martedì 3 luglio 2018

Occorreva pensare alla vita interna

Sembra passato un secolo, eppure sono soltanto sedici anni da quando Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani a proposito di "non una strada, ma la strada".

Ho un ricordo vivo di qualche anno prima, quando mi fu detto - sottovoce, come per le indicazioni più gravi - che era ora che il movimento pensasse alla "vita interna". Cioè ad essere un po' meno "movimento" e con minor presenza sulla scena pubblica ed ecclesiale, e a formare di più i singoli, dando loro un miglior equipaggiamento dottrinale e sacramentale in vista di inevitabili maggiori battaglie.[1] Non ricordo trionfalismi da barzelletta riguardo a quella lettera del Papa, ma ho sempre avuto la sensazione netta che da quel momento alla vita interna i vertici non ci hanno pensato più.[2]

La crisi del movimento è ufficialmente cominciata una decina d'anni dopo, nell'annus horribilis che fu il 2013, quando al conclave Scola entrò Papa e uscì cardinale.[3] I peana carroniani per incensare Francesco ebbero come unico frutto una sonora "sferzata" e la conferma della dimenticanza definitiva della vita interna,[4] tutti presi dalla foga di compiacere il Papa suonando la sviolinata giusta. Al punto che la voce di corridoio secondo cui ci sarebbe un piano per fondere il movimento con Azione Cattolica non sembra più complottismo da bar sport.[5]

Una volta un pretino del movimento, col tono di chi dice qualcosa di Molto Adulto ad un Ragazzetto un po' troppo entusiasta, mi disse provocatoriamente che "i movimenti passano, la Chiesa resta", per poi calcare la mano insistendo che un giorno Comunione e Liberazione potrebbe finire. E fu qui che obiettai, vedendolo di conseguenza recitare la parte dell'Adulto Molto Molto Adulto che dà una Lezione di Vita al Ragazzetto. Anni dopo sarebbe stato Giovanni Paolo II a mettere nero su bianco ciò che non riuscivo ad esprimere. Il movimento ha voluto indicare non una strada, ma la strada, e la strada è Cristo. Questo non può "finire". Può piuttosto "finire" la struttura movimento che ospita ciò - e finirebbe perché smette di "indicare", tutta presa da attività tipiche della peggior Azione Cattolica.


1) La capacità organizzativa è una freccia spuntata se la falange macedone ciellina dipende più dai notiziari che dall'adorazione eucaristica. L'eredità di don Giussani è molto più ampia di quanto non possa emergere dalla vasta quantità di scritti e registrazioni: la prima volta che me ne accorsi fu quando un'amica delle Memores mi parlò dell'angelo custode in termini non bambineschi né da predica. Le Quasi Tischreden sono state trascritte perché anche quando scherzava sorseggiando un buon bicchierino trasmetteva qualcosa. Com'è tipico dei santi.

2) Se ne è accorto - fuori tempo massimo - anche Negri.

3) Sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi negli avvisi degli esercizi della Fraternità l'ubbidienza a Papa Scola riguardo cose come l'augurare "buon Ramadàn" ai fratelli musulmani. Fu un annus horribilis anche per la frustrazione delle speranze politiche dei formigoniani, definitivamente azzerate dalle manovrine del solito Partito della Magistratura.

4) Le parole d'ordine (tipo "cambiamenti radicali senza precedenti", "uscire da sé stessi", "cambiamento d'epoca che lancia una sfida", "davanti a un cambiamento di epoca, da dove ripartire?"...) sono esattamente quelle che fino a pochi anni prima erano oggetto dei nostri motteggi goliardici contro gli stralunati azioncattolichini avulsi dalla realtà e col cervello spento. Il più allarmante segno di una sconfitta è il vedersi comandare di essere esattamente come la caricatura che faceva il nemico.

5) Comunione e Liberazione nacque perché don Giussani, insegnando gli elementi fondamentali della fede, si ritrovò circondato da un popolo. Avendo fatto scuola di comunità con i gruppi di Azione Cattolica, ha dato l'impressione che il movimento ne sia stato una costola. In realtà la separazione era netta, come confermò lo stesso cardinal Colombo, nel 1971: «i gruppi di CL non sono un'alternativa all'AC ma sono solo un libero e legittimo movimento di apostolato». Nei prossimi cinque o dieci anni un cardinale o Papa potrebbe dire il contrario?

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