domenica 29 luglio 2018

Riaccadere della scontatezza

È dalla notte dei tempi[1] che ogni incontro del movimento viene introdotto da qualche canto, da una preghiera, e dalla messa in guardia contro il viverlo con una sorta di scontatezza. In altre parole, contro la riduzione del movimento ad una serie di contenuti, ossia un discorso preconfezionato. Quella dev'essere proprio la tentazione interna che ha accompagnato il movimento fin dagli inizi. Era naturale che le persone ostili al movimento tentassero di inscatolarne i contenuti,[2] poiché dispiaceva loro profondamente che il riproporre delle elementari verità di fede avesse come conseguenza il far nascere un popolo. Ed in fondo in fondo era ovvio anche che i tipici ciellini imborghesiti e dalla pancia piena amassero strologare lambiccandosi lungamente in complesse e fumose spiegazioni di questioni chiare e semplici.

Al termine scontatezza, in quelle introduzioni, segue immancabilmente il termine riaccadere: nobile scopo, quello di connettere il motivo per cui volontariamente abbiamo scelto, chiesto, faticato, sofferto per essere anche lì, con la nostra stessa presenza fisica lì. Ma può funzionare solo per chi riconosce degli amici - in senso pieno, in senso di guida, poiché l'obbedienza è una forma di amicizia, e avvertire l'urgenza di ubbidire ad uno significa già seguirlo e averlo seguìto, significa considerarlo più di un vero grande amico, da tempo, cioè significa che c'è una storia.[3]

Perciò, nel dolore di accorgersi di qualcosa che incrina le fondamenta di quella storia, di quel riaccadere,[4] uno si rende conto di essere andato all'assemblea o alla ripresa di scuola di comunità per mero doverismo. Sì, magari anche per la sete di scoprire nuovi motivi per guardare avanti, ma quella del percepirsi come strumenti utilizzati per un'agenda che non ci interessa è una ferita che difficilmente si rimargina, è una domanda straziante sul "cosa sono venuto a fare qui".[5] L'ubbidienza è sì una forma di amicizia, ma esige inequivocabilmente che tale amicizia sia vissuta anche dall'altra parte. Puoi essere ignorato e messo ai margini per una vita intera e ancora legittimamente provare un senso di profonda gratitudine e un desiderio di ubbidienza che non viene scalfito neppure dai momentacci e dagli scandali. Ma quando scopri che per il soggetto che avevi sempre desiderato seguire sei stato non più che una delle tante anonime pedine su una scacchiera - cioè che la tanto pubblicizzata paternità non c'era mai stata -, la tua vita inevitabilmente cambia.[6]

Ricordo in un numero di Tracce un universitario che raccontava di avere una grandissima stima per un suo docente, un uomo serio, di scienza, un padre... al punto da imitarne il modo di vestire, di parlare, addirittura far proprio un suo tic. Lo invita alla scuola di comunità e dà il massimo di sé, desiderando condividere quel tesoro con lui. Invece il prof, stufo, commenta seccamente: mah, tutte cose già sentite. Va via senza aggiungere altro. L'universitario, addolorato e sconfitto, riassume: in quel momento ho perso un amico e ho perso un tic. Ecco, per me è stato lo stesso. Ho perso un amico, a cui fino a quel momento era stato un piacere ubbidire, e ho perso un tic - il tic del portafoglio, quello di svenarmi senza sosta per qualsiasi opera connessa al movimento.

La mia vita è cambiata lì, nei momenti in cui mi sono sentito una pedina intesa solo a gonfiare qualche statistica e nei momenti in cui dei cari amici sono stati ingiustamente calpestati da quello che in teoria era il nostro comune migliore amico.[7] Ciò che fino ad allora avevo ritenuto un errore di metodo - il distinguere tra la vera eredità di don Giussani e il movimento così com'è oggi - mi si è improvvisamente rivelato fondato e ragionevole. Nulla ha intaccato quel che ho vissuto in precedenza attraverso il movimento (cioè attraverso persone concrete e situazioni concrete), ma non riesco più a togliermi dagli occhi e dalle orecchie ciò che è stato drammaticamente spiacevole vedere e sentire. In queste stesse pagine prendevo in giro, fino a pochi anni fa, coloro che accusavano lo stesso problema: alla fine mi sono riscoperto a condividere ciò che dicevano e proprio a causa di quei mali che avevo io stesso diagnosticato - la sempre più massiccia presenza di "cielloti" imborghesiti iperattivi e "giussanologi" altrettanto imborghesiti.[8] Imborghesiti, cioè non solo estranei ad ogni persecuzione, ma addirittura applauditi nei consessi parrocchiali e diocesani, segno evidente di normalizzazione ben riuscita.[9]

Quando dunque in assemblea l'introduzione comincia col respingere ufficialmente la "scontatezza", dentro di me li sfido a dimostrarmi che fanno sul serio; quando in pompa magna proclamano un "riaccadere", dentro di me chiedo loro buone ragioni per l'uso di quel verbo,[10] quelle buone ragioni per cui un gruppetto di Fraternità nasce spontaneamente, non per meri motivi organizzativi o volontaristici, nasce per necessità vitale, non per passatempo religioso, nasce come una sequela, un'obbedienza, non per mettere nel proprio medagliere mentale un'altra decorazione. E dunque, di fronte a quella che considero una contraddizione non accidentale, quella del grande amico che calpesta i miei grandi amici, quella fastidiosa percezione di trovarmi di fronte a prediche preconfezionate introdotte meccanicamente coi termini "scontatezza" e "riaccadere", a lungo andare finisco anch'io per considerare gli incontri del movimento come qualcosa a cui partecipare "solo se ho tempo", avvicinandomi al diventare il tipico ciellino non praticante finché l'attuale gran capo non verrà sostituito da qualcuno che davvero ha a cuore la mia felicità. Ho bisogno che quel "riaccadere" sia molto più che uno dei classici paroloni del gergo ciellino. Ho bisogno di ritrovarmi sorpreso come negli anni passati, quando potevo ragionevolmente dirmi "non era affatto scontato", al punto da non resistere al volerne mettere a parte parenti, amici e colleghi e persino il parroco, pur sapendolo ostile a prescindere.[11]

È con un pizzico di diffidenza e di sfida che incrocio i volti di coloro che pensavo condividessero con me qualcosa di grande. Se prima tentavo di giustificarli pensandoli incapaci di esprimersi o di andare più in profondità, ora li noto come appartenenti ad un club perfettamente vaccinati contro gli ideali ufficiali del club stesso. Se prima potevo parlare di cielloti e giussanologi riuscendo ad associare a quelle due categorie volti tutto sommato lontani, ora, nello struggimento, non posso più ignorare che il movimento che ho incontrato è stato minato da giussanologi dei piani alti. È come uno che dopo la prova evidente del "tradimento della moglie", anche perdonandola di tutto cuore non riesce più a cancellarsi dalla testa l'idea che "non doveva" farlo e che in futuro potrebbe farlo "di più".[12] Ci vuole una vita intera per guadagnarsi una reputazione, ci vuole un attimo per distruggerla. Quando il gruppo di Fraternità scade nel formalismo, quando diventa stancante, non vale più la pena seguirlo - e gli alti richiami allo sforzarsi cominciano a puzzare di moralismo e di doverismo. Don Giussani ci ha insegnato che se la scuola di comunità non ti cambia è inutile. E un ammasso di eleganti discorsi non ti cambia.[13]


1) Odio scrivere tanto - dopotutto nessuno gradisce leggere pagine più lunghe di due o tre paragrafi - ma certe affermazioni inusuali richiedono spiegazioni inusualmente lunghe. La pigrizia mentale di chi legge non può essere sconfitta, ma può almeno trovare qualche riga più giù quel paio di precisazioni necessarie a comprendere più esattamente le ragioni e il contesto. In questa pagina intendo spiegare come è stata scalfita la mia affezione al movimento di oggi (che non somiglia più a quello di ieri) e perché non si tratta di una lamentela dettata da qualche altro tipo di disagio. Vaste programme, per dirla alla De Gaulle. Per cui, come nelle precedenti e future pagine, proverò a indurre il lettore a mettersi nei miei panni.

2) Tutti gli ecclesiastici che invitiamo a presiedere, pateticamente infilano qualche espressione di don Giussani nelle loro noiose omelie per pepare il discorsino e calamitare automaticamente un po' di plauso.

3) La mia storia, i miei amici, la loro fede, tutto convergeva. Ci era facile e addirittura percepito come indispensabile il riconoscere l'appartenenza al movimento. Avevamo un criterio, un metodo, avevamo un padre, avevamo qualcuno che con tutti i suoi possibili limiti (dei quali non ce ne importava pressoché nulla) era lì a capo e a vivere le nostre stesse urgenze. Avevamo una dimora ed era quantomeno un piacere spendersi senza sosta per sostenerla. La cosa peggiore che ci potesse accadere, l'inimmaginabile sventura, sarebbe stata lo scoprire che quella non era più la nostra dimora ma solo un contenitore.

4) Ci siamo sempre detti di aver incontrato Cristo attraverso il movimento, attraverso volti concreti. Cosa che resta vera anche se qualcuno se ne andasse poi per una diversa strada, dopo essere stato più o meno involontariamente strumento di grazia in una storia molto più grande di quel che ha mai potuto immaginare. Ma quando qualcuno di quei volti concreti viene calpestato da capi e capetti del movimento, qualche domanda uno se la pone. E se pure novantanove volte su cento capi e capetti avevano ragione, quell'un per cento di casi ti ricorda che la loro autorità non è affatto infallibile. Cioè che l'esser capo non significa esser santo - significa solo essere uno dei tanti strumenti che, spesso loro malgrado o a loro insaputa, possono essere eco di Cristo. Cioè che nel momento in cui ti dicono di metterti in gioco, hanno il dovere di essere loro stessi a mettersi in gioco per primi più di quanto non stiano già chiedendo a te. Altrimenti l'autorità degrada in autoritarismo, le indicazioni di ubbidienza diventano un ricatto morale sotto mentite spoglie, la tua appartenenza viene misurata in quanto tempo e soldi davi prima e dai oggi... e cominci a dubitare che loro appartengano a quel movimento in cui imbattendoti hai scoperto Cristo. Quando la loro foga è nel blaterare astruserie tipo "non bisogna Occupare Spazi ma Avviare Processi" per sembrare papisti, o "Grandi Cambiamenti Radicali Senza Precedenti" come un Ciotti qualsiasi, qualche dubbio ti viene. Quando la fedeltà a Pietro comincia ad avere l'aspetto di un'adulazione, quando il fondo comune viene nominato come se fosse una tassa di appartenenza, quando i tuoi amici vengono calpestati, cominci a chiederti sul serio dove è andato a nascondersi quel movimento che ha costruito la tua fede.

5) I nobiluomini del movimento hanno spesso come unica risposta quella più evasiva: "continua a venire, verifica tu stesso, chiediti cosa ti sta dicendo Cristo con tutto questo". Cioè per pigrizia non mettono in campo il tesoro che proclamano di avere, scaricando sull'accusato l'onere della prova (non diversamente da un kapò del Gulag che ti rimprovera di non saper lavorare). E guai a farlo notare loro.

6) Quando il capocasa è un emerito coglione, tu offri a Gesù, preghi, sopporti, pazienti, offri, offri, offri, ma per quanto puoi sforzarti di offrire e per quanto ti sforzi di "pensare positivo", prima o poi il vaso si riempie e arriva la goccia che lo fa traboccare (dopotutto i miracoli non sono mai automaticamente garantiti). E quindi quando nelle statistiche dicono che uno "ha lasciato la casa", c'è una buona probabilità che il problema non riguardi la sua vocazione ma solo la coglionaggine del capocasa che ha dimenticato (o forse mai saputo) che l'ubbidienza non è una dinamica unidirezionale. Sto parlando di coglionaggine reale, non immaginaria, non "reinterpretabile" - e che non è certo inviata da Dio. È uno squallido moralismo, a quel punto, rinfacciare al poveraccio: "devi fare un cammino, devi sforzarti di capire, devi mettere il Mistero davanti a questa tua fatica, devi, devi, devi..." Quel che doveva capire l'ha già capito (al punto che è traboccato il vaso), e ad uno con l'emicrania serve un'aspirina, non un discorsino sul capire l'emicrania per metterla "davanti al Mistero" (in nome della santa carità cristiana, per l'emicrania serve una cazzo di aspirina, non l'ennesima predica del cazzo). Ora, questa stessa dinamica del padre che rinuncia ad essere tale perché ha una diversa agenda, immaginatela in qualsiasi altro contesto - nel grande come nel piccolo, ecclesiale o laico.

7) Un'obbedienza sgradita o un colpo di freni a qualcosa che era buono non cambiano il contesto che don Giussani definiva dicendo che chi non ubbidisce sta comunque togliendo qualcosa dal rapporto. Ma quel contesto presumeva che in ultima analisi chi "comanda" non ha trasformato in pedina chi "obbedisce", cioè non ha declassato quell'amicizia ad un privilegio da aristocratico alla corte del re Sole. Disporre dell'ubbidienza di altri è una responsabilità enorme: basta dimenticarlo per un attimo per provocare danni irreparabili e per far pensare che chi ti ammannisce il fervorino "offri tutto a Gesù" stia difendendo la miserabile piccineria del capo o capetto di turno. L'ubbidienza è una forma di amicizia che non può essere unidirezionale.

8) Uno dei grandi equivoci - dall'esterno come dall'interno - è stato il considerare il movimento poco più che un gruppo di auto-aiuto, un club di amiconi sorridenti farcito con le espressioni tipiche del don Giussani, un movimento ecclesiale indistinguibile dagli altri (nel contesto della strategia wojtyłiana di istituzionalizzazione dei movimenti).

9) C'è un solido motivo per cui l'archeologia ciellina - le fatiche dei primi anni del movimento, i primi drammatici episodi di cronaca, gli anni di Litterae Communionis divenuta poi Tracce, l'essere costantemente attaccati dalla stampa, perseguitati o almeno ossessivamente ostacolati da parroci e vescovi a suon di burocrazie, diffidenze, esasperati tentativi di normalizzazione - ha un irresistibile fascino anche per il giovanissimo che vi si cimenta per la prima volta. La cosa peggiore che potesse capitare al movimento è stata il lasciarsi docilmente ridurre ad una delle tante etichette nella bacheca diocesana, etichetta indistinguibile dalle altre. Cioè il lasciare che l'istituzionalizzazione divenisse in fin dei conti sterilizzazione e normalizzazione dietro il paravento di una presunta "ubbidienza", comodo alibi dei collaborazionisti pilatescamente bramosi di conservare il proprio piccin privilegio e di lavarsene le mani.

10) "Dentro di me" perché ormai nelle scuole di comunità le difficoltà che si possono discutere sono solo quelle eteree e fumose, quelle che hanno risposte generiche preconfezionate. Le difficoltà reali, quelle che richiedono uno sguardo leale, virile, onesto, provocano sarcasmi, occhiatine di sufficienza, "ma dai, su, ma dai..." detti o accennati, sollevano tutti i possibili velati sinonimi di "non hai capito niente" e di "sei il solito lamentoso" (segno inequivocabile di una SdC ridotta ad un "parlarsi addosso", ad un esercizio di retorica dei membri del club dell'alce). Ho sempre speranza di trasmettere ciò che penso senza dover usare parole ufficiosamente vietate.

11) La tentazione del lamentarsi e del dirsi "non sono più parte di questa storia" nasce tipicamente dall'equivoco dell'immaginare che il movimento, in quanto tale, debba fare e dire certe cose anziché certe altre. Ciò di cui parlo, la ferita dolorosa che ho dentro, non riguarda discorsi e attività, ma l'incontestabile riduzione del movimento (operata dall'alto) ad una struttura da "monetizzare" in senso politico ed economico (per di più in tempi di insignificanza politica e di crisi economica, cioè dimenticando che è stata la fede a produrre imprevisti risultati "politici" e dimenticando che è stata la fede a produrre impreviste generosità in materie "economiche"). Il ricordare che "Cristo c'entra con tutto, anche con la matematica" diventa una sterile predica se proviene dalla bocca di chi ha mostrato di aver a cuore più il foglio Excel delle proprie statistiche che Cristo stesso. Tant'è che quando a tradire fu Pietro, non potendo mai bastare neppure il suo più eclatante e sincero pentimento, ci volle l'intervento personale del Risorto per convincere gli Apostoli a dargli nuovamente fiducia come capo.

12) Non escludo di poter cambiare radicalmente idea in futuro. È lo stato attuale delle cose che non va bene. Non va bene perché contraddice ciò che ho incontrato - cioè non è ciò che ho incontrato. Perciò resto in attesa che una diversa guida (non solo in senso di uomini) mandi in soffitta quella attuale.

13) L'espressione "per imparare a dire Tu a Cristo" suona molto diversamente se detta da uno per cui sei solo una pedina. E che all'assemblea dello scorso 6 giugno, nel parlare del fondo comune, ha avuto l'improntitudine di accennare in questi termini alla quantità versata: «sappiamo bene che siete alle prese con lavori a volte molto precari, e anche per questo non insistiamo sulla quantità». Il sottoscritto, precario da una vita intera, è fiero di aver versato con gratitudine (peraltro ricevendone il "centuplo" ancor oggi). Ma questo aristocratico favore del non "insistere" sulla quantità suona piuttosto male. Era proprio necessario aggiungere quell'inciso? Se sì, significa che ai piani alti il fondo comune non è più visto come un dono tanto inatteso quanto gradito, non è più considerato l'imprevisto e generoso frutto della gratitudine di chi ha aderito alla Fraternità, ma come una specie di tassa di appartenenza: "orsù, sforzatevi di dare un po' di più, almeno chi non è precario: qua abbiamo un sacco di spese, ci servono più soldi!". Non è il genere di espressioni che si poteva udire da don Giussani.

martedì 10 luglio 2018

Selvaggi alla conquista della nuova giungla

Come volevasi dimostrare, la voce di corridoio sul Minacciatore di Bambini si è diffusa in un lampo ed un altro topo di fogna ha deciso di non resistere alla tentazione di gettarsi sulla preda, convinto di una facile vittoria.[1] Il suo costruire l'escalation non era solo ad uso e consumo degli spettatori (moglie e figlio)[2] ma aveva tutti i caratteri di una calcolata provocazione: davvero tentava di estrarmi una parola o un gesto su cui costruire la lite da portare trionfante in tribunale.[3] Mi ha minacciato e un attimo dopo lamentava di essere stato minacciato da me. Ha urlato che ho minacciato il figlio sapendo che non era vero. Ha tentato di entrare nel cortiletto sperando in una mia reazione scomposta, e l'ho bloccato solo urlando più forte di lui: chi le ha detto di entrare qui?

Dopo l'inutile scenetta da tribù di cannibali a digiuno, alla fine anche lui è scappato, opportunamente aiutato da un suo parente che ha voluto evitare che la sua "sconfitta" passasse dall'uno a zero al cinque a zero. La (magra) soddisfazione di aver dovuto ripetere più volte concetti estremamente elementari - intesi più per il capannello di spettatori che per il soggetto accecato dall'ira - non mi ripaga. Le mie corde vocali non sono abituate a tutto questo inutile stress.[4]

Personalità "tossiche" esistono da sempre - qualcuno addirittura stima che la fetta di psicopatici sia notevole, dal 10 al 30 per cento della popolazione.[5] Ma da qualche anno a questa parte ho l'impressione che ci sia qualcosa a pompare benzina sul fuoco.[6] Tutta la mia collaudata abilità del vivi e lascia vivere e del mantenere un basso profilo sembra diventata drammaticamente insufficiente - e non riesco ancora a trovare solidi indizi per sospettare che a cambiare sia stato io.

Persino in un paesetto della più periferica periferia delle periferie quello che era un popolo si autoriduce a una massa di gruppuscoli tribali in bramosa attesa di trovare uno più debole su cui affermare la propria superiorità secondo le leggi della giungla (era sempre stato così, con la differenza che eventi del genere una volta facevano notizia). Il triste destino dell'Italia si nota anche da questo genere di degrado. Ed è uno scempio di cui gli uomini di Chiesa, autoridottisi ad impiegatucci del sacro intenti a proferire trite banalità, sono stati i primi, e perciò -purtroppo-, i principali responsabili. L'attempata strega venuta da chissà dove si mette a sbraitare contro l'unico ciellino della parrocchia, il parroco interviene per fingere di dirimere la questione ascoltando compunto le esagerazioni e falsità proferite dalla signora, e quando questa conclude la propria filippica il parroco le dà ragione e mi fa una sgridata multimediale[7] senza neppure voler ascoltare la mia versione - e subito dopo va via perché ha da fare e tra poco deve anche dir Messa. La surreale scenetta si è svolta materialmente a due metri dal Tabernacolo. Due metri due.[8]

Ma le streghe passano, il ciellino resta. La volta successiva ero in preghiera nei banchi, e il parroco mi si siede nel banco davanti (un modo tutto clericale per dirmi "ora possiamo parlarne" garantendosi però una plausible deniability). Per un attimo ho valutato le alternative: farmi il sangue amaro concedendo al soggetto di ascoltare le mie ragioni fuori tempo massimo? Oppure ignorarlo e sperare che la prossima volta ci pensi due volte prima di evitare di ascoltare anche l'altra campana? Rivedendo mentalmente la sua piccineria a due metri due dal Tabernacolo non ho potuto far altro che ignorarlo: dopo un interminabile minutino si è alzato ed è andato via, probabilmente per correre a dipingermi come il nemico giurato del dialogo e della comprensione e della pace. Da allora non abbiamo più parlato.[9] La giungla aveva già conquistato un altro palmo di terra.

Il possesso di telefonini e SUV[10] non rende il selvaggio meno selvaggio. Interi decenni di celebrazione dei sacramenti non rendono il parroco più uomo. La giungla avanza, la civiltà arretra, l'educazione di popolo manca, la cristianità è sempre più annacquata e insipida, chi ti aggredisce lo fa non in vista di qualche vantaggio concreto, ma in ottemperanza ad una ridicola e mutevole immagine mentale. Proprio come i veri selvaggi.


1) Forti con i deboli e deboli con i forti. Avrebbe fatto lo stesso se avesse avuto anche solo il minimo sospetto di avere a che fare con uno che gira armato?

2) Mentre per noi cattolici perseguitati i termini "moglie" e "figli" hanno un significato profondo e che tocca l'affettivitià, per i selvaggi con telefonino sono solo alcune voci del proprio Curriculum Personae, insieme a "telefonino", "campionato", "soldi". Cioè uno di loro si offende in egual misura se gli dici che il suo cellulare dopo un mese costa cento euro in meno, o se scopri qualche suo vergognoso altarino personale. L'affetto è infatti rivolto non al figlio ma all'immagine di sé stessi (la "persona") che vorrebbero esibire sui social, ed oggi è considerato disonorevole il non poter esibire il Figlio "Tutto A Posto" (versione borghesotta del Figlio Perfetto).

3) In pratica il padre tenta di insegnare al figlio i Valori della Giungla Occidentale. Mi ricorda quella vignetta in cui una mamma single sommerge di complimenti la figlioletta che fa twerking, le compra abitini sexy per farla essere "più bella", e quindi vedendola incinta si lamenta: "ma dove ho sbagliato?".

4) Sebbene il sottoscritto segua segretamente la tattica del "can che abbaia non morde", esclusivamente intesa a chiudere la faccenda sbraitando in modo da non essere coinvolto in una nuova faida o un fastidiosissimo seguito di piccinerie e dispettini, l'aver a che fare con gente con rotelle fuori posto non dà alcuna garanzia.

5) Quelle percentuali mi sembrano sorprendentemente realistiche, a giudicare dal numero di certezze che ho acquisito su conoscenti e parenti anche gentilissimi e mansueti ma che alla minima occasione sfoggiano una ferocia e un cinismo da cocainomani.

6) Gli spiriti dell'aria di cui parlava san Paolo e contro cui invochiamo l'Arcangelo?

7) Occhiataccia infuocata e parole taglienti, con una perfidia possibile solo a un panciuto parroco che non è riuscito a far carriera nelle curie.

8) Quando i tuoi eroi cominciano a comportarsi in modo strano, rivedi drasticamente l'influsso che hanno avuto sulla tua vita. Da ragazzino avevo un'altissima stima per il sacerdozio. Oggi ho la certezza - maturata attraverso un'interminabile sequenza di delusioni e di momenti imbarazzanti - che i preti stanno per ricevere una punizione assai più severa.

9) Da allora riconsiderai parecchio il mio impegno in parrocchia, sebbene in tante occasioni non abbia potuto resistere a dare una mano. Quello che succede in parrocchia, succede in tutta la Chiesa. Era stato anticipato nell'orwelliana Fattoria degli animali: il cavallo che per tutta una vita aveva lavorato e servito, quando non è più in grado di lavorare viene venduto al macello per cavarne ancora qualche soldo. Il "laico impegnato" (amavano chiamarlo così), unico ciellino della parrocchia, al quale il parroco non aveva mai risparmiato la battutina corrosiva, aveva donato solo Dio sa quante ore e quanta pazienza (e quanti soldi).

10) Ce l'ho contro gli Sport Utility Vehicles - e qualsiasi altro veicolo a due o più ruote progettato più per essere esibito che per portare a termine la propria giornata di lavoro - perché almeno da queste parti sono invariabilmente guidati da pirati della strada, convinti che il prezzo del veicolo includa il diritto di precedenza, di sorpasso e di parcheggio in ogni situazione, arroganti, aggressivi, pronti a farti rischiare l'incidente perché tu alla guida di una vecchia utilitaria sgangherata (o di un camion, autobus, furgone, qualsiasi cosa utilizzabile solo per lavoro) non meriteresti che disprezzo. Il selvaggio, acquistando telefonino e SUV, non diventa meno selvaggio, diventa solo più arrogante.

martedì 3 luglio 2018

Occorreva pensare alla vita interna

Sembra passato un secolo, eppure sono soltanto sedici anni da quando Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani a proposito di "non una strada, ma la strada".

Ho un ricordo vivo di qualche anno prima, quando mi fu detto - sottovoce, come per le indicazioni più gravi - che era ora che il movimento pensasse alla "vita interna". Cioè ad essere un po' meno "movimento" e con minor presenza sulla scena pubblica ed ecclesiale, e a formare di più i singoli, dando loro un miglior equipaggiamento dottrinale e sacramentale in vista di inevitabili maggiori battaglie.[1] Non ricordo trionfalismi da barzelletta riguardo a quella lettera del Papa, ma ho sempre avuto la sensazione netta che da quel momento alla vita interna i vertici non ci hanno pensato più.[2]

La crisi del movimento è ufficialmente cominciata una decina d'anni dopo, nell'annus horribilis che fu il 2013, quando al conclave Scola entrò Papa e uscì cardinale.[3] I peana carroniani per incensare Francesco ebbero come unico frutto una sonora "sferzata" e la conferma della dimenticanza definitiva della vita interna,[4] tutti presi dalla foga di compiacere il Papa suonando la sviolinata giusta. Al punto che la voce di corridoio secondo cui ci sarebbe un piano per fondere il movimento con Azione Cattolica non sembra più complottismo da bar sport.[5]

Una volta un pretino del movimento, col tono di chi dice qualcosa di Molto Adulto ad un Ragazzetto un po' troppo entusiasta, mi disse provocatoriamente che "i movimenti passano, la Chiesa resta", per poi calcare la mano insistendo che un giorno Comunione e Liberazione potrebbe finire. E fu qui che obiettai, vedendolo di conseguenza recitare la parte dell'Adulto Molto Molto Adulto che dà una Lezione di Vita al Ragazzetto. Anni dopo sarebbe stato Giovanni Paolo II a mettere nero su bianco ciò che non riuscivo ad esprimere. Il movimento ha voluto indicare non una strada, ma la strada, e la strada è Cristo. Questo non può "finire". Può piuttosto "finire" la struttura movimento che ospita ciò - e finirebbe perché smette di "indicare", tutta presa da attività tipiche della peggior Azione Cattolica.


1) La capacità organizzativa è una freccia spuntata se la falange macedone ciellina dipende più dai notiziari che dall'adorazione eucaristica. L'eredità di don Giussani è molto più ampia di quanto non possa emergere dalla vasta quantità di scritti e registrazioni: la prima volta che me ne accorsi fu quando un'amica delle Memores mi parlò dell'angelo custode in termini non bambineschi né da predica. Le Quasi Tischreden sono state trascritte perché anche quando scherzava sorseggiando un buon bicchierino trasmetteva qualcosa. Com'è tipico dei santi.

2) Se ne è accorto - fuori tempo massimo - anche Negri.

3) Sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi negli avvisi degli esercizi della Fraternità l'ubbidienza a Papa Scola riguardo cose come l'augurare "buon Ramadàn" ai fratelli musulmani. Fu un annus horribilis anche per la frustrazione delle speranze politiche dei formigoniani, definitivamente azzerate dalle manovrine del solito Partito della Magistratura.

4) Le parole d'ordine (tipo "cambiamenti radicali senza precedenti", "uscire da sé stessi", "cambiamento d'epoca che lancia una sfida", "davanti a un cambiamento di epoca, da dove ripartire?"...) sono esattamente quelle che fino a pochi anni prima erano oggetto dei nostri motteggi goliardici contro gli stralunati azioncattolichini avulsi dalla realtà e col cervello spento. Il più allarmante segno di una sconfitta è il vedersi comandare di essere esattamente come la caricatura che faceva il nemico.

5) Comunione e Liberazione nacque perché don Giussani, insegnando gli elementi fondamentali della fede, si ritrovò circondato da un popolo. Avendo fatto scuola di comunità con i gruppi di Azione Cattolica, ha dato l'impressione che il movimento ne sia stato una costola. In realtà la separazione era netta, come confermò lo stesso cardinal Colombo, nel 1971: «i gruppi di CL non sono un'alternativa all'AC ma sono solo un libero e legittimo movimento di apostolato». Nei prossimi cinque o dieci anni un cardinale o Papa potrebbe dire il contrario?