buon cuore possono bastare solo se sei un eremita ben isolato. È una società in cui devi fare estrema attenzione a qualsiasi cosa che abbia anche solo un vago nesso con i rapporti sociali e con l'affollatissima foresta di totem pubblicamente adorati (riconoscibili tipicamente dal concerto di sviolinate necessarie prima di nominarli). Le trite banalità chiesastiche - come il moralismo del diluviarti di "devi pregare, devi interrogarti, devi perdonare", che contiene l'implicita accusa che staresti cercando ogni alibi per non farlo - sono solo uno degli artifici oratori per significare "cambiamo discorso".

13) C'è chi sbollisce la rabbia con una buona dormita, e chi invece ci gira e rigira attorno, nelle conversazioni a tavola con la moglie, col vicino di casa, col collega di lavoro, col cognato, facendo deliberatamente crescere dentro di sé il desiderio di vendetta e accorpando sogni di gloria e paure altrui nella propria rappresentazione mentale della Grande Sfida Avventurosa Come in Quei Film Col Processo al Cattivone. Una scena in tivù, il colore di una maglietta, il suono di un clacson, mille piccole cose riporteranno alla memoria quello scenario che era nato con l'idea del "gliela farò pagare cara" contribuendo ad aggiungere sempre nuovi particolari a quel divorzio con la realtà, possibilmente fino a tragiche conseguenze.

14) Un giorno dovrei scriverlo, un pamphlet intitolato "Elogio di don Abbondio". Il suo unico vero errore è stato quello di non riuscire a spedire i promessi sposi da qualche altro parroco, magari più pavido di lui (al clero di oggi fischieranno parecchio le orecchie, per tutti e sette i sacramenti). Dev'essere stato penoso esalare tutto quel latinorum pensando con apprensione a quei bravissimi bravi. Una società dove le forze dell'ordine ti guardano con commiserazione per un esposto che non riguardi un fattaccio grave e televisionabile (a meno che tu non sia un pezzo grosso), dove devi mobilitare - con moneta sonante e sovrabbondante - avvocati, fiscalisti, burocrati di ogni stirpe, per dimostrare di essere innocente, dove a distanza di tempo dai fatti ti piovono lettere di avvocati e "cartelle pazze", dove devi calibrare con circospezione le parole che dici e scrivi, anche in privato su Whatsapp, non è una società civile, nonostante le apparenze, nonostante i traguardi scientifici e industriali (mica tanti, in epoca recente). Qualche tempo fa sono stato aggredito e spintonato da un tizio perché allontanandomi dallo sportello Bancomat non gli avevo segnalato che andavo via perché era guasto (occasio facit furem, and a guappo as well). Tirai fuori il cellulare minacciando di chiamare il 113, e lui urlò: "sono io la polizia!", esibendo per una frazione di secondo - con elevatissima dimestichezza - un tesserino da guardia giurata. Uno dei passanti che aveva finto di voler intervenire si è poi dileguato in un vicolo - pure con elevatissima dimestichezza - per evitare, qualora la faccenda degenerasse, di venir chiamato a testimoniare. Sì, don Abbondio, non avevi tutti i torti. Noi vasi di coccio - cioè non dotati di pistole, avvocati, amici potenti che senza sporcarsi le mani possono mettere nei guai chi ci risultasse antipatico - dobbiamo stare attentissimi su questo carro traballante che è la società di selvaggi di ferro. Presi il numero di targa del soggetto, ma ho sempre avuto abbastanza motivi per non cimentarmi a denunciare l'aggressore: ci si imbarca in un'impresa solo quando si ha qualche ragionevole speranza di portarla a termine, solo quando il gioco vale la candela. Mi sono limitato a scegliere uno sportello bancomat diverso.

15) Ho parecchi motivi per tenere a freno l'ottimismo da cattoliconi da salotto perché ho visto con quale instancabile accanimento lungo innumerevoli anni certa gente apparentemente civile - così ti sembrano quando sono vestiti a festa nelle grandi occasioni e nella festa parrocchiale - ha molestato il vicino o il parente a cui segretamente aveva giurato vendetta, tremenda vendetta. E no, non è una dinamica esclusiva delle giungle metropolitane: anche il paesetto nella periferia delle periferie, televisionato come gli altri, si pregia di esibirla.

16) La moglie gli farà pagare caro lo scivolone e contemporaneamente contribuirà a sputare benzina sul fuoco. È un altro di quei casi in cui il singolo peccato, non essendovi seguito alcunché in controtendenza, fa fiorire a distanza di tempo altre occasioni di peccato, dirette e indirette, locali e remote, in un groviglio sempre più inestricabile. E i diretti interessati non riescono ad apprendere la lezione che anche il singolo peccatuccio è ultimamente un'aggressione all'intero creato oltre che a Dio. Eppure non dovrebbe essere complicato, visto che non hanno difficoltà a credere che per alterare il clima basta un battito d'ali di un gabbiano.

17) Se fosse capitato a me, per certi versi sarebbe persino stato un bene: dando loro l'impressione di averla avuta vinta su tutta la linea, avrebbe concluso la discussione limitando i danni. E avrebbe contribuito a diseducare.

18) Il pensiero precede l'azione. Ma per quanto ci si può tentare di ingannare sull'importanza del coltivare certi pensieri, prima o poi senza accorgersene si segue uno dei piani tanto amabilmente accarezzati nel retrobottega delle proprie fantasie. Con esito tipicamente del tutto diverso da quello che si pianificava. Non a caso Nostro Signore fece capire che si può peccare anche coi pensieri: lezione poco appresa, oggi, dove comunemente si confonde il peccato con il reato legalmente perseguibile.

19) Il monastero aveva una biblioteca perché fuori del monastero la cultura era disprezzata. Aveva campi coltivati e officine perché fuori era speculazione, spreco e svacco. Aveva una vita ordinata e civile - sorretta dalla vita religiosa - perché fuori non c'era ordine, c'erano solo selvaggi. I monasteri, più o meno involontariamente, produssero in breve tempo quell'educazione di popolo che rende civile la società.

20) Alla radice del declino non c'è un calo di "qualità" dei consacrati ma il sottile equivoco del ridurre l'ubbidienza a sequela cieca, che incrina la solidità dell'essersi donati a Cristo e fa affiorare il dubbio dell'essersi donati al Dialogo.

21) Al di là del prezzo che in futuro mi toccherà pagare per aver solo battuto sul tasto dell'educazione, è stato istruttivo da diversi punti di vista, inclusi strategia e tattica. Ma alle orecchie di cielloti e giussanologi amanti delle Alte Disquisizioni e che infilano aneddoti su misura delle prediche preconfezionate - persino nel tono di voce e nella cadenza - e sostanzialmente rispettosissime dei tabù (indovinate il motivo per cui i ciellini non vengono più bersagliati da bombe molotov e pistolettate?), rimarrò dipinto come il furioso minaccioso incapace di perdonare e allergico alla domanda "cosa ti sta dicendo il Signore con tutto questo?" Scusate la risatina sarcastica, ma mi sta dicendo chiaramente che in una società di selvaggi è pericoloso essere uno che ci tiene all'educazione. Magari la prossima volta tirate fuori una domanda retorica meno cretina per dire che non sapete cosa dire.

22) La doccia fredda della realtà non sempre è convincente. Uso il termine sprezzante "prediche" perché mi danno l'impressione di essere innamorati del timbro della propria voce e dell'immagine "modello Mulino Bianco" - ahimé, perorata persino dalla rivista Tracce - al punto da considerare fumo negli occhi qualsiasi intoppo alla precostituita narrativa ciellina. Ma forse lo fanno solo per l'ancestrale paura di lettere di avvocati e di decenni di perfide e accanite molestie.

domenica 27 maggio 2018

No, non intendo aiutarlo a rovinarsi il lavoro

Una delle cose che più mi mandano in bestia è ricevere una telefonata di domenica pomeriggio che non contenga esclusivamente buone e inattese notizie. La domenica, se non esistesse, bisognerebbe inventarla: quantomeno per abituare mentalmente i lavoratori al fatto che sono lavoratori, non schiavi del proprio lavoro. La domenica è per andare a Messa e per riposare, con o senza partite. La domenica, per carità, il lavoro va tenuto fuori dalla propria scatola cranica, e il cellulare va usato al più per inserire su Facebook le foto dei propri cani e gatti.

Un'altra delle cose che più mi mandano in bestia è quando mi telefonano per chiedermi aiuto su una faccenda di lavoro riguardante altre persone (ed è invariabilmente "una cosa urgente"), come se l'amicizia consistesse nel subappaltare il problema di qualcuno a qualcun altro, finché la catena di subappaltatori si completa perché c'è qualcuno che non sa dire di no e si accolla la questione (e raramente con risultati lodevoli).

Ed un'altra è quando quella faccenda di lavoro consiste nell'incerottare una soluzione già sinistrata, traballante, in guerra fredda con le più elementari norme di sicurezza e del buonsenso. Cioè quando uno desidera essere aiutato a suicidarsi (lavorativamente).[1]

E il peggio è quando tutto questo succede in quella stessa telefonata ricevuta di domenica pomeriggio. Il cellulare esige proprio di essere spento di sabato sera e riacceso solo il lunedì mattina.


1) Bisognerebbe istituire fin dalle scuole elementari corsi obbligatori di educazione a far funzionare il proprio cervello per non farsi guidare dall'ansia ma dalla realtà. Titoli delle lezioni: "rifare tutto daccapo non è sempre un disonore", "il meglio uccide il bene (ma ciò non implica che il bene vada incerottato in eterno)", "una gravidanza dura nove mesi ma non puoi allestire un team di nove mamme per ottenere un figlio in un mese".

martedì 8 maggio 2018

Ciellini monofiglio

C'era stato un tempo in cui chi aveva una famiglia numerosa veniva invariabilmente accusato di essere ciellino. Anche se il lavoro e le altre circostanze glielo permettevano. Oggi assisto invece al bizzarro fenomeno di famiglie cielline monofiglio: e quando alla ciellina d'allevamento arriva il secondo figlio, questa ha addirittura la faccia di bronzo di rimproverare severamente il marito per l'increscioso "incidente".[1]

È pur vero che in questa landa brulla e desolata chiamata Italia, e ancor peggio nel resto delle barbare terre dette Unione Europea, procreare è pressoché autolesionismo sociale.[2] Le millemila agenzie educative hanno il potere di devastare tutto ciò che tenti di trasmettere alla tua prole. Guardo con crescente desolazione questi ragazzetti che prima della Prima Comunione sono già a conoscenza di elaborate bestemmie, elaborate volgarità sessuali,[3] e non si muovono da casa se non hanno la garanzia che a destinazione (come pure durante il tragitto) sia disponibile almano il Uài Fài e la possibilità di ricaricare la batteria.

Contrariamente alla vulgata filoamericanista in vigore nel movimento presso i soggetti più anziani,[4] la barbarie non viene solo da oriente ma soprattutto da occidente. I resoconti delle desolanti porcherie divenute cronaca quotidiana in America erano perfetta anticipazione di ciò che sta avvenendo da noi.[5] Quell'espressione di don Giussani, «se ci fosse un'educazione di popolo tutti starebbero meglio», mi tocca ogni giorno, si è rivelata precisissima. Manca esattamente l'educazione di popolo. I vostri buoni valori di genitori, una volta, avrebbero trovato corrispondenti buoni valori nei parenti, nei genitori del vicinato, nei genitori dei compagni di scuola e negli insegnanti, nei genitori dei compagni di gioco, di palestra, al cinema, sui giornali, in televisione, su internet... Quantomeno statisticamente avevate un solido supporto.[6] E questo solo nei termini "educazione di popolo", che è più generico e di società cristiana.

In quest'ultimo mezzo secolo, Con la sostanziale caduta dell'ultimo bastione - quello delle parrocchie - sono bastate un paio di generazioni per passare da paese cattolico a paese anticattolico.[7] I titanici sforzi di valorizzare il Magistero postconciliare sono efficaci quanto le grida dei tifosi ad una squadra che in campo sta solo arrancando in attesa che passino i rimanenti ottantanove minuti di gioco per poter andarsi a sdocciare e a cenare in trattoria.[8] Siamo di fatto già nelle catacombe, siamo già prossimi al momento in cui segretamente ci racconteremo di quando l'affiggere un volantone nella bacheca del posto di lavoro significava solo una ramanzina e una vaga minaccia di licenziamento.[9]


1) Roba che neanche l'imposizione politica del "figlio unico" in Cina.

2) Se la persecuzione fosse esclusivamente fiscale non funzionerebbe.

3) La scorsa generazione è stata rovinata equipaggiando la camera da letto dei figli con un televisore. Quella attuale viene rovinata equipaggiando i figli di connettività internet senza controllo.

4) Ha un che di comico il fatto che l'americanismo ciellino derivi pressoché esclusivamente dal fatto che don Giussani, nello studiare teologia protestante (e dunque immergendosi nella mentalità americana tradizionale), si limitò a presentarne aspetti suggestivi dal punto di vista educativo.

5) Troppo comodo lamentarsi del degrado morale evitando di notare che le sue due fonti principali - quelle a cui le produzioni provincialotte nostrane non si sono mai stancate di attingere - sono state Hollywood e l'industria musicale statunitense.

6) Come profetizzato da Chesterton, oggi non si può più dire pane al pane e vino al vino.

7) Si tratta di un anticattolicesimo più nel senso di allergia che nel senso di militanza ideologica, che parte dalla brama di crogiolarsi nella propria ignoranza. A suo tempo mio zio, tutto casa e parrocchia, nel dirmi "sei comunista senza saperlo" credette di dividere il mondo tra catto-salottieri e comunisti che non apprezzano il cattolicesimo da salotto.

8) Il circolo vizioso della perdita d'autorità: nessuno ti ubbidirebbe, perciò non comandi niente di scomodo, tanto meno punisci i malvagi; pertanto i malvagi fan festa e chi pure teorizzava la necessità di ubbidirti comincia a far le pulci a ciò che dici. Quando Pietro fu addolorato e rispose "Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo", quel dolore era dovuto anche alla solida sfiducia che sapeva di essersi legittimamente conquistato col triplice rinnegamento.

9) Le nuove belve sbrana-cristiani non sono più bestie africane d'importazione. Si consideri ad esempio il caso della dott.ssa Silvana De Mari.

venerdì 4 maggio 2018

Cinema coreano

Dopo un buon numero di film giapponesi e coreani mi sono convinto (ancora una volta) che noi occidentali - e specialmente noi italiani - semplicemente parliamo troppo. La lingua italiana, con la sua grammatica così complessa e così espressiva, dovrebbe teoricamente indurci a non sprecare parole. Coreani e giapponesi comunicano invece anche attraverso il silenzio di una appena accennata espressione del volto, o con quei mugugni come "hm", "eh", dai tanti significati e che perciò vanno decifrati dal contesto.[1]

Sono film che ovviamente non arrivano in Italia, perché qui è inutile commerciare qualcosa che possono apprezzare solo i palati fini, cioè quelli un filino al di sopra della bassissima media barbarica abituata ai già poco esaltanti preconfezionati hollywoodiani, sempre più indistinguibili dagli indiani di Bollywood e Kollywood e dalle pallide imitazioni italo/europee.[2] E che storcerebbe il naso a considerare attori con occhi a mandorla.[3]

Slow video, coreano. Quando ho visto il disegno che rappresenta i cinque amici (un rapporto imprevedibile), mi sono sentito uno di loro. Su una trama un po' infantile, un film che parla con silenzi e immagini, di una delicatezza sorprendente. Adrift in Tokyo, giapponese. Anche qui una trama esclusivamente dialogata e di immagini, dove silenzi e scenario costituiscono il modo con cui si racconta della crescita dell'imprevisto rapporto umano dei due protagonisti. La scena che più lascia a bocca aperta è quando la ragazzina li interrompe mentre battibeccano sull'uso di oyaji ("ehi, vecchio", grezzo modo di apostrofare il proprio padre).

Anche i loro film di intrattenimento, pur imitando i canoni occidentali, sono costruiti con garbo e delicatezza. The Priests, coreano: un film di esorcismi abbastanza semplice ma non offensivo verso la Chiesa.[4] A violent persecutor, coreano, azione e poliziesco, senza violenza inutile. How to date an otaku girl, giapponese: commedia sentimentale con sequenze da antologia del cinema.


1) Si può riconoscere in certa cinematografia americana, negli ultimi 20-30 anni, il tentativo di aggiungere questo ingrediente ai protagonisti. Parlare per immagini, per strozzati monosillabi, per silenzi. In oriente, per motivi che tuttora mi sfuggono, si comunica anche con il silenzio, come i monaci di una volta, laddove il sottoscritto sembra essere continuamente sotto pressione dagli interlocutori che vogliono continuamente conferme ("sì, certo, giusto, proprio così, esatto, e poi?, vero, ho capito...").

2) Un serio problema del cinema italiano da decenni a questa parte è che gli italiani non sanno più recitare - e ancor peggio va col doppiaggio, non solo per la seria difficoltà di adattare espressioni idiomatiche e citazioni più o meno dotte, ma per la rozzezza dei doppiatori. "Qui devi sembrare arrabbiata", e la doppiatrice adopera un tono di voce da ragazzina isterica viziata che prenderesti a pedate perché ti ha letteralmente massacrato la figura della protagonista che -nel copione originale- aveva un carattere appena timido e ansioso.

3) In compenso siamo talmente imbevuti di americanismo che troviamo naturale vedere grassi negroni in giacca e cravatta comandare sui bianchi o sparare loro addosso, e tutti - i primi come i secondi - dotati di nomi e pistoloni americanissimi. Persino nelle storiette composte da adolescenti con problemi di brufoli e pubblicate senza alcuna vergogna on-line, è raro trovar nomi italiani o personaggi poco americanizzati. Il razzismo americano, più il conseguente antirazzismo americano, sono approdati nella nostra "cultura" perché siamo stati una colonia non solo militarmente occupata, ma anche cinematograficamente.

4) Hollywood cerca a tutti i costi di celebrare il demonio, i coreani no. Indovinate perché.

giovedì 3 maggio 2018

Twitter come indispensabile criterio di analisi del reale

C'è un'azienda che raccoglie messaggini e li organizza in un enorme database che rende limitatamente accessibile al pubblico. L'azienda è famosa perché vanta oggi centinaia di milioni di iscritti, che - con le loro interazioni nel produrre messaggini - costituiscono la "merce"[1] da vendere ai pubblicitari e alle agenzie di spionaggio.[2] Tra gli iscritti c'è anche il Papa, non certo per sua volontà.

L'azienda in questione, dal business plan non proprio chiaro, con introiti pubblicitari inadeguati, nata e vissuta oberata dai debiti,[3] approdò in Borsa vantando tra gli iscritti (cioè tra la "merce" che detiene) perfino Obama e il Papa.

Oggi il Papa ha cinque milioni di "followers"[4] (oh, che disdetta: metà del suo predecessore), cioè molto meno di alcuni personaggi dello spettacolo assurti alla gloria mediatica per non proprio cristianissime virtù. Il nostro parroco, divenuto esperto di informatica perché gli era stato regalato un tablet, in un'omelia domenicale fa un largo giro di parole per esortare a "followare" il Papa, mentre la nonnetta al quarto banco per un attimo si chiede se al Giudizio Universale le verrà chiesto come mai non si è dotata immediatamente di uno di quei cosi (Smart Foun) per poter sostenere il Sommo Pontefice nell'esercizio dei suoi (a lui attribuiti) tweet.[5]


1) Essendo il database decisamente grosso, si presta ad analisi estensive (in gergo informatico: Big Data) da cui trarre auspici, tendenze, "picchi" di interesse su determinati argomenti, correlazioni, dati sfruttabili a scopo commerciale, politico, militare, dati che gli utenti del servizio inseriscono gratis, spontaneamente, sinceramente.

2) E persino far gran cagnara contro presunti tweettatori russi quando le elezioni non vanno come avevi programmato.

3) Un'azienda che nasce oberata da enormi debiti e va avanti per molti anni indebitandosi sempre di più, dev'essere necessariamente un'azienda che le Banche, note per il loro generoso e spassionato altruismo, amano e coccolano (un miliardo di dollari di debiti, tanto per cominciare). E Twitter poteva nascere solo nel paese della Deregulation: in USA.

4) La lista dei follower di un iscritto è generalmente considerata descrittiva delle idee che propugna. Cioè il tipico follower del Papa è uno che ha bisogno di esibire la figurina papale nella sua collezione di figurine, allo scopo di qualificarsi come cattolico dinanzi agli altri tweettatori. In pratica l'esistenza di Twitter diventa lo strumento pressoché obbligatorio a coloro che hanno bisogno di dire followatemi e a coloro che hanno bisogno di dire lo sto followando, indipendentemente dai contenuti dei tweet.

5) Circolo vizioso: "tutti" usano i social, dunque "anche noi cattolici" dobbiamo usarli, dunque "anche il Papa" deve essere presente sui social, dunque "noialtri cattolici bisogna che followiamo il Papa dandogli sempre il Mi Piace perché altrimenti il suo rating resta sempre basso"...

martedì 1 maggio 2018

Twitter e la dignità del lavoro

Qualche annetto fa ironizzavo sull'utilizzare Benedetto XVI come strumento pubblicitario per l'allora imminente ingresso in borsa di Twitter. Ad avvenuto trionfale ingresso, sui giornali fu tutto un coro di peana che ignorò alcune questioni fondamentali che provo qui a riassumere in ordine sparso.[1]

La prima è che l'operaio è degno della sua mercede. Ma perfino nella Chiesa cominciamo a dimenticare che la dignità del lavoro è infinitamente più grande dei successi della speculazione tanto bramati dal mondo. L'entusiasmo generale per quella quotazione in borsa sembra dovuto all'inconfessabile desiderio riassunto da quell'espressione siciliana: fatt'a nomina e va' cùrcati, fatti un nome e poi puoi pure andartene a dormire. Cioè al sogno di vivere di rendita: basta farsi un "nome", basta imbroccare l'occasione giusta, riempire i granai e poi dire alla propria anima: hai da campare di rendita per tanti anni, datti dunque al riposo e all'allegria. Quanto sia diffuso lo notiamo continuamente, dal nonnetto che brucia la sua pensione comprando gratta-e-vinci al negoziante che simula un furto tentando di frodare l'assicurazione, passando per il maldestro improvvisato rapinatore che pensa che arricchirsi sia facile come in quei film, e poi l'imprenditore che alla riuscita del suo primo investimento fa di tutto per chiudere la produzione e trasformarlo in una rendita...

La seconda è che in Italia il mondo del lavoro si trova accerchiato da sei diverse mafie, e non per modo di dire. Per anni agli incontri con la Compagnia delle Opere ed al Meeting ci siamo sentiti ripetere l'incessante mantra della passione per il proprio lavoro e della positività del reale, applaudendo ubbidienti agli ospiti invitati ad illuminarci con le loro insignificanti omelie. Certe volte perfino qualche grosso esponente del movimento si lasciava prendere la mano profetizzando, se non un avvenire radioso, almeno un presente sopportabile. Decenni di fatica a educare alla realtà e quei signori s'ingolfavano nelle proprie fantasie, dimenticando che il secondo miracolo italiano (cioè la non ancora totalmente riuscita devastazione del mondo del lavoro) non era destinato a durare all'infinito. Confondono la speranza con l'ottimismo: è per questo che nessuno li etichetta come lamentosi, è per questo che vengono ancora stancamente applauditi.

Cioè commettono per analogia lo stesso errore di coloro che pensano di vivere di rendita. Come la signora che ha costruito la sua piccola fortuna sul boom della compravendita di immobili e non ha fatto in tempo a ritirarsi dal gioco quando il mercato immobiliare ha avuto una battuta d'arresto. Come l'operaio che aveva costruito il suo tesoretto giocando in borsa negli anni d'oro e scoprendo troppo tardi di aver già bruciato nel mercato azionario l'eredità ricevuta dai suoi. Come il rappresentante che gabba tutti i clienti per raggiungere il bonus e poi licenziarsi e scappare. Il pattern è sempre lo stesso: la speranza ridotta a ottimismo, nella forma dell'idea che basti un colpetto di fortuna per vivere di rendita il resto dei propri giorni.

La terza è che un'azienda quotata in borsa non diventa migliore. E nemmeno più ricca. Le azioni di un'azienda "salgono" quando la speculazione le fa salire, per esempio quando l'azienda annuncia l'intenzione di licenziare personale, oppure quando annuncia la fusione con un'altra. Sui giornali si parla troppo del mercato azionario e troppo poco di lavoro reale: e a furia di sentir parlare di borse, azioni, finanziamenti, nessuno si chiede più cosa produca materialmente l'azienda e quanti posti di lavoro[2] esattamente crei il fatto che le sue azioni salgano del venti, cinquanta, ottanta per cento.[3] Incredibile sentir vantare i Tanti Milioni di Follower del Papa su Twitter (diverse volgarissime cantanti pop ne hanno dieci volte tanto), cioè dei milioni di iscrizioni ad un database privato (oggi quotato in borsa) che "seguono" l'iscrizione del Papa sullo stesso database privato diventando così involontario sponsor aziendale.

Una volta erano i preti a spiegare certe cose alla povera gente. Il contadino diffidente di ogni Grande Novità in Arrivo, lo era perché in quella parrocchietta di campagna c'era un prete che spiegava la dignità del lavoro - proseguimento dell'opera creatrice di Dio -, che ridicolizzava il sogno del vivere di rendita, che faceva notare che l'avidità è anche quella in giacca e cravatta con depliant pieni di numeretti colorati, che il gioco d'azzardo è utile solo al demonio, e che il senso della vita non consiste nel bruciarla per accumulare improbabili ricchezze che provocano la sindrome del "roba mia, vientene con me". Abramo, il Qoelet, Mosè e altre spremutine di Bibbia, per carità, lasciamole come passatempo per i monaci in pensione: per chi va elucubrando di diete, borsa, oroscopi, e non sa neppure come si fa il segno della croce e a cosa serve esattamente la confessione, c'è bisogno di una robusta dose di dottrina cattolica. A cominciare dalla passione per il lavoro e dalla dignità del lavoro.


1) Da allora ad oggi le azioni di Twitter hanno perso più della metà del loro valore, nonostante la continua crescita di Twitter.
2) La tragedia della diffusa disoccupazione ci ha fatto lentamente mettere in secondo piano la dignità del lavoro rispetto ai proclami sul numero di posti di lavoro.
3) Segreto indicibile: il valore delle azioni non influisce per nulla sulla qualità dell'azienda e sul suo andamento. È vero il contrario, e solo nei casi in cui qualche giornale può sbattere un titolone in prima pagina.

lunedì 30 aprile 2018

Hype

Il giornale annuncia una nuova fermata della metropolitana in prossimità dell'aeroporto. Oh, certo, è solo un progetto appena discusso, occorre solo aspettare che si trovino i fondi, sperare che bastino a non far modificare il progetto, sperare che venga approvato e che le date vengano rispettate.[1] Il giornale annuncia una nuova cura per la sclerosi multipla o il tumore o cos'altro. Oh, certo, un nuovo studio parrebbe contenere qualche scoperta positiva, ma da qui a trasformarlo in una cura passeranno molti anni, sperando che non si scoprano effetti collaterali, sperando che le case farmaceutiche non lo trasformino nel solito business miliardario utile solo a chi non sa come sperperare i propri fantastilioni.[2] E quindi il giornale annuncia nuove soluzioni tecnologiche che ci "cambieranno la vita": intelligenza artificiale, auto che si guidano da sole,[3] missioni marziane[4] e quant'altro.[5] Oh, certo, solo che le vere innovazioni sono sempre arrivate sul mercato senza preavviso.[6]

Quel genere di roboanti annunci che "ci cambieranno la vita" vengono definiti hype. Che è il nome elegante dell'aria fritta. La cagnara conseguente è intesa solo a far circolare soldi, attrarre investitori ignoranti ma danarosi,[7] fabbricare false speranze utili al più a riempire le pagine (cartacee e non). Dopotutto il popolo bue è così assetato di notizie...[8]


1) E che il contraccolpo ambientale che chiamiamo degrado non renda pressoché vana l'opera.

2) Il business della chemio è qualcosa di infernale. Anzitutto per i pazienti. Idem quello dei vaccini, e tanti altri. Ma è vietato interrogarsi onestamente, pena etichette infamanti.

3) Diventerebbe tutto più facile se si aggiungesse alla rete stradale sufficiente infrastruttura elettronica (sembra costoso, ma a lungo termine ripaga ampiamente). E invece no: pretendono di farlo usando quella nata oltre cent'anni fa - fatta di strisce disegnate sull'asfalto e cartelli posti su pali.

4) Spedire payload in orbita è estremamente più facile ed economico del lasciare l'orbita pulita. Ma probabilmente si comincerà a parlarne sul serio solo quando ci sarà un incidente "Kessler syndrome" come nel film Gravity.

5) Qui nel nostro piccolo ci permettiamo sempre di sognare un computer che sia pronto a lavorare un attimo dopo aver premuto il tastino di accensione, che non vada pasticciando con aggiornamenti o pretendendo connettività internet nel momento in cui dobbiamo solo lavorare su un documento e stamparlo, che non abbia bisogno di essere riformattato ogni tot mesi, che non esiga decine di operazioni per aggiungere una singola funzionalità...

6) Uber, Facebook, Airbnb, la stessa internet, tutte cose che all'improvviso "c'erano già" e hanno scatenato la corsa all'utilizzo.

7) Da mezzo secolo la ricerca sull'intelligenza artificiale continua ad arrancare ma la Silicon Valley - massima produttrice di hype nel mondo - è riuscita ad attrarre investimenti per sei miliardi di dollari.

8) Spesso ho l'impressione di essere circondato da gente che brama di sapere se Batman riuscirà a sconfiggere il Pinguino e a che punto sia la lotta tra Spiderman e il dottor Octopus. Al punto che anche quando ci si appassiona su notizie serie - come la sorte dei vari Alfie, Charlie, ecc. - è come un domandare ardentemente ai media: su, dai, cosa mi proponi da pensare oggi?.

venerdì 20 aprile 2018

Analfabetismo funzionale e tastino magico

Il vicino di casa si è lamentato del rumore notturno del climatizzatore inverter. E sì, il nonno di notte ha pensato: "oh, che freddo", ha pigiato il tastino del telecomando e ha ripreso a dormire. Il clima è andato a millemila perché la porta del bagno era aperta e la finestra pure. Per cui presto arriverà una bolletta da imprecazioni contundenti e a breve termine potrebbe seguire la prematura morte dell'apparecchio per eccesso di fatica o per improvvisi attacchi di isteria risparmiosa. Da più di qualche anno e con grande sforzo ho tentato di far capire al nonno che il tastino in questione non è magico. Per far funzionare l'aggeggio occorre preventivamente chiudere tutti i boccaporti, d'estate come d'inverno. Niente da fare. Manca proprio l'ABC più elementare del riconoscere la realtà, quello che in genere si insegna ai bambini di tre anni: non esistono tastini magici che appena premuti ti fanno star bene.

Ma nel suo caso non è una regressione, non è demenza. È una mentalità acquisita negli anni recenti. È la "cultura" di chi è approdato dagli anni del dopoguerra (da ragazzino dormiva su tre sedie accostate, le scarpe se le passavano tra fratelli per decenni, si cenava con l'acqua pazza, cioè pane raffermo inzuppato in acqua e olio bolliti) agli anni della tecnologia in cui con un tastino apre il cancello, con un tastino fa il caffè, con un tastino vede le bollette arretrate, con un tastino arriva il pacchetto... finendo per credere che nell'epoca Super Tecnologica sia impossibile che non esista un tastino etichettato "per star bene".

Che poi le specifiche dicano che l'apparecchio è per stanze di venti metri quadrati, poco importa: "lascia la porta un po' aperta, così scaldiamo anche la cucina". Nonno, con la cucina arriviamo a trentasei metri quadrati, praticamente il doppio del carico di lavoro massimo ammesso per quell'aggeggio. Niente da fare, appena vado via si apre la cucina. Ed il compressore della pompa di calore urla di disperazione strangolato dal dogma del Tastino Magico che ti fa Star Bene anche in Cucina. Non è stupidità. Non è ignoranza. È la fervida credenza nel Magico Tastino, cioè il disconoscere la realtà, proprio in quei pattern che lui stesso - forgiato dal lavoro - aveva sempre convintamente raccomandato ("mai caricare il serbatoio a più di tre quarti, mai utilizzare contemporaneamente le due leve, stringere le viti in modo incrociato anziché circolare...": tutti consigli dettati dall'esperienza, dalla realtà stessa delle cose).

La convinta fede nel Tastino Magico trascende tutti gli aspetti della vita e degenera in fatalismo. In un attimo passa dalla modalità guerrafondaio alla modalità "quanto devo pagare?", lamentandosi in modo inversamente proporzionale all'entità del problema, restando sbigottito e alterato quando il Magico Tastino sembra non funzionare. Il nonno si sta adeguando alla mentalità tipica dell'Italiano Moderno, quello che sdegnato si chiede retoricamente: "ho comprato il telefonino, perché non mi permette di chiamare chi voglio? Ho comprato casa qui, com'è possibile che i vicini non siano paradisiaci servitori delle mie fissazioni? Ho comprato il SUV, com'è possibile che non si trova un parcheggio? com'è possibile che non posso sorpassare chiunque?" Ed un pizzico di pigrizia mentale più un pizzico di stanchezza producono quel fatalismo del "mi hanno fregato": è colpa della burocrazia, dell'euro, del governo, dei disonesti, delle banche... e finisce lì. L'esistenza del Magico Tastino postula il diritto di lamentarsi, ma solo col prossimo e solo a parole, perché da qualche altra parte esisterà un altro Tastino Magico da comprare e da premere per risolvere una volta e per tutte quei problemi e finalmente Star Bene.

Non è un problema di galateo o di cultura, ma di mentalità, di educazione a riconoscere la realtà. Se ci fosse un'educazione di popolo... ah, se ci fosse.