sabato 19 dicembre 2015

Verticalità assolute

Leggere su wikipedia gli incidenti mortali degli alpinisti lascia un senso di vuoto. Partono attrezzati, allenati e determinati, e poi un imprevisto e la morte. Gli imprevisti sono le tormente, i pendii instabili per la neve, le valanghe, le cadute di sassi, l'esaurire corde e chiodi, lo scivolare sul ghiaccio, il distacco di una cornice di neve, una caduta in un seracco, una folla come a Gardaland, la perdita di un guanto (e conseguente congelamento del braccio), l'accorgersi dell'impossibilità di ritirarsi lungo lo stesso percorso, le notti al buio con temperature bassissime e gli arti congelati, perfino la morte per sfinimento lungo la via del ritorno... Ci si mette anche il Rifugio, con le sue tariffe non propriamente adatte a tutte le tasche.

"Insomma, per cosa hai dato la vita?" Bof, volevo conquistare una vetta. "Sì, ma cos'è quella vetta?" Rocce, neve, terriccio, ghiaccio, molto alta, qualche migliaio di metri. "E tu sei morto solo perché intendevi andarci su a piedi?" Beh, sai, c'erano le verticalità assolute, le pareti che strapiombavano, il traverso chiave, i punti di ancoraggio erano aleatori... lo volevo scalare solo perché era lì.

E così sulle montagne restano i loro nomi. Il "bivacco della morte". Il rifugio col nome di uno. La "traversata" col nome di un altro. La "fessura difficile".

Un alpinista italiano, costretto a ritirarsi per una frattura ad una costola, dovette addirittura giustificarsi: "nessuna montagna vale la vita".

lunedì 9 novembre 2015

Era uno dei più grandi dogmi della società moderna...

Ogni tanto - come stamattina - qualcuno passa tutto pimpante a dirmi che "on-line" si possono conoscere donne e che "se sei bravo" (sottinteso: come lui che mi sta elargendo una così saggia lezione di vita) allora riusciresti perfino a "portartele a letto..."

Qualche mese fa abbiamo avuto finalmente un dato statistico incontrovertibile grazie ad un "attacco hacker" ad uno dei più grossi siti web di "incontri di un certo tipo": gli hacker subito ne hanno pubblicato gli archivi interni.

Risultato: gli iscritti sarebbero 31,3 milioni di maschi e 5,5 milioni di femmine, ma gli iscritti attivi (che cioè abbiano controllato almeno una volta la loro casellina dei messaggi privati) si riducono a 20,3 milioni di maschi e appena 1492 femmine.

Cioè, chiaro? L'utilizzo della Grande Piattaforma era stato qualcosa tipo: 1.492 femminucce da dividersi tra 20.300.000 maschietti (cioè di utenti paganti). Raramente in vita mia ho riso tanto come quando lessi quella pagina. È proprio vero che l'uomo, liberatosi dai lacci della religione, è diventato un credulone.

martedì 16 giugno 2015

Frattaglie / 13

Seguono altre frattaglie e pensierini sparsi.

Quando mi parlano di cinema mi viene l'orticaria. Ormai non c'è più film che non paghi il suo sacro tributo alla mentalità di questo mondo. Anni fa, su questo stesso blog, lanciavo l'idea dell'allestirsi una cineteca tagliando dai film certe scene del tutto gratuite, del tutto ininfluenti sulla qualità del film.

Un'amica seriamente malata si è vista azzerare le fisioterapie. La sanità ha deciso che lei è abbastanza “sana” da non averne più bisogno. Non per niente si chiamano Aziende Sanitarie: il loro scopo è di far quadrare i bilanci, ancor prima che garantire la sanità. Se ha bisogno delle fisioterapie le dovrà pagare, come un qualsiasi altro bene di lusso.

Lo spasso della scorsa estate era il trollare gli animalisti. Prima gli si dà ragione su tutta la linea e poi si lancia la bordata: “hai ragione, bisogna proteggere zanzare e pantegane”. Quest'estate però si vendicheranno. È già trapelato il testo dell'enciclica ambientalista, che avrà come unico effetto il ringalluzzire l'esercito di preti che preferiscono l'ecologismo alla dottrina cristiana...

“Lavora a Nosciatèlle”. Cioè dalle parti di Neuchatel, in Svizzera. Da tanti anni e ancora trascina le sillabe per ostentare la sua provenienza. Gli italiani all'estero non vedono l'ora di qualificarsi come italiani, specialmente in presenza di soggetti simil-italiani.



martedì 12 maggio 2015

Solo un breve promemoria

Il paradosso di Fermi è la semplice domanda: “ma dove sono tutti gli altri?”

Il Sole è una stella “tipica” e abbastanza recente rispetto agli almeno 200-400 miliardi di stelle presenti nella galassia. Una piccola percentuale di queste potrebbe avere pianeti, una piccola percentuale dei quali potrebbe aver visto nascere vita, una piccola percentuale di questa vita potrebbe essere intelligente. Considerato che in pochi millenni l'uomo ha spedito manufatti fuori dal sistema solare e si appresta a colonizzare un altro pianeta (Marte), non sembrerebbe statisticamente impossibile che nell'arco di alcuni milioni di anni una forma di vita intelligente - anche una sola - sia stata in grado di fare viaggi interplanetari e colonizzare tutto il colonizzabile, e perciò metter piede anche sulla Terra. O almeno di lasciare tracce del proprio passaggio.

Solo che paradossalmente non si trovano tracce. È un paradosso perché la totale assenza di “tracce” contraddice il rapporto che c'è tra le dimensioni del problema e il più generoso calcolo delle probabilità. Tali tracce dovrebbero essere vistose (ci vuol poco a verificare se qualcosa è originato dall'uomo o no), e invece ci si affanna inutilmente a cercarle. Col risultato che qua e là si comincia ad ammettere che l'intero universo sembra ingegnerizzato allo scopo di farsi guardare. Cioè osservare. Cioè ammirare.

giovedì 16 aprile 2015

Venticinquemila euro, ti rendi conto?

Per un osservatore esterno il tifoso è quello che si dedica con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l'anima ad un determinato tipo di spettacolo. Lo sport, infatti, è uno spettacolo: gli attori, debitamente preparati e addestrati, si danno da fare per la riuscita della rappresentazione (“vincere”). Vengono regolarmente pagati - la loro compagnia teatrale si chiama “società sportiva” - e sulle loro performance c'è tutto un mercato editoriale e televisivo, oltre che di merchandising di gadget e perfino di scommesse. Il tassello più importante del mosaico è che tali attività “sportive” non producono nessun cambiamento della società, e gratificano il tifoso solo di emozioni autoindotte dal tifoso.

In misura minore ci sono altre rappresentazioni che si propongono alla libertà dei singoli, come ad esempio quei quiz televisivi in cui si vedono i partecipanti vincere somme di denaro assurdamente alte rispondendo a ridicole domandine di cultura generale e tentando la sorte. Anche lì, come nello sport, c'è una scenografia elaborata su misura degli spettatori, c'è quel po' di tensione della decisione da cui dipende “la vita o la morte”, anche lì c'è la socializzazione indotta (la nonna che mi chiede: “hai visto? ha sbagliato la domanda da 25.000 euro, ti rendi conto?”), l'idea di fuga dalla realtà (“ah, se li avessi vinti io quei 25.000 euro...”).

È come sempre il panem et circenses, col solito corredo di lotterie e modi per rovinarsi la vita.

venerdì 10 aprile 2015

Imbarbarimento dell'Italia

Leggo che trecentomila italiani, negli ultimi dieci anni, sono emigrati all'estero. Trecentomila è pressappoco il numero di nuovi nati ogni anno. Come se il dieci per cento dei giovani, ogni anno, emigrasse. Quel dieci per cento è composto senza dubbio da chi può permettersi di abbandonare famiglia e legami, ha abbastanza competenze da poter andare a lavorare all'estero in giacca e cravatta in aereo piuttosto che senza documenti su un gommone di notte, e non ha problemi a dover imparare una nuova lingua (che magari già conosce). In parole povere, più che la fuga di “cervelli”, è la fuga della civiltà.

Non intendo andarmene all'estero e perciò mi pongo il problema di chi rimane qui in Italia con me. Cioè rifletto su chi siano quelli “vincolati” a rimanere (per esempio per età o per salute o per vincoli affettivi), quelli che non hanno la capacità, la voglia o la necessità di andare a lavorare all'estero, e quelli che vivono di rendita (che cioè non hanno motivo di andarsene). Tra questi ultimi spicca la popolazione di parassiti di cui veniamo quotidianamente informati dai giornali. Popolazione in tumultuoso aumento, visto che comprende le varie etnie dei parassiti pubblici, della delinquenza (organizzata o meno) e dei diversamente italiani, etnie che si distinguono oltre che per l'igiene personale dai loro peculiari rapporti con la legge e il fisco.

Berlusconi prima, seguito da Prodi e poi da Renzi e qualche mesetto fa anche da Padoan, hanno promesso un milione di posti di lavoro ciascuno. Dovevano necessariamente essere lavori a bassa specializzazione e nel settore pubblico, dal momento che i “cervelli” se possono emigrano e che l'imprenditoria e la creatività sono brutalmente stroncate dalla nostra proverbiale burocrazia e visto il nostro sistema scolastico. Mi colpiva, per esempio, che una laureata in scienze pedagogiche si meravigliasse che le aziende richiedano competenze precise.

Se la matematica non è un'opinione, l'Italia sta regredendo a decisi passi verso la barbarie.

sabato 28 marzo 2015

La lavatrice

All'età di tredici o quattordici anni mi venne una strana fissa. Mi sedevo sul bordo della vasca da bagno, accanto alla lavatrice, e restavo lì per trenta, quaranta minuti meditando... il ticchettio del timer e il funzionamento della lavatrice. Le rare volte che fui scoperto dai miei, non ebbero nulla da ridire. E fu un bene, perché - ancor oggi mi sembra incredibile a dirsi - fu un'esperienza istruttiva.

Non so dire come cominciò la cosa e nemmeno all'epoca sapevo spiegarmi come mai mi risultasse attraente stare lì assorto senza annoiarmi. Ma a poco a poco entravo mentalmente nel funzionamento della lavatrice. La pompetta che spruzza acqua nelle vaschette del cassetto del detersivo. Il motore del cestello che inverte la direzione dopo quindici secondi di pausa. Il frizzare dell'acqua scaldata dalla resistenza sotto il cestello. L'azione della pompa di svuotamento. Lo sforzo iniziale del motore che passa da fermo a centrifuga in pochi istanti.

Scoprire a poco a poco il funzionamento della lavatrice mi insegnò molto. Dal punto di vista tecnico, per lo più di astrazione. Per esempio: procedure apparentemente semplici che comprendono in realtà una scaletta di operazioni da completare con accuratezza prima di poter proseguire. Processi svolgibili in parallelo e processi da effettuare esclusivamente in serie. Il diverso livello di energia richiesta dalle singole operazioni, e dunque il “picco” di elettricità necessaria a garantire il corretto funzionamento in ogni momento. Le operazioni effettuate alla cieca, come ad esempio quella della pompetta che miscelava il detersivo mandandolo dalla vaschetta al cestello non aveva modo di misurare quanto ne era rimasto, e perciò la necessità di dirigere il getto d'acqua in modo da coprire tutta la presunta area di carico. La sincronizzazione delle operazioni per evitare interferenze o perdite d'acqua. La “responsabilità” delle singole operazioni nei singoli pezzi. E - uno dei temi più affascinanti - l'ingegnerizzazione della lavatrice in modo che anche il guasto più improbabile non cagionasse pericoli per le persone.

Tutto questo, al di là di considerazioni elettriche, idrauliche, strutturali, vale anche in tanti altri campi. Per esempio anche il girare un buon film richiede tutta una “struttura” di produzione (per “parallelizzare” parecchie operazioni) oltre che un dettagliato e convincente piano (non solo la sceneggiatura), aggiungendo la serietà dei singoli nel far bene la propria parte (una sbavatura sulle luci di una scena secondaria toglie il possibile status di “capolavoro”), più operazioni da effettuare alla cieca perché sarebbe troppo costoso o poco pratico misurare, quindi l'utilizzare tutte le risorse (umane e non) senza strafare, e poi lo “stare nel budget”...

Da decenni c'è una lavatrice in tutte le case. È un oggetto talmente familiare che non ci facciamo più caso. Io ci feci caso. Dopo una decina di sessioni, finalmente realizzai di aver capito quello che c'era da capire e non fui più attratto dalla lavatrice in funzione. Capii quello che la scuola prima e l'università poi non sarebbero mai state in grado di insegnarmi. Vi fui sommerso da nozioni prima e dopo, e fui anche un pochino introdotto in qualche modo alla creatività (che è un talento che ha bisogno di massicce dosi di osservazione del reale). Ma poche cose nella mia vita mi hanno insegnato tanto quanto quella lavatrice, la mia migliore lezione di vita prima di incontrare il movimento di Comunione e Liberazione.

Non credo sia un'esperienza ripetibile. Per me è andata bene la lavatrice, per qualcun altro potrebbe essere il traffico ferroviario, il robottino aspirapolvere, addirittura le classifiche del campionato di calcio.

Da ragazzino mi incantavo a esaminare il quadro con tutti i numeretti delle squadre. Il campionato, cioè ogni squadra affronta in “andata” e in “ritorno” ognuna delle altre, ed ogni giornata è fatta in modo che nessuna squadra resti a riposo, ed il campionato è fatto in modo da evitare doppioni. Così tentai di costruire un mio campionato, giornata per giornata, riempiendo un'agendina e scoprendo un sacco di cose che non conoscevo. Non scoprii combinatorie e fattoriali, ma riuscii a intuire che certe operazioni si potevano meccanizzare: un computer avrebbe potuto calcolare tutte le possibili combinazioni e riuscire a inventare un calendario di campionato facendo in modo che non ci sia più di un derby nella stessa giornata, che non ci siano troppe partite “facili” nella stessa giornata, che non ci siano scontri diretti nelle prime giornate ma si addensino verso la fine...

Visto che i miei tentativi andavano a vuoto (dopo la prima giornata era pressoché impossibile rispettare quei vincoli), lo organizzai a eliminatorie. Naturalmente vinse l'Inter, e non perché fosse scritto sempre in caratteri maiuscoli. Tiravo un dado e assegnavo i goal. Fu sufficiente barare poche volte per far vincere l'Inter. E anche qui mi si ponevano nuove categorie di problemi: come simulare eventi, cioè come estrarre numeri ragionevolmente casuali che complicassero abbastanza le tentazioni alla disonestà? Cosa fare se ci si accorge troppo tardi di errori nella pianificazione di un calendario? Come si fa a presentare affidabilmente un progetto resistente agli intoppi?

Al di là della tecnica queste domande davano idea del gusto di un lavoro ben fatto, “a regola d'arte”, quello di cui essere fieri, “l'ho fatto bene perché volevo un buon risultato”: non era più creatività e ingegno, ma era un insieme di cose buone difficili da definirsi a parole (che si apprendono per osservazione di fenomeni apparentemente banali e di meccanismi ripetitivi). Almeno finché non si faceva davvero propria l'idea del lavoro come prosecuzione dell'opera creatrice di Dio (Dio come vertice di ogni giustizia, misericordia, amore, ma anche come vertice di ogni ingegneria, ogni architettura, ogni progettazione, ogni sapienza, ogni bellezza...).

domenica 22 marzo 2015

Autoimpegnati

Tutto cominciò incontrando (apparentemente per caso) un anziano sacerdote dopo parecchi anni che ci eravamo persi di vista. Mi chiese come stavo e gli risposi che era un periodaccio. Da ciò - e dal fatto che qualcuno doveva averlo pregato caldamente di aiutarmi - dedusse che avevo bisogno di una qualche “forte esperienza di fede”[1] e, del tutto ignaro del fatto che mi accostavo con frequenza ai sacramenti e che ero in qualche modo invischiato con Comunione e Liberazione, decise di farmi fare tale “forte esperienza” con un movimentino giovanilistico ecclesiale locale di cui lui era uno dei capi rispettati.

Un po' per non deluderlo, un po' per curiosità, un po' per la convenienza di allontanarmi da casa per qualche giorno, accettai di fare un ritiro in montagna con lui e quel suo gruppo di ragazzi, più due anziane suore e un giovane sacerdote religioso. L'età media dei ragazzi era sui venti-venticinque anni, gli adulti sopra i trenta erano una decina compresi i consacrati. In tutto saremo stati una cinquantina. Ci ospitava una casa di spiritualità (cioè un alberghetto gestito da suore) in un luogo ameno di collina alle spalle di un paesetto di campagna.

La prima cosa che mi colpì di quelle decine di ragazzi fu il notare lo sforzo che facevano per tenere a freno la volgarità. Ma la prima impressione che mi stimolò a indagare meglio fu il non riuscire a distinguere tra i “militanti” e gli “invitati”: appena giunto lì, infatti, capii subito che il ritiro era evidentemente inteso a reclutare nuovi adepti (che perciò non dovevano notare la gerarchia interna), oltre che a fungere da avanzamento di carriera per alcuni “novizi”. Il sacerdote che mi aveva invitato era sempre stato alquanto reticente a rispondere a domande anche molto blande: si diceva sicuro che quei giorni mi avrebbero fatto bene, che mi avrebbero dato nuova carica, e che mi dovevo fidare e ascoltare e partecipare e bla bla bla.[2] Mi intrigava il notare come fosse stato così accuratamente pianificato il voler frustrare la curiosità di chi -come me- avrebbe voluto identificare rapidamente i militanti per fare qualche domandina distratta ma precisa ai più ciarlieri tra loro allo scopo di capire dove andavano a parare.

C'è una linea molto sottile fra la sacrosanta discrezione e la ridicola mania di segretezza. La virtù della discrezione può essere coltivata solo da coscienze limpide e con consolidata convinzione dei propri giudizi. La discrezione è un soddisfare ordinatamente le legittime curiosità, è il dire solo ciò che c'è da dire, è il prendere sul serio l'interlocutore e la sua vera necessità di sapere, mentre la mania della segretezza è un voler rispettare un programma, un frustrare le attese per far crescere la sete degli indottrinandi, in fin dei conti una forma di menzogna.[3]

Non ebbi occasione di parlar molto nei primi giorni visto che la scena era tutta occupata dagli avanzanti di carriera. Ma dalle mie rare e sintetiche battute qualcuno dei capi credette di aver scoperto nel sottoscritto un ottimo elemento da promuovere al più presto entro i loro ranghi. Ma non seppero propormi altro che il prendermi numerosi e gravosi impegni con loro.

La spiritualità contemporanea viene sempre proposta come un fardello: vuoi essere dei nostri? vuoi fregiarti della tale etichetta che qui da noi suona elegante? impegni settimanali, più impegni mensili, più impegni stagionali, più impegni annuali, e poi impegni personali, impegni comunitari, impegni auto-organizzati, e un sottinteso obbligo di favorire in ogni modo quelli dello stesso club. In mancanza di una presenza, in mancanza di qualcosa che già ti ha sconvolto la vita, si sentono costretti a proporre una ricetta spirituale - magari condita anche con ottimi ingredienti, però non è che una qualsiasi pietanza diventa automaticamente saporita nel momento in cui ci aggiungi la Nutella. Tanto più se era a base di pesce.

In tutta la loro sincera buona volontà, non sapevano propormi altro che il darmi da fare con loro, considerando alquanto secondario ciò che di buono avessi vissuto in precedenza. Che è l'espressione esattamente opposta a quella di Comunione e Liberazione: il giovanissimo don Giussani lo chiariva dicendo che se Cristo c'entra con tutto, allora c'entra anche con cose come la matematica. Se non è così, allora la fede diventa un “contenuto” con cui “programmarti” la testa, cioè un elenco di cose da fare e da dire, e da non fare e da non dire.

Dopo tre o quattro volte che ci siamo scritti e invitati reciprocamente (e inutilmente), ho perso i contatti con quei bravi ragazzi. Uno degli avanzanti di carriera si stava sganciando dal gruppo perché aveva finalmente capito che un'altra avanzante di carriera (che gli interessava a scopo fidanzamento) non ne voleva sapere.


1) Nelle sagrestie moderne il termine “esperienza” indica l'effettuare una qualche attività chiesastica per poi dichiararsene entusiasti.

2) Patetico epilogo del cattolicesimo postconciliare: dover adoperare strategie pastorali praticamente identiche al reclutamento delle sette o al marketing piramidale.

3) Un ciellino che ti parla di cose di fede ha un solo motivo per tacerti temporaneamente il fatto che è ciellino: la tua scomposta reazione pavloviana che ti fa rigettare istintivamente qualsiasi cosa che abbia anche lontanamente l'etichetta di “cattolico” o di “ciellino”. Un ciellino che invece ti infila il nome di don Giussani ogni due frasi, commette lo stesso errore ma dal versante opposto.

sabato 7 marzo 2015

Una prima impressione a caldo

Più che una “carezza”, quella di oggi è stata una sferzata (come si poteva anticipare già dalla sorridente ma allarmata lettera di don Carròn) e non possiamo dire di non essercela meritata (i giussanologi e i cielloti, professionisti del “carisma” e della “autoreferenzialità”, sono stati serviti). E fa anche più male perché proveniente proprio dall'imbarazzante Papa di cui tanti “autoreferenziali” si son prodigati a difendere anche gli scivoloni.

No, non credo che il declino del movimento sia dovuto all'assenza di don Giussani, ma a quell'istituzionalizzazione (abbracciata dai più come un sacramento: la “spiritualità di etichetta”) grazie alla quale non ci piovono più addosso molotov e diffamazioni.

lunedì 16 febbraio 2015

Fumetti

Trovo più facile immergermi in un fumetto che in un film, poiché i fumetti mi portano in un mondo completamente (e dichiaratamente) separato dalla realtà. E per il fatto che la lettura dei fumetti non deve seguire la velocità della narrazione. Mi accorgo poi che nei fumetti sono disposto ad accettare situazioni e considerazioni che nei film sopporterei di malavoglia. Per esempio, riguardo ad un supereroe che uccida gli sgherri di un supercattivo, lo trovo perfettamente logico nei fumetti, un po' meno in un film - dove per qualche motivo il volto reale degli attori provoca almeno un po' di misericordia.[1]


1) Come quando viene inutilmente ammazzato uno dei villains di un film di Superman, poco dopo aver mostrato un pizzico di umanità suonando il pianoforte insieme ad un bambino. È per questo motivo che i supercattivi, nei film, hanno quasi sempre una maschera malvagia, un costume malvagio, una voce da incorreggibile malvagio e compiono sempre ogni efferatezza gratuita immaginabile. Un pizzico di misericordia può danneggiare in modo drammatico la trama di un film.

venerdì 23 gennaio 2015

Non esattamente rischio educativo...

Il canarino morente era stato affidato alla nonna. Si è lentamente ripreso, ricominciando perfino a cantare, grazie alle cure e alla pazienza della nonna. La mammina torna dunque ad esigere il canarino perché i figli, piccole pesti dal DNA vandalico distillato e certificato, vogliono quel nuovo giocattolo. Piccola guerra in famiglia e canarino sano e salvo: la nonna ha detto uno dei rari “no” della sua vita.

Una caratteristica della nostra epoca è quella di arrovellarsi a sfornare il figlio perfetto e poi di pretendere che dotato di opportuni strumenti a disposizione sul mercato (“i giocattoli più intelligenti”, “gli strumenti musicali più intelligenti”, “la palestra più intelligente”, ecc.) il figlio guadagni successo e invidie in tutti i campi.

Breve parentesi sulla sindrome dello sceicco: consiste nell'entrare in un qualsiasi negozio e pretendere di comprare la... commessa. “Ma io pago! posso pagare! pago bene e subito!” Si rifiuta categoricamente di riconoscere che le commesse non sono in vendita. Tale sindrome è straordinariamente più diffusa di quanto s'immagini. E bisognerà cambiargli nome, perché “sindrome dello sceicco” non sembra politically correct.

La sindrome affligge anche una spaventosa percentuale di genitori. Per i quali “giocattolo intelligente” finisce presto per coincidere con qualsiasi cosa attragga anche solo vagamente l'attenzione dei figli. Compreso il canarino faticosamente rianimato dalla nonna.

La nonna si era sempre affannata a comprare giocattoli per i nipoti. Non le pareva vero poter comprare qualche “giocattolo intelligente” per contribuire al gigantesco ineluttabile futuro successo dei nipotini. Puntualmente i “giocattoli intelligenti” non superavano il pomeriggio, e così la nonna è passata a più miti consigli, comprando carabattole dal negozio cinese di cineserie cinesi: il risultato è lo stesso (brutalizzazione e devastazione) ma almeno viene sfasciata l'automobilina da due euro piuttosto che quella “intelligente” e griffata da diciotto euro. Per inciso: per il momento è ancora politically correct lamentarsi delle cineserie dei cinesi.

Probabilmente il sottoscritto è nato su un altro pianeta. Da bambino, in un modo o nell'altro, mi avevano insegnato a rispettare le cose (mie ed altrui). Mi avevano trasmesso l'odio per gli sprechi e perfino “risparmiare” sul fracasso (ero vispo ma mi contenevo, tanto più che il vicinato era composto da gente litigiosa che sognava di arricchirsi vincendo cause in tribunale). Ora attorno a me vedo una nuova forma di barbarie, una barbarie “verticale”, quella che ti fa invocare quell'educazione di popolo che è venuta misteriosamente a mancare da mezzo secolo a questa parte.

lunedì 19 gennaio 2015

Sprechi

Ancora non riesco a capire il motivo per cui ogni tanto qualche conoscente (non necessariamente giovane) viene a confidarmi le circostanze in cui ha gettato via la propria verginità. Si confida con l'aria di chi chiede un compiacente sorriso o almeno un distratto cenno di approvazione. Nel raccontare, infatti, sembrano talvolta rendersi conto per un attimo dell'aver inutilmente sprecato qualcosa di prezioso della propria vita.

Gli ultimi due casi riguardano un amico che si è intortato una vecchia carampana extracomunitaria, e un'amica che ha scelto come principe azzurro un vecchio divorziato esaurito. Il meccanismo del peccato è sempre lo stesso: annunciano ad un pubblico quasi totalmente immaginario un maestoso obiettivo al quale segue un risultato ridicolo e degradante. Per cui hanno bisogno di vantarsene. Avvertono l'urgente bisogno di carpire qualche sorrisetto di approvazione, per sentirsi almeno vagamente ricompensati. Naturalmente vanno a chiederlo al ciellino sottoscritto, che in quanto tale sarà dedito alla verginità e non li manderà a cagare come meritano.

Mi sono trattenuto perfino dal parlare perché erano talmente assetati di un “premio” da essere ansiosi di ricevere una qualsiasi mia parola o reazione. Sono rimasto in entrambi i casi in silenzio, apatico, freddo come una statua, per costringerli a giudicare loro stessi il proprio operato. Certi silenzi fanno più male delle parole e infatti dopo qualche insistenza hanno cambiato discorso.

In un mondo che reputa normale che ragazzi e ragazze gettino la propria verginità nei fetidi cessi di una discoteca (alla quale i ragazzi, benché in tempesta ormonale, si preparano col viagra), suona tristemente normale che gente attempata e sfiorita avverta il bisogno di guadagnare in extremis lo stesso trofeo per potersene vantare al più presto. Non è più solo un argomento della sfera della sessualità: c'è un che di diabolico in questa ossessione.

giovedì 15 gennaio 2015

Farsi dettare l'agenda dai media

La cosa che più mi colpisce di questa vignetta è che potrebbe essere intitolata: “un cattolico alle prese col dilemma del: Cosa Mi Metto Oggi”: