sabato 30 marzo 2024

Frattaglie - 25 - la radical-sciccosa

Uno dei tipici personaggi di queste lande brulle e desolate è la radical-sciccosa di parrocchia. Tanto impegnata fra sagrestia, spazi parrocchiali e sagrato, quanto allineata alla religione sentimentalistica e radical-chic che sta spazzando via gli ultimi brandelli di cattolicesimo convenzionale: la religione dei sospiri, delle frasi sdolcinate e insignificanti, quella in piena sintonia coi telegiornali.[1] La radical-sciccosa pubblica sui suoi social un disegno a matita della sorella, altrettanto parrocchiana. “Che bel regalo”, descrive, scatenando una gragnuola di Like e di commenti entusiastici. Il soggetto sacro raffigurato dà l'impressione che i pensieri della disegnatrice non fossero esattamente religiosi.

Passate le feste di Natale, si è esaurito il liturgico diluvio di sospiri, auguri, frasi fatte, espressioni di generica “speranza” fondate sul nulla o su numeretti di calendario. Da domani sera potremo considerare passate le feste di Pasqua,[2] e considerare esaurito il bis di quel diluvio. I teleconsumatori paganti e fieri di esserlo celebrano con intensa devozione la liturgia degli auguri come se temessero seriamente che un team apposito controllasse se ne hanno dimenticato o ridotto qualcuno (dopodiché si torna alla realtà, fatta di costi, spese, aumenti, stangate). Sono liturgie di un mondo postcattolico che non sa più neppure perché insiste a voler festeggiare “Pasquetta”, “Capodanno”, “Natale”, “Ferragosto”… si festeggiano “perché sì”.

La musica non classica che ascolto ogni tanto con una certa avidità ha due costanti fondamentali: l'inquietudine che quasi sfocia nell'urlare e il ritmo serratissimo di chi corre a lato di un precipizio ma con la foga di chi ha un obiettivo e spera che sia valido. Si tratta di poche ottime canzoni di pochi gruppi che nel resto della loro produzione raramente riuscivano a raggiungere almeno la mediocrità (e che anche solo per questo motivo non meritano di esser nominati: non vorrei stuzzicare curiosità su tale spazzatura): devo ormai considerare dato acquisito il fatto che un gruppo men che mediocre possa produrre in tutta la sua carriera uno o forse ben due pezzi di un certo rilievo. L'inquietudine è difficile da esprimere in musica (un po' meno difficile nel caso della musica classica, ma non con quel mordente del correr di lato ad un precipizio), e quando la musica ti diventa un mestiere, l'inquietudine la esprimi solo fingendola.

Solženicyn dedica suo malgrado tante righe di Arcipelago GULag per rispondere alle obiezioni: ma non potevate denunciare? Non potevate organizzarvi? Non potevate reagire? Non potevate evitare? Non potevate convincere gli altri?[3] Quando con estrema cautela abbiamo cercato di opporre qualche dubbio alla Sacra Narrativa Vigente siamo stati presi per pazzi, nel migliore dei casi, accusati di voler fare i bastian contrari, di voler credere ai gombloddih,[4] venendo emarginati, ostacolati, derisi.[5] Ed ora ci dispiace vederli crepare come moscerini che ronzano attorno al fuoco. Poi, fra un decennio o due, qualcuno comincerà finalmente a riflettere su cos'era diventata questa società quando dovevi stamparti autocertificazioni per andare a fare la spesa (e sperare di non trovare un agente pignolo), quando dovevi esibire un nazistissimo Lasciapassare Verde per poter prendere una merda di caffè al bar o andare al matrimonio del cugino, quando i pretastri rinnegatori del buonsenso rifiutavano la Comunione a chi non si presentava con le mani (e nel frattempo non era presidiato neppure uno dei confessionali di parrocchie e santuari).

Uno dei dogmi più assoluti dei preti moderni è “non devono rompermi il tran-tran”. Hanno un'allergia a qualsiasi richiesta che vada fuori dalle loro più inveterate abitudini. Sono dispostissimi a fare e dire solo ciò che hanno in una sorta di menu precompilato ben chiuso nella loro scatola cranica, e nient'altro. Per cui banalizzano, deridono, o fingono di non capire, quando avvertono anche un minuscolo sentore che stai per domandare una cosa che dovrebbe essere normale chiedere ai preti, ma che loro non hanno alcuna intenzione di assecondare.[6]

Nel corso di lunghi anni, apparentemente senza motivo né cure, sono guarito da alcuni problemi fisici che mi ero rassegnato a doverci convivere per tutta la vita. Incluso un problema di stomaco, per il quale mi ero arreso a farmi prescrivere una fastidiosa gastroscopia, venendo messo in lista d'attesa per un tempo biblico. Nel frattempo era iniziato il 2020 con la Novella Religion Obbligatoria ed il reparto presso cui ero in lista è scomparso nel nulla (salvo poi ricomparire chiedendo il nazistissimo Lasciapassare Verde). Un giorno, durante tale interminabile attesa di quella gastroscopia, ho avuto l'ennesima crisi, ho vomitato interi metri cubi, e il giorno successivo non avevo più nulla. Così, senza motivo, senza medicine, senza neppure una visita.[7]

L'uomo ama confondere i sogni con la realtà per poi diventare violento e isterico quando glielo si fa notare. A volte, invece, assume l'espressione da cane bastonato e accetta il fato standosene immobile a chiedersi com'è mai potuto succedere che la realtà non fosse uguale al sogno.

Divertente notare ancor oggi che il format di invito ad andare ad un incontro di un qualche gruppo ecclesiale sia ancora sufficiente a capire se si tratta di Comunione e Liberazione o no. Per le altre realtà ecclesiali l'invito generalmente si riassume in: vedrai (o farai) qualcosa di nuovo (sottinteso che siamo già sicuri che non puoi assolutamente averlo già visto o fatto meglio di come noi: sai, siamo gli specialisti di tale novità). Quelli della Cielle, invece, sono riassumibili in: si parlerà di cose serie. Che fino a non troppi anni fa era pure vero (mi sale il magone a pensare quando tornavo dalla “scuola di comunità” con un punto in più, anche l'aver capito soltanto un punto in più).

No, non sono pentito di aver trattato in modo un po' brusco i nonni nell'ultima interazione che abbiamo avuto quando erano vivi. Mi viene spesso da pensare che il rincitrullirsi in vecchiaia sia forse la più disperata delle àncore di salvezza, come nelle vecchie barzellette in cui l'imputato invoca la propria infermità mentale per passarla liscia in extremis. E quindi che quel trattamento brusco - in cui stavo di fatto interagendo con la loro salute mentale in crollo verticale - non sia da addebitarmi come una mancanza di carità, ma come un tentare di tenere ancora a galla una barca che affonda. (Ed è tragico quando tale affondamento dura a lungo, settimane, mesi, magari anni)

Il drammatico limite di qualche anziano con cui sto avendo a che fare è che con loro crollano comode impalcature di parenti, di equilibri sociali, di questioni di soldi e di immobili, e di tanti altri problemucci che avrebbero tolto il sonno e la tranquillità se non fossero stati rinviabili. La finestra di Overton del rendersi indipendenti - l'ideale dell'andare a vivere da soli e lontano -, una volta chiusasi, lascia solo problemi, beghe, amare sorprese, e soprattutto uno sconquasso nella propria vita che non risulterà aggiustato nemmeno dieci o vent'anni dopo. Quel precario ma tutto sommato ancora gestibile microequilibrio sociale che c'era prima del 2020, in poco più di quattro anni è andato a pezzi, complice la dittatura del 2020-2021 e il magico Elisir di Lunga Vita. E così mi ritrovo mio malgrado nella stagione dei rimpalli di responsabilità, di attività sgradite, di interventi da “arbitro che non voleva essere tale”, di rincorse e acrobazie per guadagnare quell'ora di sonno o di aria pulita. È come se tutto il mondo fosse invecchiato di colpo.

Mi torna la nostalgia di quelle epoche rappresentate nei film che tanto piacevano a don Giussani (come Ordet, come L'albero degli zoccoli), in cui anziani, storpi e malati godevano tutto sommato di compagnia, assistenza, vita sociale, perché non era in voga la foga di sbarazzarsene, perché non c'era l'ossessione del pubblicare sui social quanto ci si è goduta la vita. E avrebbero avuto un funerale commosso e partecipato anche se si fossero spenti come questi gingilli elettronici moderni, d'improvviso lo schermo diventa nero e non c'è più niente da fare.

Ci veniva sempre detto, alla “scuola di comunità”, che la vita della Chiesa - e dunque la vita del movimento - non è il fare delle cose insieme e poi andare a mangiare insieme. O è aperta alla totalità, o ci fa soffocare. Siamo nel 2024 e il rileggere le parole “aperta alla totalità” mi fa ricordare come tale espressione sia stata pian piano annacquata, nel corso degli anni, ad un generico sospiro beneaugurante. L'effetto Chernobyl sul movimento: “fuori”, le stesse parole di prima, “aperti alla totalità”, “dentro”, progressivamente e inesorabilmente svuotate di senso.[8]

Anni fa ci raccontarono di un malato terminale di Montréal che aveva chiesto con urgenza l'iscrizione alla Fraternità di Comunione e Liberazione, morendo pochi giorni dopo, seppellito con la “tesserina” nel taschino. Bei tempi, quando si poteva guardare al movimento come un di più nella propria vita. Oggi, invece, siamo in paziente attesa che smetta di essere un di meno, che smetta di essere un discorso già sentito e sempre più simile ai discorsi delle radical-sciccose. La nuova moda è, ahinoi, il ciellino disincarnato, distaccato e distopico, che ha smesso anche di essere iperattivo volontario nelle attività.[9]. Ma forse la colpa peggiore del carrónismo è stata l'illusione che il movimento poteva finalmente campar di rendita nonostante l'aver evitato per decenni di curare “la vita interna”.


1) Ricordo vivamente, di quando ero bambino, quel momento in cui mio zio, a casa del quale avevamo il cenone di fine anno, si pose religiosamente davanti al televisore per seguire l'omelia del presidente della repubblica, mortalmente più noiosa persino di quella del vecchio parroco. Posso supporre che esistano ancora vecchi barbogi disposti a questo tipo di liturgia laica, non necessariamente anziani zii e vecchie carampane.

2) La Sacra Pasquetta è una festività che non abbisogna di auguri.

3) Arcipelago GULag è un'opera che andrebbe fatta studiare nelle scuole… se le scuole fossero capaci di insegnare anziché di limitarsi a (malamente) istruire.

4) L'accusa di complottismo è la fallacia ad hominem che serve a screditare i non credenti nella Religione Laicista.

5) E ci confezionavano persino le fiabe ad hoc, come quella dei malati che in ospedale in punto di morte rimpiangevano di non essersi fatti somministrare il sacro Olio di Serpente Elisir di Lunga Vita.

6) Cartello: “confessioni: il mercoledì pomeriggio dalle 15:30 alle 16”. Siamo quasi al punto che è più facile farsi rilasciare il passaporto che confessarsi.

7) Nel biennio della Novella Religion Obbligatoria sono guarito anche da altre cose, grazie al fatto di essermene infischiato degli obblighi così volenterosamente abbracciati dai credenti e praticanti. Se avessi potuto aver accesso ai sacramenti come nel 2019 non me la sarei presa tanto contro tale Novella Religione.

8) È preoccupante la riunione dove il Capo-Capetto infligge ai convenuti l'Omelia-Standard con i Paroloni Importanti del Movimento e qualche Volo Pindarico occasionale (“ieri…” “stamattina ero colpito da una notizia del Corriere…”). I convenuti, dai capelli bianchi come il predicatore, son lì solo per marcare presenza e fare il giro di saluti. Ché il giro di saluti è sempre stato il momento più goduto di ogni scuola di comunità. In altri tempi - devo esser vecchio, perché mi sembrano già lontanissimi -, pur godendoti il momento dei saluti, avevi un tarlo dentro, avevi capito qualcosa di nuovo, anche soltanto una virgola. “Possedevi” di più ciò che fino a quel momento avevi cercato di afferrare, di capire, di far tuo. Salutavi, ma stavi crescendo.

9) Attività intese come l'attivismo del “ehi, organizziamo qualcosa per fare qualcosa, dai, che bisogna pur aver qualcosa da esibire alla nostra platea immaginaria”.

domenica 10 marzo 2024

Quattro anni fa l'Italia divenne tutta zona rossa: ricordi sparsi

Stampa e governo promossero il delirio totale, la demagogia solennissima, la paranoia nazionale, la discriminazione obbligatoria, l'ipocondria di Stato, l'isteria collettiva. Il bombardamento mediatico e l'autoritarismo arbitrario ne furono i pilastri.

L'infame curia milanese aprì le danze con “la messa guardatevela su youtube”, e il resto venne da sé: i “distanziamenti” perfino fra i banchi in chiesa, i preti “latitanti” coi confessionali vuoti perfino nei santuari mariani, le ridicole polemiche sul suono delle campane, il diabolico “obbligo di comunione sulle mani” (e la “santa invidia” per i furbetti che avevano possibilità di aggirare le norme civili e clericali per poter continuare a frequentare i sacramenti).[1]

E tutto il “security theater” (coi tanti volenterosi che si davano da fare persino più di quanto il Potere esigesse), e le arterie stradali pressoché vuote, e il “pisciare il cane di peluche” pur di uscire (o l'andare al supermercato 5 volte per 5 articoli), e gli inseguimenti dei “runner” e dei bagnanti isolati (e gli autopromossi “delatori”, specie sui social), le mascherine “anche all'aperto” (e i guanti di lattice, e l'igienizzazione ossessivo-compulsiva), e le “autocertificazioni”, la “didattica a distanza” (cioè a casa coi videogiochi: “mamma, capisci!?, scuola è chiusa! che bello!”) e lo “smart working” (e anziane docenti improvvisatesi network engineer), e l'assalto ai treni in stazione per scappare a casa prima delle chiusure, e le visite mediche programmate (e già pagate) svanite nel nulla, e le mascherine FFP2 a 6,40€ in farmacia, e i tagli ai trasporti, e il divieto di baci e abbracci…

E quindi il lockdown dopo una certa ora (il virus era nottambulo, oltre che esperto di confini comunali e regionali), i “banchi a rotelle” (mentre si davano i miliardi ad Alitalia e si elargiva il “bonus monopattino”), le limitazioni assurde (perfino al numero di passeggeri sulle auto), la ristorazione “solo asporto”, i supermercati “chiuse corsie non alimentari” (e le “code chilometriche” fuori e il “limite di ingressi” dentro), lo jogging “solo entro 500 metri”, la moda della “home gym” (e il boom di vendite dei videogiochi), e il far scorta di cibo e di ingredienti (perché improvvisamente tutti avevano “più tempo per cucinare”), e i “covid party” (mentre i ricchi continuavano coi loro party veri e la mascherina ce l'avevano solo i loro schiavi-camerieri)…

E poi la “quarantena” modello 41-bis, l'imposizione dei “vaccini” (e il panino con la porchetta a chi si faceva in(o)culare), i volontari che ripubblicavano sui blog i numeretti “ufficiali” (mentre venivano permanentemente “bannati” quelli che osavano esprimere il pur più minuscolo e velato dubbio), e le inquietanti "coreografie" degli infermieri...

E infine il “green pass”, obbligatorio perfino per i mezzi pubblici o per fare sport o per sedersi al tavolino anziché consumare in piedi, e pure il “green pass rafforzato”. E la multa agli “over 50” che non si erano fatti in(o)culare.

E tutto questo di fronte ai test “PCR” costruiti da certi Corman e Drosten, su un modello al computer basato sulla Sars del 2003, e divenuti improvvisamente il nuovo “credo” della religione talebana pandеmenzial-vаccinale.

E oggi, nel 2024, c'è ancora un vastissimo branco di emeriti coglioni che si chiede perché la chiamiamo “pandеmenza cоvidiоta” o “dittаtura psicоsаnitaria”.


1) Quegli interminabili mesi in cui sono rimasto senza la Comunione li conteggio come persecuzione violenta e ingiustamente subìta.