giovedì 30 settembre 2010

Che bello, una raccolta firme!

Sono talmente convinto dell'inutilità di raccolte firme e petizioni, che quando trovo una petizione contro CL mi affretto subito a firmare (tranne ovviamente quei rari casi in cui io sia riconosciuto come ciellino).

Non contento di firmare, esibisco il più ampio sorriso e mi complimento con gli autori della raccolta, sciorinando qualche trito slogan del tipo “bisognerebbe abolire CL” cercando di trattenere le risate per le loro reazioni fino a quando non mi sono allontanato a sufficienza.


sabato 25 settembre 2010

Teleottundimento


Si tratta di un cartone animato funzionale alla vendita di gadget e paccottiglie varie. Ossia di un articolato e coinvolgente spot pubblicitario inteso come minimo “a separare bambini e ragazzi dai loro soldi”.

I protagonisti si affrontano in tornei dove fanno lottare i loro magici fantascientifici pupazzetti giganti (inaudito, eh?) mentre i coprotagonisti stanno sugli spalti a fare il tifo e ad ansimare cose come: «sento che quest'esperienza segnerà per sempre la mia vita!»

Per “esperienza” la ragazzina emozionata intendeva il vedere l'uso di una mossa cruciale con una carta cruciale. Infatti il cartone veicola anche il messaggio che assistere ad uno spettacolo può «segnare per sempre la tua vita», involontariamente (involontariamente?) scimmiottando le liturgie cattoliche[1].

Uno dei dogmi fondamentali di questa società di televisionati è che il mondo è diviso in protagonisti e spettatori, con gli spettatori che fanno di tutto per sentirsi protagonisti e con degli anonimi benefattori dell'umanità[2] che si danno da fare perché ciò avvenga (e perché tutti sappiano anche quanto sia bello e piacevole essere spettatori).

Solitamente il popolo bue ignora di essere non il fruitore di un servizio ma la materia prima di un altro servizio (come nel caso dei cartoni animati sopra citati); spesso gli capita addirittura di pagare pur di essere “merce”[3]. L'industria televisiva è una dimostrazione esemplare dell'intreccio tra ideologia e profitto; la merce è l'audience, da vendere all'industria pubblicitaria o alle ideologie[4].

Un singolo spot pubblicitario giornaliero dei pupazzetti sopra citati dura mediamente quanto una lezione settimanale di catechismo: è facile intuire di quale divinità diventano esperti i nostri figli. Divinità stagionali, s'intende: quando il mercato è saturo di gadget occorre una nuova entusiasmante serie televisiva per lanciare una nuova linea di carabattole.




1) Intendo: fior di massoni si convertivano al canto liturgico di vecchie monache; popolani e aristocratici avevano la vita «segnata per sempre» dalla maestosità del gregoriano e dalle vetrate di qualche vecchia e umida cattedrale... Decisamente diverso dal partecipare ad un qualsiasi altro cerimoniale religioso. «La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia»: la crisi della Chiesa si vede anzitutto nelle liturgie ridotte a religioso cerimoniale, partecipato più per dovere o abitudine che per insaziabile sete di Cristo.

2) Quanto carattere “sacerdotale” ha la casta di tali anonimi benefattori!

3) Vulgus vult decipi... ergo decipiatur. Il popolo bue ama essere ingannato: dunque lo si inganni.

4) Il teatrino della politica è solo uno degli strumenti dell'orchestra delle ideologie.

mercoledì 22 settembre 2010

Torturare un cagnolino

Il prete si fermò di nuovo: «Perché sarà così? Perché da piccoli sono tanto difficili?». «Si vede che i bambini non nascono “naturalmente buoni”. Ecco un altro fatto che ce lo fa constatare». «Quella è un'età» disse il prete «in cui a volte si decide la sorte d'un'anima».

Ripresero a camminare; del cagnolino, di cui pure avevano avuto notizia, non parlarono affatto. (Vogliamo anticipare? Trent'anni più tardi, sotto l'influenza laico-umanitaria della televisione e delle idee nuove, i ragazzi di Nomana non sarebbero più stati così: avrebbero tormentato meno gli animali, e non avrebbero più tormentato pubblicamente i deficienti, che sono due indubbi passi avanti. Però avrebbero cominciato - come non era mai accaduto nella storia del paese - a odiare determinati gruppi sociali, e inoltre nessuno di loro, o quasi, sarebbe più arrivato vergine al matrimonio. Tanto l'essere umano è limitato: se acquista da una parte, perde puntualmente da un'altra; in questo sembra non ci sia scampo. Ci tornano in mente, al limite, le incredibili cassette per la nidificazione degli stornelli issate, nientemeno, sulle baracche di Auschwitz, dai carnefici di cuore tenero verso gli uccellini).[1]



1) Citazione da: Eugenio Corti, Il cavallo rosso, edizioni Ares, 1998, pagg. 94-95.

lunedì 20 settembre 2010

Viviamo nell'epoca della Suscettibilità

Triste epoca, quella in cui bisogna operare tutta una serie di precisazioni e distinguo prima di poter affermare che il cielo è azzurro.

Un eccellente esempio è l'impeccabile incipit di un articolo di mons. Brunero Gherardini, che potrebbe essere tranquillamente riciclato in qualsiasi scritto riguardante l'ambiente ecclesiastico:
Quanto sto per scrivere è ben lungi, nell'intenzione e di fatto, da ciò che comunemente è detto processo alle intenzioni. Per principio mi sforzo sempre di considerarle tutte - le intenzioni - pure e sante. Ovviamente, donec contrarium probetur, nel qual caso anche una presunzione di santità o ne trae le conseguenze, o si rassegna al ridicolo. S'aggiunga poi che l'intenzione, anche se pura e santa, non trasferisce automaticamente la propria ineccepibilità morale nel suo prodotto, il quale ha un suo realismo oggettivo, e quindi una sua moralità, prescindendo dall'intenzione formale che lo vuole e verso il quale si protende. Una bestemmia è sempre, in sé e per sé, una bestemmia, anche se pronunciata paradossalmente per render gloria a Dio.[1]



1) «Il Dio di Gesù Cristo», di mons. Gherardini, gennaio 2010.

mercoledì 15 settembre 2010

Il Meeting: «troppo grande»

...mentre una sera uscivo dal bagno: una ragazza piangeva disperata, perché il Meeting era troppo grande e il suo cuore di fronte a questo scoppiava di gioia. Piangeva perché non riusciva a trattenere tutto questo...

Mi ha chiesto di abbracciarla e di pregare insieme a lei. Intanto ci ha raggiunti una mia amica, e insieme abbiamo recitato la preghiera dell’offerta di don Giussani. Quella ragazza ci ha raccontato di essere arrivata dall’Argentina, a 23 anni, ed era al Meeting per la prima volta, con degli amici: «Ho chiesto loro di pregare con me, perché qui tutto parla di Cristo», ci ha detto: «Ma loro avevano da fare altro e non mi hanno ascoltata... Volete pregare voi insieme a me?». Io mi sono commossa: il Meeting è questo! Quello che succede dietro le quinte, negli incontri con le persone... Certo, bisogna sempre fare i conti con la stanchezza, ma è tutto offerto a Lui: è il cuore che ci spinge a desiderare tutto questo.[1]
La prima volta che andai al Meeting di Rimini anch'io mi ritrovai commosso perché era “troppo grande”, cioè perché lì “tutto parla di Cristo”. Ci fermammo a recitare un Angelus col cuore colmo di gratitudine. Quell'impressione, con gli anni, non si è sbiadita. Al contrario, è stata continuamente confermata.


1) Lettera di Orietta pubblicata su Tracce di settembre 2010.

lunedì 13 settembre 2010

Folklore anticelibatario

Sul pilone di un ponte autostradale ho visto un furente ed elaborato graffito contro il celibato ecclesiastico.

Vuol dire come minimo che da quelle parti c'è qualcuno talmente assillato dalla questione da aver scelto accuratamente il posto di maggior visibilità e graffitato con cura.

Sarà stato un prete che teme di innamorarsi della parrocchiana che da anni lo bracca perché vede in lui un uomo più serio di suo marito?

Sarà stato un seminarista che solo dopo l'ingresso in seminario ha scoperto di non essere totalmente disprezzato dalle ragazze?

Sarà stata una fedele preoccupata dal non esser riuscita ancora a sedurre il parroco?

Considerato che sono assai pochi i preti ragionevolmente giovani, di pulcritudine ragionevolmente apprezzabile dalle donne, dotati di carattere e abitudini compatibili col matrimonio... i sospettabili per quella scritta sul pilone sono davvero pochi!

venerdì 10 settembre 2010

Falcidie dei segni di croce dalla Messa

Indichiamo i segni di croce del sacerdote che celebra col messale di Pio V (e seguenti fino al 1962), notando quelli rimasti nel Novus Ordo:

1. Nel nome del Padre all'inizio della messa. Rimasto ancor oggi.
2. Indulgentiam dopo il Confiteor. Ora la formula Indulgentiam non c'è più in quanto fu considerata doppione della formula Misereatur.
3. Nel leggere l'introito. Ora non più.
4. Al Cum Sancto Spiritu… finale del Gloria in excelsis Deo. Ora non più.
5. All'Et vitam venturi saeculi (finale del Credo). Ora non più.
6. Al Benedic della formula Veni, Sanctificator. Ora non più.
7. Benedizione dell'incenso all'inizio della messa e all'offertorio insieme alla formula Ab illo benedicaris. Il segno di croce è rimasto, ma senza formula.
8. Alla benedizione del diacono prima della lettura del vangelo. Gesto e parole sono rimasti.
9. Quattro segni di croce sul libro del vangelo prima della proclamazione. Sono rimasti.
10. Due segni di croce: uno con la patena sul piano dell'altare prima di deporre l'ostia al di sopra del corporale dopo la formula di offerta del pane, l'altro col calice dopo l'offerta del vino. Ora non più.
11. Segno di croce con la mano sull'acqua con l'orazione Deus, qui humanae substantiae, prima di infonderla nel calice. Ora non più.
12. Al Benedictus dopo il Sanctus. Ora non più.
13. Al Te igitur del Canone Romano: tre segni di croce con la mano sulle oblate alle parole haec + dona, haec + munera, haec sancta + sacrificia. Ora è rimasto un solo segno dopo la parola benedicas.
14. Al Quam oblationem: tre segni con la mano sulle oblate alle parole bene+dictam, ad+scriptam, ra+tam e due separate sul corpo e sul sangue. Tutte eliminate.
15. Al Benedixit del Qui pridie: un segno sull'ostia e uno sul calice al Simili modo. Soppressi.
16. All'Unde et memores: tre segni con la mano sulle oblate e due separati sul pane e sul calice. Soppressi.
17. Al Supplices: sue segni con la mano sul corpo e sul sangue. Soppressi.
18. Al Per quem: tre segni con la mano sulle oblate. Soppressi.
19. Al Per ipsum, cum ipso, in ipso: tre segni di croce con l'ostia sul calice e due alle parole Patri omnipotenti e Spiritus Sancti. Soppressi.
20. Al Libera dopo il Pater: segno di croce del sacerdote su di sé con la patèna alle parole dà propitius pacem. Soppresso.
21. Al Pax Domini sit semper vobiscum: tre segni di croce col frammento di ostia sul calice. Ora soppressi.
22. Alla comunione: due segni del sacerdote prima di comunicarsi con l'ostia e col calice. Ora soppressi.
23. Alla benedizione finale: il sacerdote tracciava con la mano il segno di croce al nome delle tre Persone divine. Questo segno è rimasto.

Sommando i dieci segni di croce sulla persona (cinque del sacerdote sulla propria persona, più i tre al vangelo, più quelli con la patena, con l'ostia e con il calice, più quello sul diacono e sui fedeli), i quattro sulle cose (incenso, acqua, libro dei vangeli), i venticinque nel Canone Romano, quelli sull'altare (col calice e la patena), non si hanno meno di una cinquantina di segni di croce nell'ultima edizione tipica del messale romano del 1962.

Nel Messale del 1969-70 sono rimasti solo otto segni di croce.
Non so indicare con esattezza la fonte perché ho trovato appuntato solo un generico “pagine 193-194”. Allegato all'appunto è annotato che l'autore della riforma liturgica è entusiasmato dalla «falcidie» (sic) dei segni di croce tra la Messa tradizionale (Vetus Ordo) e il Messale del 1969-70 (Novus Ordo). Tale falcidie servirebbe a «ripristinare la semplicità e la verità originaria» (sic!) e ad «impedire che il segno prevalesse sulla pregnanza della parola» (sic!) oltre che ad «eliminare quanto poteva aver l'aria di artificioso o addirittura favorire una parvenza di magia» (sic!) A pagina 262 addirittura si rammarica poiché «il coetus X incaricato di preparare il Novus Ordo era del tutto contrario a introdurre fra i riti iniziali di tutte le messe un segno di croce… [che] appesantiva il settore iniziale, già congestionato. Nonostante tutto ciò Paolo VI, richiamandosi all'uso dei cristiani di cominciare ogni cosa col segno della croce, volle che così fosse anche per la messa». Insomma, gli autori della Novus Ordo volevano addirittura eliminare il segno di croce in apertura della Messa e solo papa Paolo VI poté impedirlo.

Qualche citazione del cardinal Ratzinger (che, com'è noto, è il teologo di riferimento di papa Benedetto XVI) ci può aiutare a capire meglio:

«L'esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull'unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere» (da “Rapporto sulla fede”, capitolo IX)

«...c'è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n'è per l'antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata» (da “Il sale della terra”)

«La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia» (da “La mia vita”)

mercoledì 8 settembre 2010

La Carmagnola

La Carmagnola è il canto tradizionale dei sanfedisti (“Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo”), databile con buona precisione al 1800.

All'inizio del 1799 i giacobini francesi avevano fondato a Napoli la Repubblica Partenopea cacciando (col sostegno di parte della borghesia e della nobiltà) re Ferdinando IV ma incontrando un'accanita resistenza nel “popolo basso” (lu pòpulu vàscio), i cosiddetti làzzari. Questi ultimi, non sopportando le angherie degli intellettuali illuministi che volevano eliminare la tradizione popolare e cattolica, arrivarono addirittura a “detronizzare” san Gennaro, patrono di Napoli, accusato di parteggiare per i giacobini, a seguito di notizie tendenziose circa il miracolo della liquefazione del sangue che si ripete ogni anno.

Championnet aveva infatti chiesto all'allora arcivescovo di Napoli, Capece Zurlo, di dichiarare falsamente che la liquefazione era avvenuta nel giorno dell'arrivo dei francesi (in realtà il miracolo sarebbe effettivamente avvenuto solo alcuni giorni dopo, durante il massiccio contrattacco dei làzzari a Napoli). Probabilmente per amor di quiete l'arcivescovo aveva acconsentito, col risultato che circolò subito la notizia che san Gennaro era diventato giacobino. E così il posto di patrono di Napoli fu assegnato a sant'Antonio da Padova (san Gennaro verrà ripristinato solo dopo la Restaurazione quindici anni dopo); peraltro proprio il 13 giugno 1799, giorno della festa di sant'Antonio, le armate della Santa Fede (i sanfedisti), guidate dal cardinale Fabrizio Ruffo, giunsero a liberare Napoli (gran parte dei giacobini era già fuggita).

L'arcivescovo Capece Zurlo aveva inoltre accettato a suo tempo un'altra imposizione del Governo Repubblicano, quella di scomunicare il cardinale Ruffo. Questi, con un esercito raccogliticcio (che passerà alla storia come Armata della Santa Fede), partito da Messina nei primi di febbraio 1799 riuscirà a giungere vittorioso a Napoli liberandola dai giacobini. Non a caso il canto dopo un paio di coloriti insulti a Capece Zurlo, insinua qualcosa che oggi suonerebbe come un “ma chi t'ha messo la mitria in testa?” (ossia: chi è che ti ha voluto vescovo, chi t'ha dato la patente?) ma l'epiteto potrebbe essere riferito anche a qualche altro vescovo della zona che aveva appoggiato i rivoluzionari (per esempio Michele Natale, ultimo vescovo di Vico Equense, era stato impiccato nell'agosto 1799 per aver aderito alla Repubblica Napoletana).

Il popolo napoletano non aveva mai accettato il giacobinismo, del quale era evidente l'odio alla fede cattolica, il sovvertimento dei costumi, il latrocinio sistematico perpetrato dagli invasori nel nome degli “ideali” della rivoluzione francese (saccheggi, tasse, spoliazioni: lo stesso Championnet fu richiamato in Francia dal Direttorio e rimproverato perché si era limitato a pretendere solo i dieci milioni pattuiti a Sparanise per la tregua con i làzzari).

Anche i migliori aristocratici che in buona fede avevano sposato le idee giacobine e che arrivarono in qualche modo a posizioni di potere restarono sostanzialmente estranei alle necessità del popolo, col risultato che fu facile insinuare che chi aveva una vita agiata («pane e vino») non poteva che essere un simpatizzante dei giacobini. La logica conseguenza è l'inneggiare a Tata Maccarone, un brigante che «rispetta la religione» (secondo altri il nomignolo “Tata Maccarone” indica invece re Ferdinando IV che era sempre stato rispettosissimo della fede e della Chiesa).

I giacobini conducevano una guerra sistematica contro la fede cattolica, perseguitando il popolo cristiano sia per via amministrativa (come con la legge per lo svuotamento dei conventi affinché gli ex religiosi si dessero da fare per moltiplicare la razza) sia con le peggiori violenze ed efferatezze (i giacobini non sapevano far altro che depredare, stuprare, profanare, uccidere, saccheggiare, distruggere chiese, conventi, monti di pietà, musei).

Così come per la Vandea, il vastissimo fenomeno delle insorgenze in Italia è stato grossolanamente ignorato dagli storici di marca laicista, liberale e marxista perché suona loro impossibile credere che dei poveri popolani disorganizzati e poco armati potessero ribellarsi e combattere (talvolta con discreto successo) le idee dei rivoluzionari pur di difendere la loro fede, le loro tradizioni, la loro condizione e la loro terra. Riesce difficile a noi immaginare che dei poveracci armati al più di roncole e forconi potessero tenere in scacco eserciti ben più organizzati e muniti e totalmente ostili al cattolicesimo.

Risorse:

lunedì 6 settembre 2010

Volontà e libertà

(agente) - La stessa esecuzione del crimine è metafisica: i PreCog vedono il futuro e non sbagliano mai.

(Danny) - Ma... non è il futuro, se lo fermate. Non è un paradosso fondamentale?

(agente) - Sì, lo è.

(John) - Parlavate di predeterminazione, una cosa che succede continuamente. [lancia una palla] [Danny la afferra]

(John) - Perchè l'ha presa?

(Danny) - Perchè stava per cadere.

(John) - Ne è sicuro?

(Danny) - Sì.

(John) - Ma non è caduta. L'ha presa. Il fatto che ha evitato che cadesse non cambia il fatto che sarebbe caduta comunque.

(Danny) - Mmm... Ricevete mai dei falsi positivi? Qualcuno vuole uccidere il suo capo o sua moglie, ma non va fino in fondo. Come fanno i PreCog a distinguere?

(John) - I PreCog non vedono quello che vuoi fare. I PreCog vedono quello che farai.

[...]

(John) - È meglio non considerarli umani.

(Danny) - No. Loro sono molto di più. La scienza ci ha rubato la maggior parte dei miracoli; loro ci danno una qualche speranza. La speranza che esista il divino. Trovo interessante che alcune persone comincino a divinizzare i PreCog.

(John) - I PreCog sono filtri per identificare degli schemi.

(Danny) - Ma voi chiamate questo posto “il Tempio”.

(John) - È solo un soprannome.

(Danny) - Il potere non è mai stato dell'oracolo. Il potere è sempre stato dei preti. Anche se hanno dovuto inventare l'oracolo...

(John) [si gira verso gli altri agenti] - Fate sì con la testa come se sapeste di che diavolo parla.

(agente) - Oh, andiamo, capo... per come lavoriamo, cambiando destini e tutto il resto... siamo più clero che polizia.

(John) - Già.

(agente) - Sì.

(John) - Al lavoro, tutti voi!

(Danny) - Ah-uhm. Mi scusi. Vecchia abitudine. Ho fatto tre anni di teologia prima di diventare poliziotto.
Come pressoché tutti i film di fantascienza, anche Minority Report è stato fatto per catechizzarci su uno specifico argomento. In senso anticattolico, naturalmente: è un film per insegnare a dubitare del libero arbitrio.

La trama dell'intero film è funzionale ai dialoghi sopra riportati (che contengono proprio questo insegnamento) e perciò considerabile secondaria rispetto allo scambio di battute sopra citato (anche perché è la solita storiella con azione, sentimenti, avventura).

L'artificio letterario sono i PreCog, persone sensitive capaci di prevedere fatti di sangue prima che avvengano materialmente. Cioè di leggere nella volontà degli uomini ancor prima che questa deliberi.

Per inciso, è una facoltà soprannaturale, da onniscienza divina: neppure il demonio può sapere esattamente cosa c'è nelle più recondite pieghe dell'anima.

John è la mentalità moderna, è la scienza che usa la realtà senza avvertire il bisogno di comprenderla (solo “filtri per identificare degli schemi”), è l'ideologia dominante con i suoi sofismi e inganni (“non cambia il fatto che sarebbe caduta comunque”).

Danny è la mentalità non ancora moderna (“non è un paradosso?”), il discepolo ancora intriso di religiosità ma già avanzante a grandi passi (“il potere è sempre stato dei preti”) sulla via dell'affrancamento (“hanno dovuto inventare l'oracolo”).

Lo spettatore del film riceve dunque questa lezione:
  • vecchia scuola: la realtà cambia attraverso le volontà dei singoli uomini (cfr. la locuzione evangelica «gli uomini di buona volontà») - il film comanda di abbandonarla
  • lezione dal film: conoscendo in anticipo le volontà dei singoli si potrebbe migliorare (alterare) la realtà, per opera di speciali privilegiati (il nuovo “clero”, “più clero che polizia”) preposti allo scopo (dittatura di fatto)
  • risultato: pensare che se qualcuno conoscesse in anticipo la mia volontà significherebbe che io sono una macchina prevedibile, dunque devo (ho interesse) a comportarmi nel modo prevedibile altrimenti nego me stesso.
La possibilità di recepire tale “lezione” sta nel tipico errore moderno di porre sullo stesso piano la verità e l'errore, riconoscendo al vero e al falso uguali diritti, dando alla realtà ed alla fantasia uguale importanza.

venerdì 3 settembre 2010

Gramsci e la Pastorale Giovanile

E Gramsci fu, in effetti, molto duro: «il mito cristiano - scriveva nella rubrica che teneva sul quotidiano “L'Avanti!” - almeno nella nostra città, non lascerà che ingombri, preda del futuro piccone. C'è da preoccuparsene davvero. Confessiamo che esso fa pena per la sua impotenza e sterilità». Ugualmente caustica e molto articolata la sua risposta al “Foglio dei giovani”, organo nazionale della Gioventù Cattolica Italiana, che bandiva un concorso a premi per le risposte ai seguenti quesiti:

1. Come attirare i giovani nei circoli cattolici e come invogliarli ed interessarli a rendere più attive ed efficaci le nostre organizzazioni?
2. Come preparare e come indirizzare i giovani dei circoli cattolici alle organizzazioni professionali?
3. Come diffondere la buona stampa tra i giovani e per mezzo dei giovani?

Gramsci risponde:
«Il fatto che si pongano a concorso delle questioni simili indica di per se stesso quanta sia la debolezza intima delle organizzazioni cattoliche e come esse siano delle organizzazioni artificiali… Per attirare (curiosa espressione davvero) i giovani, basterebbe che i circoli cattolici ne rappresentassero una necessità dello spirito, il bisogno di trovarsi insieme tra compagni di ideale e di lotta, e la coscienza che sia un dovere diffondere e propagandare la fede che si vive come unica verità da affermare a tutti i costi. Lo spirito di apostolato che ardeva nei primi seguaci del Cristianesimo non avrebbe neppure un momento fatto loro pensare che potesse esistere un cristiano che non sentisse il dovere di affermarsi tale e di conquistare a Dio gli infedeli. Gioventù decrepita, quella cattolica, che avendo perduto ogni calore interno cerca in accomodamenti pratici, in adescamenti da correzionale, di saturarsi di iscritti; non importa che la gran parte sia peso morto, ingombrante, anodino, che entra nel circolo così come potrebbe entrare in una società sportiva o in un club di giocatori di tressette. Basta che all'occasione si possano snocciolare centinaia di nomi come grani di rosario, per protestare contro una statua di donna nuda o contro l'esposizione dei giornaletti pornografici. Ciò che costituisce l'energia, la potenzialità efficace, esula da questi circoli “Ancien régime”, dove è proibita la libera discussione, dove un rappresentante della curia vigila continuamente perché non si facciano affermazioni eterodosse o contrarie ai buoni principi. E la gioventù che sente, che si agita per trovare la propria via, ha bisogno di sconfinata libertà, di possibilità di scapricciamenti, che a mano a mano si vadano arginando e disciplinando nella dura esperienza quotidiana. (…)

Come diffondere la buona stampa tra i giovani. Stesso malinteso. Ma perché la stampa cattolica, buona solo per antonomasia, è diventata così piatta e noiosa, così aliena da ogni brivido di passione, da ogni slancio aggressivo di fede? Oh giovinezza decrepita del cattolicesimo, non bastano i concorsi a premio per dar vita ad un cadavere: il tempo dei miracoli è passato e Lazzaro nella sua tomba dorme il sonno dei giusti e mai più le sue palpebre si riapriranno per vedere la luce del sole. Altri circoli intanto sono sorti, e non per risultato di concorsi, altra fede ha riempito l'anima dei giovani, e non è il vostro e buon vecchio Iddio che ha fatto scoccare la scintilla. Chi ha più filo tesserà più tela: e la vostra è una tela di Penelope che aspetta inutilmente il ritorno del suo Ulisse.
Questa citazione di Antonio Gramsci è nel libro di don Primo Soldi, Verso l'assoluto. Pier Giorgio Frassati, Jaca Book, 2001, ISBN 88-16-30311-5; corsivi miei.

mercoledì 1 settembre 2010

Diocesi di Milano? Un nome ce l'avrei

Da qualche tempo, a intervalli più o meno regolari, circolano voci sul possibile successore di Tettamanzi alla diocesi di Milano[1].

Io un nome ce l'avrei[2]. Tento di spiegare qui perché per la cattedra di sant'Ambrogio proporrei al Papa questa terna: Luigi Negri - Luigi Negri - Luigi Negri.

Anzitutto partiamo dagli svantaggi e dai punti negativi. Negri ha alcune gravissime e infamanti “macchie” sul suo curriculum:
  1. in primo luogo è ciellino purosangue, perseguitato in quanto ciellino[3], giunto al sacerdozio nonostante l'essere stato ciellino, di spirito ciellino ancor oggi[4], ciellino vita natural durante;
  2. in secondo luogo, pur avendo una sensibilità liturgica Novus Ordo, è di manica larga per la Vetus Ordo (per esempio nel dicembre 2007 mandò un telegramma di ringraziamento al Papa per il motu proprio che liberalizzava la Messa tridentina);[5]
  3. in terzo luogo, ha ricordato spesso che la Massoneria e la Chiesa sono «inconciliabili», per di più riuscendoci senza ridursi a polemiche o compromessi[6].
Al clero ambrosiano (ed ancor più al laicato “impegnato”) spesso basta uno solo di questi tre punti per rigettare con fragoroso stracciamento di vesti anche il solo ipotizzare la “candidatura” di Negri.

Veniamo ora ai punti positivi.

Anzitutto è milanese. Conosce la diocesi di Milano meglio del tipico parroco perché il legame con Azione Cattolica[7] prima e CL poi lo hanno costretto a muoversi al di fuori delle quattro mura di una parrocchia[8].

Ha un vasto spessore culturale, dottrinalmente ortodosso, rigoroso ma capace di esprimersi con il linguaggio contemporaneo, tale da farsi capire dai giornali senza essere etichettato come noioso o retrogrado. Notoriamente uomo di cultura e con numerose pubblicazioni, prima che un uomo di governo è un uomo che insegna: proprio ciò di cui necessita la diocesi di Milano[9] (ben organizzata e strutturata, non ha bisogno né di accentratori né di decisionisti).

Non è un “carrierista”. Sebbene le voci su una sua promozione si siano moltiplicate[10] nel corso del suo episcopato nella diocesi di San Marino-Montefeltro, non si è comportato come quei vescovi che fanno “campagna elettorale” di se stessi[11].

Infine è sufficientemente anziano da non dover preoccupare chi non lo gradisse sulla cattedra di sant'Ambrogio.

Santità, ce lo faccia un pensierino.


1) Trattandosi di “voci”, questa misera paginetta di un misero blog (uc)ciellino non rappresenta altro che il divertissement di un laico qualunque, ben convinto che cambierà le carte in tavola con la stessa forza d'urto di una goccia di pioggia nell'oceano.

2) Non mi si accusi di conflitto di interessi, per almeno tre motivi. Primo: chi lancia quest'accusa lo fa in genere per nascondere il proprio conflitto. Secondo: l'ecclesiastico “al di sopra delle parti” è una figura mitologica la cui ricerca ha sempre riservato brutte sorprese. Terzo: bisognerebbe piuttosto rivolgere l'accusa a quanti fino a ieri ignoravano l'esistenza di mons. Negri e che in tempi recenti gli stanno dando contro con curiosa furia.

3) Una descrizione assai diplomatica delle persecuzioni subite dai primi “preti di CL” è presente nei primi due volumi Comunione e Liberazione, di don Massimo Camisasca, editi dalla San Paolo.

4) Sebbene all'elezione episcopale un sacerdote abbandoni formalmente ogni carica all'interno del movimento di cui eventualmente faceva parte, la forma mentis resta. Nel caso di Comunione e Liberazione non si pone alcun problema perché da sempre veniamo educati a valorizzare quanto c'è di buono in ogni ambito (laddove in certi altri ambienti sembrano piuttosto educare allo stile di “il resto del mondo ha sempre torto”; lo dico purtroppo per esperienza personale).

5) Dato che il cardinale di Milano è “caporito” della diocesi, si teme seriamente che qualora lo diventasse Negri verrebbe esteso al rito ambrosiano il motu proprio del Papa sul rito romano, estensione furiosamente ostacolata fino ad oggi (ricordiamo invece che la riforma liturgica di papa Paolo VI al rito romano fu immediatamente recepita anche per il rito ambrosiano: due pesi e due misure).

6) Come lui stesso dice nel documento citato, «senza livori ideologici e senza irenismi di maniera». In altri casi, succede un po' di tutto. Per grazia di Dio il mons. Negri non è un caso isolato.

7) Fino al 1971 la Gioventù Studentesca che seguiva don Giussani era inquadrata nei ranghi di Azione Cattolica, di cui mons. Negri - all'epoca ancora laico - ne era stato vicepresidente. Fu il cardinal Colombo a dichiarare che «i gruppi di CL... sono un libero e legittimo movimento di apostolato».

8) Ampie grida di dolore vengono da quelle porzioni di clero diocesano costrette ad avere come vescovo un professore di teologia o un funzionario di curia. Ma chiedere per vescovo “uno che sia stato parroco” (anche se parroco della stessa diocesi) risolve solo metà del problema.

9) La massiccia presenza di Comunione e Liberazione in terra ambrosiana è un problema solo per coloro che per partito preso detestano CL. Mandare un interista a Milano scontenterà i milanisti, e viceversa. Mandare uno che non è né interista né milanista, scontenterà tutti. A conti fatti, bisogna onestamente ammettere che un ciellino a Milano è insopportabile solo a certo clero progressista, agli abortisti e ai coatti dei centri sociali.

10) Ricordiamo che in tema di episcopati e cardinalati, quando i giornali danno per “candidato” qualcuno, di fatto stanno quasi certamente “bruciando” (o “tentando di bruciare”) la sua nomina. Col mons. Negri questo sporco trucchetto è stato applicato tante, troppe volte (specialmente da ecclesiastici). Nel mio piccolo anche questa pagina è un involontario “bruciare la candidatura”, ma per fortuna nei Sacri Palazzi e nelle redazioni dei giornali hanno ben altro da leggere che uno sperduto blog come questo.

11) Non parlo soltanto di coloro che aspirano ad essere promossi alla cattedra di sant'Ambrogio: è un discorso più generale. Anche presumendo la buona fede e l'esistenza di problemi risolvibili solo con trasferimenti, è doloroso vedere certi vescovi “saltellini”, tre anni in una diocesi, cinque in un'altra, altri due nella successiva, per poi andare in un'altra ancora prima di passare a un incarico in curia romana... ed è ancor più doloroso vederli agire - con parole e gesti - in maniera da tentare di influenzare eventuali decisioni sulle “promozioni”. Bisognerebbe ripristinare la tradizionale inamovibilità dei vescovi: lasci la diocesi solo se diventi Papa.