giovedì 16 dicembre 2010

Il parafulmine della Chiesa

L'esile suorina passava davanti ad ogni altare laterale fermandosi per alcuni momenti in preghiera, talvolta inginocchiandosi (in un caso direttamente sul pavimento), sempre incurante delle chitarre strimpellate durante la sciatta liturgia in corso in quel momento.

Era come se stesse “caricando” di preghiere quelle statue e quei quadri, sicura che delle sue silenziose invocazioni beneficiassero tanto i parrocchiani quanto le anime nei più lontani angoli del mondo.

Non capita tutti i giorni[1] di vedere con i propri occhi il “parafulmine della Chiesa” in azione.


1) Purtroppo!

sabato 11 dicembre 2010

Una classe "indimenticabile"

Leggo su un muro una scritta che inneggia alla classe più indimenticabile di una certa scuola, classe che ha terminato con la maturità alcuni anni fa. Resto lì attonito a domandarmi: indimenticabile? Indimenticabile da chi? Forse dagli insegnanti? Forse dagli studenti stessi? Forse dal personale non docente?

Su muri più vecchi si possono ancora leggere scritte quasi del tutto sbiadite: «settimo scaglione dell'ottantanove, massicci». Perché comunicare una cosa del genere?

Mi figuro per un attimo la mano emozionata che tentava di lasciare al resto del mondo testimonianza dei propri bei ricordi (avendo già provveduto a cancellare il ricordo dei momenti di noia, di sofferenza, di ingiustizia, di fatica, di dolore...)

Nel cuore dell'uomo c'è il desiderio che ogni bel momento sia rivivibile, anzi, interminabile. C'è il desiderio che ogni attimo già vissuto sia consegnato non all'oblio ma all'eternità. C'è il desiderio che ogni piccola cosa bella sia ingigantita e prolungata e, quand'anche finisse, c'è il desiderio che il suo ricordo restituisca ancora tanta felicità. C'è fra tutti il desiderio di dire a tutti, di gridare all'universo, di testimoniare ovunque quella felicità vissuta e ancora vivente.

Insomma: nostalgia del paradiso.

Tutta quella sete che abbiamo in cuore sarà saziabile solo lì. Tutto ciò che ci viene da desiderare è in fondo in fondo un vago riflesso di quella comunione perpetua, illimitata, infinita, che solo Chi ci ha creati può darci.

venerdì 10 dicembre 2010

Milagros

Ieri in tarda sera mi telefona un amico, emozionato e trafelato, per parlarmi di Lamberto: due settimane di coma per un'emorragia cerebrale e i medici che continuamente gli davano non più di tre ore di vita. Ora, dopo alcune settimane, quegli stessi medici non sanno come spiegarsi il suo recupero: telefona, cammina, fa le scale.

Da venti secoli ciò che scandalizza dei miracoli è che non sono come ce li aspettiamo (cioè magie con effetti speciali) e che non giungono a comando (cioè quando pensiamo di meritarceli).

martedì 7 dicembre 2010

Ancora su quella infinita sete

Tipica dinamica umana: l'accecamento da vizio capitale. Non riesce a rubarlo e perciò lo danneggia con furore. Non riesce a conquistarla e perciò la calunnia meticolosamente. Non trova pace e perciò s'inventa un passatempo da vantare come felicità ma... nei primi giorni non riesce a sostenere l'impegno e perciò sente l'urgenza di dire a tutti che è una colossale delusione.

Il nostro tipico limite è che abbiamo un tambureggiante desiderio di felicità in cuore e la mancanza più assoluta di mezzi per realizzarlo. Così ci si contenta delle più sbiadite immagini di felicità trovate a portata di mano e si decide di odiarle qualora risultassero irraggiungibili. Ma la sete è sempre presente, è invincibile, specialmente quando vengono raggiunte.

C'erano quei due, l'altra sera, abbracciati teneramente. Ma lo sguardo di lui era diretto altrove, nel vuoto (quanto dev'essere disarmante e seccante per una donna accorgersi che l'uomo che la sta abbracciando ha la testa altrove!) Lui era probabilmente uno di quelli pronti a dichiarare ad un notaio e in mondovisione «sono il più felice del mondo», ma quello sguardo perso, insoddisfatto, triste, accusante una “mancanza”, era lì stampato sul suo volto smarrito.

Torna in mente Cesare Pavese, quando dice che c'è una sola cosa peggiore del non riuscire a realizzare i propri desideri. È il realizzarli. Realizzare cioè quelle immagini sbiadite e accorgersi che quella sete in cuore tambureggia più che mai.

sabato 4 dicembre 2010

CairoMeeting

Mentre certi soloni ecclesiastici pontificano di dialogo ecumenico dall'alto delle loro cattedre e senza mai uscire dalle loro biblioteche, nel mondo reale e non virtuale avvengono eventi semplicemente inimmaginabili. Come il Meeting al Cairo, in Egitto, “figlio” del Meeting di Rimini.

Quando vedi qualcosa di grandioso, la prima idea è di mostrarlo a tutti gli amici, ai parenti, alla tua famiglia. Vorresti una cosa così anche a casa tua. Nel cristianesimo è sempre stato così: col centurione si convertì anche “tutta la sua famiglia”, aveva portato quel qualcosa di irresistibile nella sua casa, ai suoi più cari.

Un Meeting in Egitto: ci sono riusciti prima di Taiwan e Kazakhstan. «Sembrava impossibile...» titolano su Tracce[1]. Infatti il punto non è “chi ha detto cosa”, ma “come è stato possibile” che sia successo. E la spiegazione non piacerà nè ai giornalisti nè ai severi misuratori del Potere Politico di Cielle.


1) Sul numero di novembre 2010; gli altri articoli si trovano cercando Cairo su Tracce.it.

venerdì 19 novembre 2010

Fratelli. Da secoli.

“We condemn the attacks that have struck the Christians. They are our brothers and we have been living with them for centuries. I believe they are the victims of a terrorist organization, but I'm positive that Iraqi Muslims respect their brothers. We just worry that Christian will leave Iraq and then the Western world will have a negative opinion of Muslims in Iraq.”[1].
«Noi condanniamo gli attacchi che hanno colpito i cristiani, che sono nostri fratelli ed insieme ai quali abbiamo vissuto per secoli. Sono convinto che sono vittime di un'organizzazione terrorista, ma sono anche certo che i musulmani iracheni rispettano i loro fratelli. Siamo preoccupati dal fatto che i cristiani abbandonino l'Iraq e che perciò il mondo occidentale si faccia un'opinione negativa dei musulmani iracheni». (Sayed Hassan al-Husaayni, imam della moschea vicina alla chiesa della strage del 31 ottobre scorso).

«La partecipazione alle messe domenicali secondo le intenzioni del Papa e dei Vescovi è un gesto di comunione reale e di carità perché sentiamo come nostri amici i cristiani dell’Iraq, anche se non li conosciamo direttamente» (don Juliàn Carròn[2]).


1) Da Iraq's Christians Vow to Survive - with Muslim Help.

2) Da Preghiamo per i cristiani in Iraq, ufficio stampa di Comunione e Liberazione.

sabato 13 novembre 2010

Quando il cristianesimo si imborghesisce

La tua parrocchia potrebbe non essere una parrocchia se...
1. raramente (o mai) vi si sente pronunciare la parola “peccato”
2. e quando senti “peccato”, è solo per nominarlo in fretta o ridefinirlo come “sbaglio”
3. non ricordi l'ultima volta in cui hai sentito fare il nome di Nostro Signore in qualche messaggio
4. il messaggio di Pasqua non parla della Risurrezione ma di “nuove opportunità” nella tua vita per “voltar pagina”
5. nelle festività civili, si parla di quanto grande e importante sia il darsi da fare
6. negli altri fine settimana, si parla di quanto grande e importante sia tu
7. ci sono più avvisi che preghiere
8. la gente non canta durante le liturgie, ma assiste
9. le principali responsabilità del parroco non c'entrano con i sacramenti e l'insegnamento della fede
10. si spendono più soldi a pubblicizzare le missioni di quanti se ne mandino alle missioni stesse
11. la maggioranza dei gruppi parrocchiali riguardano sport e tempo libero, anziché catechesi e liturgia
12. ti senti sempre a tuo agio
13. l'appartenenza alla parrocchia sembra solo una faccenda di reclutamento di volontari
14. vedi gli altri fedeli solo la domenica mattina in parrocchia
La citazione qui sopra proviene dal blog di un pastore protestante (credetemi, non è un parroco cattolico ma un pastore luterano, nonostante i tratti del volto e il collarino a linguetta). Nel tradurre mi sono preso alcune licenze poetiche: ho tradotto church con “parrocchia” e ho adattato America, video, Scripture, così che quei quattordici punti scritti da un luterano per lamentarsi della sua chiesa diventano improvvisamente adeguati[1] per descrivere l'imborghesimento di tante parrocchie cattoliche italiane dove la fede è stata sostituita da un moralismo.


1) Tranne il punto 12 qualora volessimo riferirlo alla liturgia.

mercoledì 3 novembre 2010

Michael O'Brien incontra Eugenio Corti

In un incontro con membri del governo ed importanti giornalisti ho saputo che la libertà di stampa lì in Polonia è diminuita drasticamente e rapidamente: tutti i loro media laici sono pesantemente influenzati da oscuri interessi e da una nuova polizia segreta ricostituita per lo più da vecchi comunisti e nuovi eurocrati. Solo la Radio Maria polacca e dei piccoli giornali cattolici continuano a rendere conto della vera situazione della terra polacca e perciò subiscono un continuo fuoco propagandistico da parte del potere. È stata una scoperta scioccante e mi è stata confermata più volte da osservatori seri durante i miei viaggi [di questi ultimi mesi]. La dittatura del relativismo di cui parla il Papa ha molti aspetti, ma il più ingannevole è quello del liberalismo “illuminato”. Sotto tale “liberalismo” c'è un'agenda decisamente alleata alla cultura della morte, dotata di potere e di ricchezza. Nel nord America ed in molti paesi occidentali c'è la stessa dinamica in opera sotto vari travestimenti.

Un giorno, a Milano, ho avuto la fortuna di far visita al grande scrittore italiano Eugenio Corti, autore del romanzo Il cavallo rosso. Questo genio di novant'anni, fragile come la carta velina, dimostrava invece il cuore di un leone ed una mente lucida e cristallina. Ero commosso nell'ascoltare dalla sua stessa voce le stesse domande che hanno scosso quarant'anni della mia vita spirituale. È di una generazione più anziano di me e la sua battaglia continua da più di sessant'anni. Nel congedarmi mi ha detto: «Stiamo combattendo una grande guerra. Tienti stretto, per qualsiasi cosa, alla mano di Gesù».
(mia traduzione di parte della newsletter di Michael O'Brien del 3 novembre 2010)

martedì 2 novembre 2010

Frattaglie / 7

Definisconsi frattaglie i pensierini sparsi di un anonimo ucciellino durante i suoi faticosi svolazzamenti quotidiani, annotati frettolosamente e disordinatamente nella memoria SMS del cellulare prima che le preoccupazioni li sommergano nell'oblio.

Tornando a casa ascoltavo nel vecchio fido iPod il canto Il testamento del capitano mentre davanti ai miei occhi scorrevano i soliti insulsi cartelloni pubblicitari: ho così avuto una ancor più netta impressione di quell'antica società (descritta dal canto) di uomini per i quali contava la lealtà, l'onore, la fedeltà, la serietà. Nei cartelloni pubblicitari, eccellenti descrittori della mentalità della nostra epoca, si elogiavano invece (con generosa dose di malizia e con ricercata eleganza) disvalori quali l'infedeltà, la leggerezza, la distrazione, l'individualismo più gretto (l'industria pubblicitaria con gran perizia stuzzica ciò che c'è nel fondo più oscuro dell'anima macchiata dal peccato originale). Il testamento del capitano è un canto di un'altro mondo e di un'altra epoca, un'epoca in cui era ancora chiaro che l'anima va elevata anziché narcotizzata.

Ogni tanto ancora mi sorprendo su quanto meticolosa sia la preparazione di una donna prima di uscir di casa. Giacchina, scarpine, borsettina, anellini, sciarpina, ciondolino, gilettino, orecchini (scusate, punti luce: e io che associavo tale termine solo agli impianti elettrici)... Nella società che ha trasformato la donna in un oggetto, molte donne finiscono per pensare che l'unico modo di emergere è trasformarsi in oggetti di lusso.

“Cristianità” è quando si costruivano cattedrali senza CAD, senza computo metrico, senza burocrazia, senza assemblee sindacali... cioè quando l'opera dell'uomo doveva piacere anzitutto al suo Creatore (solo così si spiegano i tanti fregi e abbellimenti eseguiti con la massima perizia, sparsi in punti invisibili all'occhio umano e che spuntano fuori dopo secoli durante qualche restauro). Osservando basiliche e cattedrali delle epoche che ci hanno preceduto, vien da esclamare che la peggior condanna della società moderna è data dalla sua... architettura.

«Quanto sarebbe stato bello vincere» recita un'altra pubblicità invogliante (in questo periodo di crisi) a gettar via soldi per comprare illusioni.

lunedì 1 novembre 2010

Il segreto degli ordini religiosi

Un amico che ti dice: «Sono stupito da quanto i vostri superiori abbiano a cuore la vostra vita in comune, accompagnandovi fino nei dettagli».[1]

Questo è sempre stato il segreto (oggi dimenticato quasi ovunque) della vita consacrata: i superiori che “hanno a cuore” la tua vita. Fraternità in atto, non in pianificazione.


1) Un'unità contagiosa, sul sito web della San Carlo.

sabato 30 ottobre 2010

Sono iscritto, dunque esisto (e potrei perfino vantarmene)

“Noi ti offriamo la lotta”, recita pomposo il cartello cercando di risvegliare (testuale) “la tua voglia di lottare”.

Proprio così: la voglia di lottare. Solletica una voglia.

Ma se ti fermi un attimo a riflettere ti chiedi: la lotta a chi e a che cosa? E perché e come? Se metti da parte la voglia di far qualcosa e ti fermi a riflettere, la prima impressione nel vedere quel cartello è che qualcuno stia gridando “voglio esistere!” e che stia cercando altri vogliosi di gridare la stessa cosa, in modo da non sentirsi solo[1]. “Noi ti offriamo la lotta”: ecco, potrai finalmente avere la certezza di esistere, perché potrai pensare: “lotto contro qualcosa, dunque esisto”.

L'associazionismo moderno (anche quello non politicheggiante) è quasi tutto riducibile a quello slogan: lotto contro qualcosa, dunque esisto (vi prego, accorgetevene! qualcuno si accorga che io esisto! almeno qualcuno, su, dai! da un sacco di tempo sto gridando che esisto ma nessuno se ne accorge!)

Tanto, troppo associazionismo oggi è generalmente un pullulare di piccole tifoserie fai-da-te, un “noi contro loro”, un “buoni contro cattivi”, un “belli contro brutti”, un “noi contro il resto del mondo”, un “noi promuoviamo e il resto del mondo colpevolmente ignora”. Non hanno altro da offrire che la “lotta”, ossia un impegno che viene ricompensato anzitutto con la possibilità di vantartene con qualcuno[2].

Mi figuro il giovane che guarda con ammirazione e trepidazione il cartello, cercando dentro di sé la voglia di “lottare” per verificare con entusiasmo la compatibilità[3]. Ma vedo la signorinella sognante davanti alla vetrina del negozio di scarpe mentre fantastica di quel bel paio ai suoi piedi ancor prima di sapere se è la sua taglia. Hanno in animo lo stesso fascio di emozioni, sebbene indirizzate verso due cose diverse.


1) C'è chi si contenta di un gruppo Facebook e chi invece fa le cose più in grande stile.

2) Per questo esistono tante associazioni che offrono la lotta a favore di ottime cause ma con risultati assai sproporzionati rispetto alle forze e risorse investite.

3) Sono tutti bravissimi ad inventare una ragione per una lotta che hanno già iniziato.

giovedì 28 ottobre 2010

La religione del pallone

«Per voi una semplice partita, per noi uno stile di vita», recita la scritta fatta con lo spray.

Lo stile di vita è guardare le partite: attenzione, non siate così tonti da sottovalutarle, non sono mica una “semplice” cosa! Voialtri non credenti non avete la fortuna di sapere che celebrazione grandiosa sia una partita.

L'attaccante è il celebrante, i centrocampisti sono i diaconi e accoliti, i difensori sono i ministranti. Gli spettatori e le spettatrici[1] seguono ogni minuto con attenzione, trepidazione, raccoglimento, actuosa participatio. E quando l'attaccante-celebrante consacra il goal, elevando un pallonetto nell'angolino della porta, tutti esultano entusiasti prorompendo in canti di gioia.

Il pallone è una religione esigente: «Ultras lo si è nella vita, non solo nella partita», recita un'altra scritta con lo spray. Eh, sì: esistono anche qui i “credenti ma non praticanti”, per cui qualcuno più fervoroso si è incaricato gentilmente di scriverlo sui muri per ricordare a tutti che non bisogna limitarsi alla celebrazione domenicale. E cosa dovremmo dire di quelli che dicono “non ho tempo” di seguire le partite nelle festività comandate?

Non scandalizza molto che per poche decine di minuti di celebrazione calcistica i celebranti guadagnino montagne di soldi mentre i semplici fedeli non solo non guadagnano nulla, ma si dissanguano per pagare biglietti per lo stadio, abbonamenti alle partite in TV, costi per le trasferte, un'infinità di gadget... Un buon giocatore-celebrante può costare in un anno quanto mille anni di stipendio di un fedele ma è raro veder imprecare qualche fedele (anche solo bonariamente) contro i propri beniamini, attraverso i piedi dei quali avviene la transustanziazione dallo zeroazero all'unoazero. Poco importa quanto guadagnino, poco importa che “lavorino” solo poche decine di minuti alla settimana: importa solo che preservino l'unica fede e mantengano l'ortodossia.

Il termine unica fede è utilizzato da moltissimi credenti del pallone: non avrai altra squadra di calcio al di fuori di me. Per cui è naturale deridere l'avversario. «Irriducibili», si qualificavano con lo spray alcuni credenti, «irriducibili conigli» correggeva una mano anonima di un credente di un'altra religione. Colui che ieri era il benefattore supremo, il celebrante-goleador, nel momento in cui tradisce la squadra-chiesa e passa scismaticamente ad un'altra squadra, subito diventa «merda». La fede non ammette dubbi, figurarsi i tradimenti.[2]


1) Sì, ho letto anche una scritta spray inneggiante alla «Femminilità Ultras». Penso anche che la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport ne abbia tenuto conto.

2) Curioso questo mondo dove lo spettacolo di alcuni uomini scalcianti palle provochi più momenti intensi della celebrazione dei sacramenti. Ciononostante i sedicenti atei guardano con sdegno e disappunto la Chiesa.

mercoledì 27 ottobre 2010

Frattaglie / 6

Vuoi «tutelare i tuoi diritti?» chiede la pubblicità. Ma il destinatario capisce benissimo il sottinteso: «vuoi tutelare la tua arroganza?»

Un altro dei tanti aspetti della crisi della Chiesa cattolica è il proliferare di attività tutte con lo stesso nome. È tutto un noioso coacervo di Effatà, tutto Emmaus, tutto Bethlem... Centro Emmaus, gruppo Emmaus, campo Emmaus, iniziativa Emmaus... tutti uguali nel loro conformismo biblicheggiante. Quella parte di Chiesa che “si vergogna di dire chi è Cristo” finisce per appiattirsi sull'ineffabile pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport[1].

Un'icona della nostra epoca moderna: il compact disc piratato gettato via dal finestrino sulla strada statale.

«Voglio provarle tutte!» L'insaziabile sete di infinito: il bambino che piange perché è ora di andar via senza essere riuscito a provare tutte le altalene presenti al parco. Ma se ci fosse riuscito, il parco gli sarebbe diventato drammaticamente meno appetibile. Non gli basterebbero tutte le altalene di questo mondo. Non gli basterebbe la vita intera per provarle tutte. L'unica cosa che c'è nel fondo del cuore di ogni uomo, fin da bambino, è un desiderio tanto tambureggiante quanto umanamente irrealizzabile.


1) Sarà il tormentone di questo blog per i prossimi mesi.

martedì 26 ottobre 2010

Frattaglie / 5

Per una definizione di noia: osservare la quantita' di persone che decidono di innamorarsi perdutamente delle uniche cose esotiche che conoscono. Come la gentile signorina di ieri con quelle robette orientali di cui aveva avuto notizia per caso su un depliant in treno qualche anno fa.

Distinguiamo due mentalità. C'è quella in cui prima si osserva il bisogno e poi si cerca di costruire una risposta. E c'è il suo opposto: prima si fabbrica una risposta e poi si tenta di fabbricare la domanda oppure di adeguarvi con forza altre domande. Certuni sembrano voler gridare: «No! Non può non esistere una domanda per la risposta che io ho deciso di costruire!»

Pubblicità: «lui ti dirà: non ti avevo mai considerata da questo punto di vista». Lei vuole essere sempre nuovamente considerata, sempre da qualche nuovo “punto di vista” che non sa neppure immaginare. E così guardava sognante la pubblicità sul giornale che le prometteva finalmente qualcosa del genere. Basterà comprare l'apposito prodotto e la vanità (scusate: il sogno) sarà assecondata.

“Finalmente ho un nemico da combattere, finalmente sono un uomo! Combatterò l'islam e il comunismo, così capiranno tutti che sono cristiano”. Sacrosante cause ma il cristianesimo non è una sommatoria di anti-qualcosa. Il motore che spinge certuni (talvolta perfino sedicenti cristiani) ad essere anti-questo e anti-quello è sempre lo stesso: la vanità.

lunedì 25 ottobre 2010

Frattaglie / 4

La copertina del numero di settembre parlava di “cose grandi”, con la foto di due che improbabilmente si riappacificano. Una foto scattata e mostrata da chi sinceramente si ostina ad aver speranza di “cose grandi”. Mentre la osservavo non riuscivo a liberare la mia testa dai soliti problemi che asfissiano le giornate: il lavoro, la famiglia, la salute... Per un attimo ho indirizzato al dialogo ecumenico questo gentile pensiero: «ma và a caghèr!» Sebbene anch'io desideri che i cosiddetti ortodossi rientrino in comunione con Pietro, ho purtroppo problemi più urgenti: al mattino, lo dico francamente, il mio primo pensiero non è per il dialogo e nemmeno per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport.

Il moralista s'è scandalizzato che il prete, cinque minuti prima di andare a celebrare messa, ha preso un caffè[1]. Il moralista si contenterebbe delle apparenze, e non contemplava il caso che quel caffè fosse utilizzato a mo' di medicinale.

Utilizzo il termine “moralista” come dispregiativo. È una scelta ponderata. “Legalista”, infatti, lascia l'immagine di uno che si contenta del rispetto (fiscale) di leggi esistenti. “Fiscale” lascia l'immagine di uno ostinato a misurare. “Puritano” lascia l'immagine di uno fissato col sesso. “Borghese” sembrerebbe uno talmente chiuso nelle sue piccinerie che talvolta sarebbe disposto a fare eccezioni. No, il “moralista” è peggio di tutto questo. Il moralista è pronto a stracciarsi le vesti per qualsiasi cosa, è pronto a fare la morale a chiunque (presente o assente), è pronto a cercare il pelo nell'uovo, ha sempre da protestare.

In fila per la Comunione mi trovo alle spalle di un giovanottone con una scritta in inglese sulla felpa. Per sua sfortuna, conosco un po' di inglese: la scritta inneggiava brutalmente al sesso e alla violenza. Uno abbigliato così va a fare la Comunione. Un moralista se ne sarebbe scandalizzato, ma in giro non c'erano moralisti (o almeno, non ce n'erano che conoscessero la lingua inglese). Io invece riflettevo su quanto passivamente assorbiamo simboli, miti e riti stranieri. Sempre meno identità, sempre minor condivisione di un destino.

Ultima frattaglia di oggi: c'è un tipo di moralisti-puritani adeguati all'era moderna: vogliono rispettare la Natura in tutto... tranne per ciò che riguarda il sesso.


1) Osservare il digiuno eucaristico (anche se limitato a soli sessanta comodi minuti) è diventato arduo, di questi tempi di caffè, gomme da masticare, merendine, caramelle, snack, mentine...

venerdì 22 ottobre 2010

Felicità immaginata

Siamo talmente avidi di felicità che corriamo come matti assatanati da chiunque ce ne venda un'immagine, per quanto approssimativa e falsa essa sia.

Spesso accade senza rendercene conto (o addirittura risentiti quando qualcuno ce lo fa notare), ma non di rado anche quando ne riconosciamo l'evidente inganno.

Questo è il principio fondante sia dell'industria pubblicitaria che del gioco d'azzardo, sia dell'industria finanziaria che della pornografia, dell'alcolismo, della droga... Che evidentemente condividono lo stesso DNA: vendere sogni a chi desidera la realtà.

Per sfamarci non basta una foto di un piatto di agnolotti, tanto meno un disegno, ancor meno la scritta “agnolotti”. Riusciranno al più a far diventare ancor più nera e lancinante la fame.

Pur sapendo che non è il disegno di un bicchier d'acqua a dissetarci, generalmente dimentichiamo molto in fretta la lezione, ripetendo con entusiasmo e convinzione gli slogan del principe delle tenebre: “questa volta mi sento fortunato”, “facciamo solo un'ultima eccezione”, “ma che c'è di male?”, “io sono liberissimo di scegliere e nessuno deve giudicarmi”.

martedì 19 ottobre 2010

Rendere attraente il cristianesimo

Flannery O'Connor: «Quando ti chiedono di rendere il cristianesimo allettante, ti stanno chiedendo di descriverne l'essenza, non quello che vedi tu».

Antonio Gramsci: «Per attirare (curiosa espressione davvero) i giovani, basterebbe che i circoli cattolici ne rappresentassero una necessità dello spirito...»

Benedetto XVI: «Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attraente sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri».

Don Giussani: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

lunedì 18 ottobre 2010

Domande mal poste

Mi capita talvolta di dire che l'appartenenza a CL rende più gustosa la vita. Non per tifoseria, bensì per prolungata constatazione[1]. Ma sta proprio qui il problema, perché certuni subito han da ridire: c'era davvero bisogno del movimento per ravvivare la Chiesa?

La domanda è mal posta. Quando dico “CL”[2] non ho in mente una struttura ma la santità di chi l'ha involontariamente generata[3]. A furia di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, don Giussani si è ritrovato circondato da un popolo.

L'autenticità di un carisma si vede anche dal fatto che non inventa niente. Per paradossale che possa apparire ai profani, quanto più si torna agli elementi originali del cristianesimo tanto più si è “allettanti”[4]. Coloro che cercano di rendere attraente il cristianesimo stanno implicitamente affermando che senza la loro magica ricetta[5] la fede non sarebbe abbastanza viva. Anche quando siano mossi dalle migliori intenzioni.

Ritornare agli “elementi originali” è inevitabilmente un ritornare alla Tradizione, da intendere quella con la T maiuscola, che non è banalmente riducibile all'armamentario monsignorile in uso negli anni Cinquanta[6]. Infatti non c'è niente di più incredibile della risposta ad una domanda che non si pone. Il cristianesimo non è un sistema dottrinale/liturgico/assistenziale calato dall'alto sugli uomini, come si ostinano a vagheggiare coloro che non vogliono prenderlo seriamente in considerazione. Il cristianesimo non arriva su una domanda che non si pone. Al contrario. Ed è una risposta talmente vera che illumina anche la domanda, la domanda più profonda del cuore dell'uomo, la sua sete di felicità. La risposta è Cristo.

Per questo dico anch'io che il cristianesimo vissuto in maniera autentica è quanto di meglio possa capitare ad un'anima pellegrina in questa valle di lacrime. Non vale solo per i santi: vale persino per la gente semplice come noi.

In tempi di crisi, di ottundimento, di relativismo, di confusione, ho (abbiamo) trovato in CL qualcosa che fa andare agli aspetti più essenziali (e perciò più affascinanti e coinvolgenti) del cristianesimo. Mentre altri si affannano a fabbricare o a “riscoprire” (cioè fabbricare) orpelli per adeguare Cristo ai tempi moderni, il don Giussani faceva leva sulle attese più concrete della nostra umanità[7]: una “pedagogia” inaugurata proprio da Nostro Signore in persona.


1) Don Carròn era “pienamente d'accordo” con don Giussani, finché... «Avevo già letto qualche testo di don Giussani, ero pienamente d’accordo con lui, ma non vedevo nessuna particolare novità. È stata invece la partecipazione alla vita del Movimento, la lettura dei suoi scritti dall’interno che mi ha permesso di avere un’esperienza della vita come quella che sto descrivendo…» (su Tracce di ottobre 2010).

2) Gli aderenti a Comunione e Liberazione si possono sommariamente classificare in tre categorie: quelli che non hanno ancora capito niente (e perciò lo indicano col nome ufficiale o con la sigla “CL”), quelli che hanno cominciato ad apprezzarlo (e perciò dicono “il movimento”, senza specificare altro), e quelli che non ne possono più fare a meno (e perciò dicono “i miei amici”, o “un grande”, o locuzioni del genere). Sebbene io faccia parte di quest'ultima categoria, devo purtroppo utilizzare la sigla “CL” sul blog che altrimenti risulterebbe incomprensibile ai non addetti ai lavori.

3) Don Giussani: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

4) Flannery O'Connor: «Quando ti chiedono di rendere il cristianesimo allettante, ti stanno chiedendo di descriverne l'essenza, non quello che vedi tu».

5) La magica ricetta può anche essere travestita di antichità: archeologismi e “recuperi” bizzarri, però, alla prova dei fatti si dimostrano non meno banalizzanti delle messe-beat, clown, tamburi e balletti. Uno dei termini che più mi hanno fatto ridere è “danza liturgica”, proferito da una persona che seriosamente aggiungeva: «anche re Davide danzò per il Signore».

6) I nostalgici del ferraiolo e delle scarpe a fibbia vorranno legnarmi per bene. Ma avranno da ridire anche quelli che riducono la Tradizione ad un elenco di documenti e di consuetudini liturgiche.

7) È straordinario osservare come le domande più essenziali vengano sempre televisivamente trasformate in qualcosa d'altro: sogni, istintività, distrazione.

domenica 17 ottobre 2010

Un dottorato all'estero? Poco incisivo. A meno che...

Per me è stato decisivo cominciare a partecipare alla vita del Movimento ed entrare in contatto con la sua proposta educativa. Io, con il mio dottorato conseguito all'estero, non riuscivo a far smuovere di un millimetro i miei alunni dalle loro posizioni, perché insegnando non ero abbastanza incisivo. Ma quando ho cominciato a confrontarmi con la realtà – in questo caso, con le mie lezioni – come mi proponeva il Movimento, ho incominciato ad avere una libertà e una capacità di sfidare i ragazzi che prima non possedevo. Non avevo imparato chissà quali cose nuove, ma un nuovo modo di vivere nella realtà che prima non avevo. E come lo vuoi chiamare altrimenti? È evidente che è successo qualcosa che ti ha cambiato la vita. E proprio tu sei il primo a sorprendertene.[1]
Tutto (da un colpetto di tosse a un dottorato all'estero) diventa fatica sterile se non c'è quel “qualcosa”.


1) Don Julian Carròn, su Tracce di ottobre 2010.

venerdì 15 ottobre 2010

Frattaglie / 3

Un crocifisso d'oro. Era circondato da una folta peluria che copriva irregolarmente il petto abbronzato, mentre sull'avambraccio campeggiava un tatuaggio di un animale mitologico in assetto minaccioso. E i capelli bianchi e l'aria da duro a completare il quadro. Un'icona del nostro tempo, insomma: un Gòlgota di ignoranza e stupidità su cui campeggiava, banalizzato, quel crocifisso d'oro[1]

In un film-tv una delle protagoniste non trova il coraggio di comunicarsi. Chiede al prete un incontro: intende confessarsi. Ricorda più tardi ad un altro protagonista che il segreto confessionale è assoluto. Sì, saranno stati tutti concetti di catechismo, ma il modo in cui venivano recitati dai doppiatori italiani li faceva suonare terribilmente fastidiosi. La donna che intendeva confessarsi sembrava incarnare la solita ipocrisia di chi ha bisogno di mostrare agli altri di essersi liberato di un peso. Il prete sembrava un addetto pacioccone all'assistenza psicologica per vecchiette. I concetti di catechismo (che se presentati con onestà farebbero tremare il cuore a tanta gente) sembravano solo uno dei tanti legalismi in circolazione. Rappresentare il cristianesimo è un'arte particolarmente difficile: solitamente si riesce solo ad essere banali e noiosi.

Trovo un altro film che per incutere paura presenta il demonio. Stavolta è sotto le spoglie di uno spaventapasseri. Ma quel che mi colpiva di più era l'affettata religiosità dei protagonisti: anche qui, fatta salva la possibilmente poco eccelsa qualità del doppiaggio, appariva evidente che la fede doveva essere presentata come un orpello inutile, di cui si fanno carico solo alcune anime particolarmente vogliose di “qualcosa di religioso” da appiccicare alla propria vita. Qualcosa da cui i sani stanno alla larga. L'arte del diavolo (quello vero) è di trasformare la fede in un legalismo idiota per malati mentali.

Parliamo ancora di preti. Un'amica atea mi rimprovera perché il curato, per benedire il matrimonio della sorella, esigeva un'offerta che le sembrava spropositata (cioè pressappoco l'equivalente di tre invitati in più al ricevimento che sarebbe seguito dopo la Messa): per il ricevimento, l'abito nuziale ed il viaggio di nozze si spendono cifre oscene, ma sull'offerta a colui che benedirà il matrimonio e farà ripulire la chiesa dopo il passaggio della tribù dei selvaggi nessuno resiste alla tentazione dell'avarizia. E alla tentazione di prendersela con il primo cattolico che capiti a tiro.

A gran voce pretendono che i preti siano poveri: “per dare l'esempio”, dicono. Esempi che si guardano bene dall'imitare: “non sono mica prete, io”. C'è un inequivocabile fondo di odio in quell'urlo ipocrita “devono dare l'esempio”: sottintende infatti il desiderio di impoverirli, annichilirli, distruggerli. Per rovinare il fegato a tanta gente basterebbe mostrare in uno di quei soliti telequiz truccati un prete che vince centinaia di migliaia di euro e poi, intervistato, affermare: “comprerò calici, pianete, candelieri, cartegloria e un tabernacolo ottocentesco colossale”.


1) E io che recitavo il rosario con una corona di spago e plastica...

mercoledì 13 ottobre 2010

Superman il "messia"



Superman returns è un film dai tratti religiosi[1]. Le vicende umane sono l'ossatura del film; c'è poca azione, quasi tutta concentrata nella scena iniziale e nella lunga sequenza finale. Le ottime musiche e le lunghe scene di silenzio la fanno da padrone.

Il supereroe Superman fu creato da due ebrei[2] che intesero dargli i tratti del Messia che si aspettavano: incapace di mentire, fortissimo e invincibile, giustiziere che lotta contro il male (sia contro il crimine, sia contro gli incidenti), pronto ad ascoltare la voce di chi gli chiede aiuto, capace di emozioni (innamorarsi, provare compassione), per il quale il supremo dovere (la Legge) viene prima di tutto.

All'inizio, dopo aver salvato i malcapitati dell'aereo usa perfino la delicatezza di entrarvi dentro e chiedere: «state tutti bene?» (non lo fa solo perché c'è Lois: questa delicatezza la rivedremo altre volte durante il film).

La sua presenza raccoglie applausi oceanici, la prima volta che appare in pubblico è riconosciuto subito da tutti, semina gioia e conforto con la sua sola presenza. Proprio come un Messia tanto atteso.

Quanto alla morale, curiosamente non ha nulla da ridire sulla convivenza di Lois (con quella «persona perbene» di Richard), tanto meno sul figlio illegittimo (di cui il film abilmente gioca a seminare indizi contrastanti), ma sulle sigarette[3].

Anche l'osservazione che l'aereo che «statisticamente, comunque, resta il modo più sicuro di viaggiare»[4], al di là del fatto che è fondata, al di là del fatto che viene espressa per rassicurare, è in fin dei conti un moralismo[5], confermato da quell'annuire ansiosamente con la testa come da scolaretta scoperta a copiare dalla vicina di banco.

I cattivi non sono cattivissimi in assoluto: Brutus, prima di morire, mostra che non è affatto insensibile alla musica; lo stesso Lex Luthor rende allegri i giorni della vecchia Gertrude (interessato all'eredità come gli altri parenti, ma in fin dei conti più umano di loro).

Il tratto più religioso in assoluto è quando Superman dice: «tu hai scritto che il mondo non ha bisogno di un salvatore, ma ogni giorno sento gente che piange e che lo invoca».

Superman però non è Gesù Cristo, non ne ha i tratti.

Anzitutto perché è un Messia triste.

Triste sia per il suo tratto assai sentimentale (l'innamoramento non corrisposto e l'impossibilità di realizzarlo anche nel caso in cui fosse pienamente corrisposto), sia per il suo stile non troppo divino (la coscienza dell'incapacità di far fronte ad ogni problema esistente sulla Terra).

Superman è un «messia» ma non è divino. Ha poteri pressoché divini, ma li usa come un uomo[6]. E si rende conto anche di questo limite, ma gli è impossibile fare qualcosa di diverso, è ancora “troppo umano” (durante le uscitine con la Lois non sta certo risolvendo i problemi dell'umanità come suo solito[7]).

Superman appare pertanto buono solo per essere «re» degli uomini e per “salvarli” risolvendo i loro guai. Mi dà l'idea di essere un messia Messia-tappabuchi.

La tristezza del “messia Superman” in realtà ricalca il sentimento ebraico nei confronti del Messia tanto promesso e tanto atteso, e tuttora (secondo loro) ancora non venuto[8].

Il messia-Superman viene ferito, ma torna ad essere lo stesso di prima nonostante la ferita[9]: l'esatto contrario del messia Gesù Cristo, che opera la redenzione attraverso il suo stesso sacrificio e il suo stesso sangue.

Gesù Cristo è «vittima, altare e sacerdote». Quel Superman, invece, è solo “messia” e postula la necessità di una vittima, di un altare e di un sacerdote. Superman – in particolar modo in questo film – è pertanto la rappresentazione di un messia così come viene desiderato (piuttosto di come invece potrebbe essere offerto): cioè un “eroe liberatore”.


1) Il film è del 2006, cioè di molti anni dopo la morte dei creatori del personaggio (che vide la luce nel 1934).

2) Jerry Siegel (figlio di immigrati ebrei lituani, americano) e Joe Schuster (di famiglia ebraica, canadese).

3) Superman parla contro le sigarette in quanto sigarette, ma detesta Richard in quanto rivale in amore, non in quanto “convivente non sposato”.

4) Dopo l'11 settembre 2001 il filone cinematografico di catastrofi a base di aerei si sta adeguando alle necessità del mercato.

5) Non so se avete presente quei film americani degli anni Cinquanta, nelle cui trame venivano inserite vere e proprie «catechesi» religiose e lezioni di galateo (che poi nella mentalità protestante sono pressoché la stessa cosa).

6) A cominciare da quando origlia le conversazioni riguardanti Lois.

7) Sembra quasi un'apologia del celibato ecclesiastico.

8) Fino ad oggi, la storia ebraica contiene numerosi casi di falsi messia, i primi dei quali documentati già negli Atti degli Apostoli, e fu a causa delle continue ribellioni organizzate da sedicenti messia che i Romani distrussero Gerusalemme tra il primo e il secondo secolo. L'ebraismo di oggi non è identico a quello di venti secoli fa, ma per fortuna non è questa la sede dove discuterne (o dove commentare l'espressione di papa Pio XI: «noi siamo spiritualmente degli ebrei»); in questa pagina ho voluto solo buttar giù alcune impressioni dopo aver visto il film.

9) Basterà il bacio di una donna, un po' una versione maschile di Biancaneve.

lunedì 11 ottobre 2010

Frattaglie / 2

Questa Chiesa ha bisogno di rudi guerrieri, non di melensi amministratori.

La lettera uccide, lo spirito vivifica: gli atei odiano non il Dio uno e trino, ma il moralismo. Hanno cioè un'idea sbagliata su Dio e pertanto odiano con tutte le forze tutto ciò che è legato a quell'idea: al fondo c'è un equivoco, che spesso viene coltivato e conservato solo per coerenza, per la vergogna di dover ammettere: “ho speso tante energie per lottare contro un cristianesimo e una Chiesa che esistevano solo nelle fantasie mie e dei miei compagni di partito”.

Certe volte un pizzico di moralismo può perfino produrre risultato (da male minore da preferire ad un male maggiore, s'intende). Il giovanotto va il sabato dalla morosa e poi la domenica a messa, ma... ah, quel penoso sacramento della riconciliazione incombe! Perfino il fastidio del confessare certi peccati è stato involontariamente educativo, poiché alla lunga (speriamo il più spesso possibile) ha suscitato la domanda: “perché?” e suggerito che la risposta è assai più liberante della cosiddetta “libertà”. Ossia, per effetto della grazia attraverso vie bislacche, il moralismo è stato sostituito dalla ragione e dalla fede.

Sono sorprendenti certe analogie della burocrazia nel mondo del lavoro e nel mondo ecclesiale.

Con quanta nonchalance certuni dicono cose come: “poi al regginacèli”... Sono nomi che al solo sentirli nominare verrebbe da piangere di gioia e che invece vengono utilizzati come sigle anodine e insignificanti: “domani invece è all'esse effe pi”.

Nel vedere per la prima volta quella suorina si aspettano una somministrazione di dosi di “suorismo” e pertanto restano infastiditi e stupiti dal notare che ha un carattere tutt'altro che fiorellini e preghierine sdolcinate. È difficile far capire la realtà a chi è profondamente innamorato dei propri pregiudizi.

Il perverso meccanismo del “vedo, dunque voglio”: non gli importa come sia stato aggiustato il giocattolo - gli importa solo romperlo di nuovo. Non gli importa che la commessa non sia uno degli articoli in vendita in vetrina: vuole comprarla e basta.

sabato 9 ottobre 2010

Frattaglie / 1

Trascrivo qui diversi spunti che non ho tempo di sviluppare in “post”.

La settima di Beethoven regge benissimo all'urto del tempo. La musica contemporanea regge invece qualche mese, qualche anno al massimo. L'incompiuta di Schubert è perfettamente attuale, le canzoni della scorsa estate quasi non le ricordiamo più. Dicono di essere appassionati di musica: li vedi cioè ascoltare amorosi e compunti quelle canzonette da coatti, con un fervore ed un abbandono che sanno di liturgico. Liturgia borghesotta, gregoriano de' noantri. “Mi aiuta a star bene”. Il gregoriano risveglia il cuore, le canzonette lo narcotizzano.

Furente il prete durante l'omelia: “voi venite in ritardo alla messa perché non amate la messa!” Macché! Noi il sacramento lo amiamo (semmai è quell'omelia feriale che ci va poco a genio). E il ritardo alla messa vespertina è dovuto al capoufficio...

La forza dei tabù (specialmente quelli teologici) sta nel fatto che i loro contorni sono confusi. Quando non addirittura confusi di proposito. Un misterioso alone circonda il Dogma Laico del Sacro Aborto: non si sa quanto costa (1500-2000€ dei contribuenti per ogni infanticidio), non si sa quanto è diffuso (oltre undicimila bambini innocenti trucidati ogni mese prima che riescano a nascere), non si sa quanto è vicino (eppure ci passiamo in auto ogni giorno, davanti alla struttura “sanitaria” specializzata nella strage degli innocenti). Contorni confusi e misteriosi che gli Oracoli Ufficiali si guardano bene dal precisare.

Anime accecate che urlano: “è un mio diritto!” Con maggior coerenza ed esattezza dovrebbero invece dire: “è una possibilità che non voglio lasciarmi scappare”. Il demonio prepara le possibilità, che certuni tentano in ogni modo di sfruttare, e molti altri invece si limitano ad idolatrare. Come quelli che in vita loro non avrebbero mai abortito, ma lottano per il Sacrosanto Diritto di uccidere bambini prima che vengano alla luce.

C'è una miriade di “piccoli miracoli” che accadono e che non vediamo: siamo circondati dalla grazia ma siamo talmente habitué da non farci caso. L'indifferenza di fronte al miracolo della nascita di una vocazione (c'è, qualcuna c'è) o dei peccatori che si pentono sinceramente (ci sono, ci sono) è peggio di una pugnalata.

Le società che non vivevano di sogni non avevano bisogno di droga.

martedì 5 ottobre 2010

Un'altra scaramuccia nella guerra della liturgia



Striscione esposto a Palermo durante la visita del Papa di domenica scorsa. La Curia, su tutte le furie, ha chiesto alla Polizia (invano, Deo gratias!) di farlo rimuovere. La TV vaticana è riuscita a non inquadrarlo mai.

La Chiesa è sempre stata perseguitata a causa della sua stessa esistenza. Ma la persecuzione più accanita la subiscono (anzitutto dall'interno della Chiesa) coloro che sono anche soltanto sospettati dell'orribile crimine di amare la Tradizione, in particolar modo in campo liturgico. La vera guerra in corso è infatti sulla liturgia.

«La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia».

domenica 3 ottobre 2010

La verità è diventata «inaccettabile»

«La storia della filosofia si divide in due periodi: nel primo si cercava le verità; nel secondo si è lottato contro di essa. Questo secondo periodo, che ha in Cartesio il geniale precursore e in Heidegger una manifestazione deteriore, comincia la sua fase di piena attività con Hegel»[1]
Per questo non c'è da meravigliarsi che oggi il tipico criterio di giudizio non è la verità ma l’accettabilità. La distinzione fondamentale non è fra tesi vere e tesi false, ma fra tesi accettabili e tesi “inaccettabili”.[2]


1) Citazione da Jean-François Revel, La conoscenza inutile, Longanesi 1989, pag. 350.

2) Da Dum Volvitur Orbis.

giovedì 30 settembre 2010

Che bello, una raccolta firme!

Sono talmente convinto dell'inutilità di raccolte firme e petizioni, che quando trovo una petizione contro CL mi affretto subito a firmare (tranne ovviamente quei rari casi in cui io sia riconosciuto come ciellino).

Non contento di firmare, esibisco il più ampio sorriso e mi complimento con gli autori della raccolta, sciorinando qualche trito slogan del tipo “bisognerebbe abolire CL” cercando di trattenere le risate per le loro reazioni fino a quando non mi sono allontanato a sufficienza.


sabato 25 settembre 2010

Teleottundimento


Si tratta di un cartone animato funzionale alla vendita di gadget e paccottiglie varie. Ossia di un articolato e coinvolgente spot pubblicitario inteso come minimo “a separare bambini e ragazzi dai loro soldi”.

I protagonisti si affrontano in tornei dove fanno lottare i loro magici fantascientifici pupazzetti giganti (inaudito, eh?) mentre i coprotagonisti stanno sugli spalti a fare il tifo e ad ansimare cose come: «sento che quest'esperienza segnerà per sempre la mia vita!»

Per “esperienza” la ragazzina emozionata intendeva il vedere l'uso di una mossa cruciale con una carta cruciale. Infatti il cartone veicola anche il messaggio che assistere ad uno spettacolo può «segnare per sempre la tua vita», involontariamente (involontariamente?) scimmiottando le liturgie cattoliche[1].

Uno dei dogmi fondamentali di questa società di televisionati è che il mondo è diviso in protagonisti e spettatori, con gli spettatori che fanno di tutto per sentirsi protagonisti e con degli anonimi benefattori dell'umanità[2] che si danno da fare perché ciò avvenga (e perché tutti sappiano anche quanto sia bello e piacevole essere spettatori).

Solitamente il popolo bue ignora di essere non il fruitore di un servizio ma la materia prima di un altro servizio (come nel caso dei cartoni animati sopra citati); spesso gli capita addirittura di pagare pur di essere “merce”[3]. L'industria televisiva è una dimostrazione esemplare dell'intreccio tra ideologia e profitto; la merce è l'audience, da vendere all'industria pubblicitaria o alle ideologie[4].

Un singolo spot pubblicitario giornaliero dei pupazzetti sopra citati dura mediamente quanto una lezione settimanale di catechismo: è facile intuire di quale divinità diventano esperti i nostri figli. Divinità stagionali, s'intende: quando il mercato è saturo di gadget occorre una nuova entusiasmante serie televisiva per lanciare una nuova linea di carabattole.




1) Intendo: fior di massoni si convertivano al canto liturgico di vecchie monache; popolani e aristocratici avevano la vita «segnata per sempre» dalla maestosità del gregoriano e dalle vetrate di qualche vecchia e umida cattedrale... Decisamente diverso dal partecipare ad un qualsiasi altro cerimoniale religioso. «La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia»: la crisi della Chiesa si vede anzitutto nelle liturgie ridotte a religioso cerimoniale, partecipato più per dovere o abitudine che per insaziabile sete di Cristo.

2) Quanto carattere “sacerdotale” ha la casta di tali anonimi benefattori!

3) Vulgus vult decipi... ergo decipiatur. Il popolo bue ama essere ingannato: dunque lo si inganni.

4) Il teatrino della politica è solo uno degli strumenti dell'orchestra delle ideologie.

mercoledì 22 settembre 2010

Torturare un cagnolino

Il prete si fermò di nuovo: «Perché sarà così? Perché da piccoli sono tanto difficili?». «Si vede che i bambini non nascono “naturalmente buoni”. Ecco un altro fatto che ce lo fa constatare». «Quella è un'età» disse il prete «in cui a volte si decide la sorte d'un'anima».

Ripresero a camminare; del cagnolino, di cui pure avevano avuto notizia, non parlarono affatto. (Vogliamo anticipare? Trent'anni più tardi, sotto l'influenza laico-umanitaria della televisione e delle idee nuove, i ragazzi di Nomana non sarebbero più stati così: avrebbero tormentato meno gli animali, e non avrebbero più tormentato pubblicamente i deficienti, che sono due indubbi passi avanti. Però avrebbero cominciato - come non era mai accaduto nella storia del paese - a odiare determinati gruppi sociali, e inoltre nessuno di loro, o quasi, sarebbe più arrivato vergine al matrimonio. Tanto l'essere umano è limitato: se acquista da una parte, perde puntualmente da un'altra; in questo sembra non ci sia scampo. Ci tornano in mente, al limite, le incredibili cassette per la nidificazione degli stornelli issate, nientemeno, sulle baracche di Auschwitz, dai carnefici di cuore tenero verso gli uccellini).[1]



1) Citazione da: Eugenio Corti, Il cavallo rosso, edizioni Ares, 1998, pagg. 94-95.

lunedì 20 settembre 2010

Viviamo nell'epoca della Suscettibilità

Triste epoca, quella in cui bisogna operare tutta una serie di precisazioni e distinguo prima di poter affermare che il cielo è azzurro.

Un eccellente esempio è l'impeccabile incipit di un articolo di mons. Brunero Gherardini, che potrebbe essere tranquillamente riciclato in qualsiasi scritto riguardante l'ambiente ecclesiastico:
Quanto sto per scrivere è ben lungi, nell'intenzione e di fatto, da ciò che comunemente è detto processo alle intenzioni. Per principio mi sforzo sempre di considerarle tutte - le intenzioni - pure e sante. Ovviamente, donec contrarium probetur, nel qual caso anche una presunzione di santità o ne trae le conseguenze, o si rassegna al ridicolo. S'aggiunga poi che l'intenzione, anche se pura e santa, non trasferisce automaticamente la propria ineccepibilità morale nel suo prodotto, il quale ha un suo realismo oggettivo, e quindi una sua moralità, prescindendo dall'intenzione formale che lo vuole e verso il quale si protende. Una bestemmia è sempre, in sé e per sé, una bestemmia, anche se pronunciata paradossalmente per render gloria a Dio.[1]



1) «Il Dio di Gesù Cristo», di mons. Gherardini, gennaio 2010.

mercoledì 15 settembre 2010

Il Meeting: «troppo grande»

...mentre una sera uscivo dal bagno: una ragazza piangeva disperata, perché il Meeting era troppo grande e il suo cuore di fronte a questo scoppiava di gioia. Piangeva perché non riusciva a trattenere tutto questo...

Mi ha chiesto di abbracciarla e di pregare insieme a lei. Intanto ci ha raggiunti una mia amica, e insieme abbiamo recitato la preghiera dell’offerta di don Giussani. Quella ragazza ci ha raccontato di essere arrivata dall’Argentina, a 23 anni, ed era al Meeting per la prima volta, con degli amici: «Ho chiesto loro di pregare con me, perché qui tutto parla di Cristo», ci ha detto: «Ma loro avevano da fare altro e non mi hanno ascoltata... Volete pregare voi insieme a me?». Io mi sono commossa: il Meeting è questo! Quello che succede dietro le quinte, negli incontri con le persone... Certo, bisogna sempre fare i conti con la stanchezza, ma è tutto offerto a Lui: è il cuore che ci spinge a desiderare tutto questo.[1]
La prima volta che andai al Meeting di Rimini anch'io mi ritrovai commosso perché era “troppo grande”, cioè perché lì “tutto parla di Cristo”. Ci fermammo a recitare un Angelus col cuore colmo di gratitudine. Quell'impressione, con gli anni, non si è sbiadita. Al contrario, è stata continuamente confermata.


1) Lettera di Orietta pubblicata su Tracce di settembre 2010.

lunedì 13 settembre 2010

Folklore anticelibatario

Sul pilone di un ponte autostradale ho visto un furente ed elaborato graffito contro il celibato ecclesiastico.

Vuol dire come minimo che da quelle parti c'è qualcuno talmente assillato dalla questione da aver scelto accuratamente il posto di maggior visibilità e graffitato con cura.

Sarà stato un prete che teme di innamorarsi della parrocchiana che da anni lo bracca perché vede in lui un uomo più serio di suo marito?

Sarà stato un seminarista che solo dopo l'ingresso in seminario ha scoperto di non essere totalmente disprezzato dalle ragazze?

Sarà stata una fedele preoccupata dal non esser riuscita ancora a sedurre il parroco?

Considerato che sono assai pochi i preti ragionevolmente giovani, di pulcritudine ragionevolmente apprezzabile dalle donne, dotati di carattere e abitudini compatibili col matrimonio... i sospettabili per quella scritta sul pilone sono davvero pochi!

venerdì 10 settembre 2010

Falcidie dei segni di croce dalla Messa

Indichiamo i segni di croce del sacerdote che celebra col messale di Pio V (e seguenti fino al 1962), notando quelli rimasti nel Novus Ordo:

1. Nel nome del Padre all'inizio della messa. Rimasto ancor oggi.
2. Indulgentiam dopo il Confiteor. Ora la formula Indulgentiam non c'è più in quanto fu considerata doppione della formula Misereatur.
3. Nel leggere l'introito. Ora non più.
4. Al Cum Sancto Spiritu… finale del Gloria in excelsis Deo. Ora non più.
5. All'Et vitam venturi saeculi (finale del Credo). Ora non più.
6. Al Benedic della formula Veni, Sanctificator. Ora non più.
7. Benedizione dell'incenso all'inizio della messa e all'offertorio insieme alla formula Ab illo benedicaris. Il segno di croce è rimasto, ma senza formula.
8. Alla benedizione del diacono prima della lettura del vangelo. Gesto e parole sono rimasti.
9. Quattro segni di croce sul libro del vangelo prima della proclamazione. Sono rimasti.
10. Due segni di croce: uno con la patena sul piano dell'altare prima di deporre l'ostia al di sopra del corporale dopo la formula di offerta del pane, l'altro col calice dopo l'offerta del vino. Ora non più.
11. Segno di croce con la mano sull'acqua con l'orazione Deus, qui humanae substantiae, prima di infonderla nel calice. Ora non più.
12. Al Benedictus dopo il Sanctus. Ora non più.
13. Al Te igitur del Canone Romano: tre segni di croce con la mano sulle oblate alle parole haec + dona, haec + munera, haec sancta + sacrificia. Ora è rimasto un solo segno dopo la parola benedicas.
14. Al Quam oblationem: tre segni con la mano sulle oblate alle parole bene+dictam, ad+scriptam, ra+tam e due separate sul corpo e sul sangue. Tutte eliminate.
15. Al Benedixit del Qui pridie: un segno sull'ostia e uno sul calice al Simili modo. Soppressi.
16. All'Unde et memores: tre segni con la mano sulle oblate e due separati sul pane e sul calice. Soppressi.
17. Al Supplices: sue segni con la mano sul corpo e sul sangue. Soppressi.
18. Al Per quem: tre segni con la mano sulle oblate. Soppressi.
19. Al Per ipsum, cum ipso, in ipso: tre segni di croce con l'ostia sul calice e due alle parole Patri omnipotenti e Spiritus Sancti. Soppressi.
20. Al Libera dopo il Pater: segno di croce del sacerdote su di sé con la patèna alle parole dà propitius pacem. Soppresso.
21. Al Pax Domini sit semper vobiscum: tre segni di croce col frammento di ostia sul calice. Ora soppressi.
22. Alla comunione: due segni del sacerdote prima di comunicarsi con l'ostia e col calice. Ora soppressi.
23. Alla benedizione finale: il sacerdote tracciava con la mano il segno di croce al nome delle tre Persone divine. Questo segno è rimasto.

Sommando i dieci segni di croce sulla persona (cinque del sacerdote sulla propria persona, più i tre al vangelo, più quelli con la patena, con l'ostia e con il calice, più quello sul diacono e sui fedeli), i quattro sulle cose (incenso, acqua, libro dei vangeli), i venticinque nel Canone Romano, quelli sull'altare (col calice e la patena), non si hanno meno di una cinquantina di segni di croce nell'ultima edizione tipica del messale romano del 1962.

Nel Messale del 1969-70 sono rimasti solo otto segni di croce.
Non so indicare con esattezza la fonte perché ho trovato appuntato solo un generico “pagine 193-194”. Allegato all'appunto è annotato che l'autore della riforma liturgica è entusiasmato dalla «falcidie» (sic) dei segni di croce tra la Messa tradizionale (Vetus Ordo) e il Messale del 1969-70 (Novus Ordo). Tale falcidie servirebbe a «ripristinare la semplicità e la verità originaria» (sic!) e ad «impedire che il segno prevalesse sulla pregnanza della parola» (sic!) oltre che ad «eliminare quanto poteva aver l'aria di artificioso o addirittura favorire una parvenza di magia» (sic!) A pagina 262 addirittura si rammarica poiché «il coetus X incaricato di preparare il Novus Ordo era del tutto contrario a introdurre fra i riti iniziali di tutte le messe un segno di croce… [che] appesantiva il settore iniziale, già congestionato. Nonostante tutto ciò Paolo VI, richiamandosi all'uso dei cristiani di cominciare ogni cosa col segno della croce, volle che così fosse anche per la messa». Insomma, gli autori della Novus Ordo volevano addirittura eliminare il segno di croce in apertura della Messa e solo papa Paolo VI poté impedirlo.

Qualche citazione del cardinal Ratzinger (che, com'è noto, è il teologo di riferimento di papa Benedetto XVI) ci può aiutare a capire meglio:

«L'esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull'unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere» (da “Rapporto sulla fede”, capitolo IX)

«...c'è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n'è per l'antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata» (da “Il sale della terra”)

«La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia» (da “La mia vita”)

mercoledì 8 settembre 2010

La Carmagnola

La Carmagnola è il canto tradizionale dei sanfedisti (“Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo”), databile con buona precisione al 1800.

All'inizio del 1799 i giacobini francesi avevano fondato a Napoli la Repubblica Partenopea cacciando (col sostegno di parte della borghesia e della nobiltà) re Ferdinando IV ma incontrando un'accanita resistenza nel “popolo basso” (lu pòpulu vàscio), i cosiddetti làzzari. Questi ultimi, non sopportando le angherie degli intellettuali illuministi che volevano eliminare la tradizione popolare e cattolica, arrivarono addirittura a “detronizzare” san Gennaro, patrono di Napoli, accusato di parteggiare per i giacobini, a seguito di notizie tendenziose circa il miracolo della liquefazione del sangue che si ripete ogni anno.

Championnet aveva infatti chiesto all'allora arcivescovo di Napoli, Capece Zurlo, di dichiarare falsamente che la liquefazione era avvenuta nel giorno dell'arrivo dei francesi (in realtà il miracolo sarebbe effettivamente avvenuto solo alcuni giorni dopo, durante il massiccio contrattacco dei làzzari a Napoli). Probabilmente per amor di quiete l'arcivescovo aveva acconsentito, col risultato che circolò subito la notizia che san Gennaro era diventato giacobino. E così il posto di patrono di Napoli fu assegnato a sant'Antonio da Padova (san Gennaro verrà ripristinato solo dopo la Restaurazione quindici anni dopo); peraltro proprio il 13 giugno 1799, giorno della festa di sant'Antonio, le armate della Santa Fede (i sanfedisti), guidate dal cardinale Fabrizio Ruffo, giunsero a liberare Napoli (gran parte dei giacobini era già fuggita).

L'arcivescovo Capece Zurlo aveva inoltre accettato a suo tempo un'altra imposizione del Governo Repubblicano, quella di scomunicare il cardinale Ruffo. Questi, con un esercito raccogliticcio (che passerà alla storia come Armata della Santa Fede), partito da Messina nei primi di febbraio 1799 riuscirà a giungere vittorioso a Napoli liberandola dai giacobini. Non a caso il canto dopo un paio di coloriti insulti a Capece Zurlo, insinua qualcosa che oggi suonerebbe come un “ma chi t'ha messo la mitria in testa?” (ossia: chi è che ti ha voluto vescovo, chi t'ha dato la patente?) ma l'epiteto potrebbe essere riferito anche a qualche altro vescovo della zona che aveva appoggiato i rivoluzionari (per esempio Michele Natale, ultimo vescovo di Vico Equense, era stato impiccato nell'agosto 1799 per aver aderito alla Repubblica Napoletana).

Il popolo napoletano non aveva mai accettato il giacobinismo, del quale era evidente l'odio alla fede cattolica, il sovvertimento dei costumi, il latrocinio sistematico perpetrato dagli invasori nel nome degli “ideali” della rivoluzione francese (saccheggi, tasse, spoliazioni: lo stesso Championnet fu richiamato in Francia dal Direttorio e rimproverato perché si era limitato a pretendere solo i dieci milioni pattuiti a Sparanise per la tregua con i làzzari).

Anche i migliori aristocratici che in buona fede avevano sposato le idee giacobine e che arrivarono in qualche modo a posizioni di potere restarono sostanzialmente estranei alle necessità del popolo, col risultato che fu facile insinuare che chi aveva una vita agiata («pane e vino») non poteva che essere un simpatizzante dei giacobini. La logica conseguenza è l'inneggiare a Tata Maccarone, un brigante che «rispetta la religione» (secondo altri il nomignolo “Tata Maccarone” indica invece re Ferdinando IV che era sempre stato rispettosissimo della fede e della Chiesa).

I giacobini conducevano una guerra sistematica contro la fede cattolica, perseguitando il popolo cristiano sia per via amministrativa (come con la legge per lo svuotamento dei conventi affinché gli ex religiosi si dessero da fare per moltiplicare la razza) sia con le peggiori violenze ed efferatezze (i giacobini non sapevano far altro che depredare, stuprare, profanare, uccidere, saccheggiare, distruggere chiese, conventi, monti di pietà, musei).

Così come per la Vandea, il vastissimo fenomeno delle insorgenze in Italia è stato grossolanamente ignorato dagli storici di marca laicista, liberale e marxista perché suona loro impossibile credere che dei poveri popolani disorganizzati e poco armati potessero ribellarsi e combattere (talvolta con discreto successo) le idee dei rivoluzionari pur di difendere la loro fede, le loro tradizioni, la loro condizione e la loro terra. Riesce difficile a noi immaginare che dei poveracci armati al più di roncole e forconi potessero tenere in scacco eserciti ben più organizzati e muniti e totalmente ostili al cattolicesimo.

Risorse:

lunedì 6 settembre 2010

Volontà e libertà

(agente) - La stessa esecuzione del crimine è metafisica: i PreCog vedono il futuro e non sbagliano mai.

(Danny) - Ma... non è il futuro, se lo fermate. Non è un paradosso fondamentale?

(agente) - Sì, lo è.

(John) - Parlavate di predeterminazione, una cosa che succede continuamente. [lancia una palla] [Danny la afferra]

(John) - Perchè l'ha presa?

(Danny) - Perchè stava per cadere.

(John) - Ne è sicuro?

(Danny) - Sì.

(John) - Ma non è caduta. L'ha presa. Il fatto che ha evitato che cadesse non cambia il fatto che sarebbe caduta comunque.

(Danny) - Mmm... Ricevete mai dei falsi positivi? Qualcuno vuole uccidere il suo capo o sua moglie, ma non va fino in fondo. Come fanno i PreCog a distinguere?

(John) - I PreCog non vedono quello che vuoi fare. I PreCog vedono quello che farai.

[...]

(John) - È meglio non considerarli umani.

(Danny) - No. Loro sono molto di più. La scienza ci ha rubato la maggior parte dei miracoli; loro ci danno una qualche speranza. La speranza che esista il divino. Trovo interessante che alcune persone comincino a divinizzare i PreCog.

(John) - I PreCog sono filtri per identificare degli schemi.

(Danny) - Ma voi chiamate questo posto “il Tempio”.

(John) - È solo un soprannome.

(Danny) - Il potere non è mai stato dell'oracolo. Il potere è sempre stato dei preti. Anche se hanno dovuto inventare l'oracolo...

(John) [si gira verso gli altri agenti] - Fate sì con la testa come se sapeste di che diavolo parla.

(agente) - Oh, andiamo, capo... per come lavoriamo, cambiando destini e tutto il resto... siamo più clero che polizia.

(John) - Già.

(agente) - Sì.

(John) - Al lavoro, tutti voi!

(Danny) - Ah-uhm. Mi scusi. Vecchia abitudine. Ho fatto tre anni di teologia prima di diventare poliziotto.
Come pressoché tutti i film di fantascienza, anche Minority Report è stato fatto per catechizzarci su uno specifico argomento. In senso anticattolico, naturalmente: è un film per insegnare a dubitare del libero arbitrio.

La trama dell'intero film è funzionale ai dialoghi sopra riportati (che contengono proprio questo insegnamento) e perciò considerabile secondaria rispetto allo scambio di battute sopra citato (anche perché è la solita storiella con azione, sentimenti, avventura).

L'artificio letterario sono i PreCog, persone sensitive capaci di prevedere fatti di sangue prima che avvengano materialmente. Cioè di leggere nella volontà degli uomini ancor prima che questa deliberi.

Per inciso, è una facoltà soprannaturale, da onniscienza divina: neppure il demonio può sapere esattamente cosa c'è nelle più recondite pieghe dell'anima.

John è la mentalità moderna, è la scienza che usa la realtà senza avvertire il bisogno di comprenderla (solo “filtri per identificare degli schemi”), è l'ideologia dominante con i suoi sofismi e inganni (“non cambia il fatto che sarebbe caduta comunque”).

Danny è la mentalità non ancora moderna (“non è un paradosso?”), il discepolo ancora intriso di religiosità ma già avanzante a grandi passi (“il potere è sempre stato dei preti”) sulla via dell'affrancamento (“hanno dovuto inventare l'oracolo”).

Lo spettatore del film riceve dunque questa lezione:
  • vecchia scuola: la realtà cambia attraverso le volontà dei singoli uomini (cfr. la locuzione evangelica «gli uomini di buona volontà») - il film comanda di abbandonarla
  • lezione dal film: conoscendo in anticipo le volontà dei singoli si potrebbe migliorare (alterare) la realtà, per opera di speciali privilegiati (il nuovo “clero”, “più clero che polizia”) preposti allo scopo (dittatura di fatto)
  • risultato: pensare che se qualcuno conoscesse in anticipo la mia volontà significherebbe che io sono una macchina prevedibile, dunque devo (ho interesse) a comportarmi nel modo prevedibile altrimenti nego me stesso.
La possibilità di recepire tale “lezione” sta nel tipico errore moderno di porre sullo stesso piano la verità e l'errore, riconoscendo al vero e al falso uguali diritti, dando alla realtà ed alla fantasia uguale importanza.

venerdì 3 settembre 2010

Gramsci e la Pastorale Giovanile

E Gramsci fu, in effetti, molto duro: «il mito cristiano - scriveva nella rubrica che teneva sul quotidiano “L'Avanti!” - almeno nella nostra città, non lascerà che ingombri, preda del futuro piccone. C'è da preoccuparsene davvero. Confessiamo che esso fa pena per la sua impotenza e sterilità». Ugualmente caustica e molto articolata la sua risposta al “Foglio dei giovani”, organo nazionale della Gioventù Cattolica Italiana, che bandiva un concorso a premi per le risposte ai seguenti quesiti:

1. Come attirare i giovani nei circoli cattolici e come invogliarli ed interessarli a rendere più attive ed efficaci le nostre organizzazioni?
2. Come preparare e come indirizzare i giovani dei circoli cattolici alle organizzazioni professionali?
3. Come diffondere la buona stampa tra i giovani e per mezzo dei giovani?

Gramsci risponde:
«Il fatto che si pongano a concorso delle questioni simili indica di per se stesso quanta sia la debolezza intima delle organizzazioni cattoliche e come esse siano delle organizzazioni artificiali… Per attirare (curiosa espressione davvero) i giovani, basterebbe che i circoli cattolici ne rappresentassero una necessità dello spirito, il bisogno di trovarsi insieme tra compagni di ideale e di lotta, e la coscienza che sia un dovere diffondere e propagandare la fede che si vive come unica verità da affermare a tutti i costi. Lo spirito di apostolato che ardeva nei primi seguaci del Cristianesimo non avrebbe neppure un momento fatto loro pensare che potesse esistere un cristiano che non sentisse il dovere di affermarsi tale e di conquistare a Dio gli infedeli. Gioventù decrepita, quella cattolica, che avendo perduto ogni calore interno cerca in accomodamenti pratici, in adescamenti da correzionale, di saturarsi di iscritti; non importa che la gran parte sia peso morto, ingombrante, anodino, che entra nel circolo così come potrebbe entrare in una società sportiva o in un club di giocatori di tressette. Basta che all'occasione si possano snocciolare centinaia di nomi come grani di rosario, per protestare contro una statua di donna nuda o contro l'esposizione dei giornaletti pornografici. Ciò che costituisce l'energia, la potenzialità efficace, esula da questi circoli “Ancien régime”, dove è proibita la libera discussione, dove un rappresentante della curia vigila continuamente perché non si facciano affermazioni eterodosse o contrarie ai buoni principi. E la gioventù che sente, che si agita per trovare la propria via, ha bisogno di sconfinata libertà, di possibilità di scapricciamenti, che a mano a mano si vadano arginando e disciplinando nella dura esperienza quotidiana. (…)

Come diffondere la buona stampa tra i giovani. Stesso malinteso. Ma perché la stampa cattolica, buona solo per antonomasia, è diventata così piatta e noiosa, così aliena da ogni brivido di passione, da ogni slancio aggressivo di fede? Oh giovinezza decrepita del cattolicesimo, non bastano i concorsi a premio per dar vita ad un cadavere: il tempo dei miracoli è passato e Lazzaro nella sua tomba dorme il sonno dei giusti e mai più le sue palpebre si riapriranno per vedere la luce del sole. Altri circoli intanto sono sorti, e non per risultato di concorsi, altra fede ha riempito l'anima dei giovani, e non è il vostro e buon vecchio Iddio che ha fatto scoccare la scintilla. Chi ha più filo tesserà più tela: e la vostra è una tela di Penelope che aspetta inutilmente il ritorno del suo Ulisse.
Questa citazione di Antonio Gramsci è nel libro di don Primo Soldi, Verso l'assoluto. Pier Giorgio Frassati, Jaca Book, 2001, ISBN 88-16-30311-5; corsivi miei.

mercoledì 1 settembre 2010

Diocesi di Milano? Un nome ce l'avrei

Da qualche tempo, a intervalli più o meno regolari, circolano voci sul possibile successore di Tettamanzi alla diocesi di Milano[1].

Io un nome ce l'avrei[2]. Tento di spiegare qui perché per la cattedra di sant'Ambrogio proporrei al Papa questa terna: Luigi Negri - Luigi Negri - Luigi Negri.

Anzitutto partiamo dagli svantaggi e dai punti negativi. Negri ha alcune gravissime e infamanti “macchie” sul suo curriculum:
  1. in primo luogo è ciellino purosangue, perseguitato in quanto ciellino[3], giunto al sacerdozio nonostante l'essere stato ciellino, di spirito ciellino ancor oggi[4], ciellino vita natural durante;
  2. in secondo luogo, pur avendo una sensibilità liturgica Novus Ordo, è di manica larga per la Vetus Ordo (per esempio nel dicembre 2007 mandò un telegramma di ringraziamento al Papa per il motu proprio che liberalizzava la Messa tridentina);[5]
  3. in terzo luogo, ha ricordato spesso che la Massoneria e la Chiesa sono «inconciliabili», per di più riuscendoci senza ridursi a polemiche o compromessi[6].
Al clero ambrosiano (ed ancor più al laicato “impegnato”) spesso basta uno solo di questi tre punti per rigettare con fragoroso stracciamento di vesti anche il solo ipotizzare la “candidatura” di Negri.

Veniamo ora ai punti positivi.

Anzitutto è milanese. Conosce la diocesi di Milano meglio del tipico parroco perché il legame con Azione Cattolica[7] prima e CL poi lo hanno costretto a muoversi al di fuori delle quattro mura di una parrocchia[8].

Ha un vasto spessore culturale, dottrinalmente ortodosso, rigoroso ma capace di esprimersi con il linguaggio contemporaneo, tale da farsi capire dai giornali senza essere etichettato come noioso o retrogrado. Notoriamente uomo di cultura e con numerose pubblicazioni, prima che un uomo di governo è un uomo che insegna: proprio ciò di cui necessita la diocesi di Milano[9] (ben organizzata e strutturata, non ha bisogno né di accentratori né di decisionisti).

Non è un “carrierista”. Sebbene le voci su una sua promozione si siano moltiplicate[10] nel corso del suo episcopato nella diocesi di San Marino-Montefeltro, non si è comportato come quei vescovi che fanno “campagna elettorale” di se stessi[11].

Infine è sufficientemente anziano da non dover preoccupare chi non lo gradisse sulla cattedra di sant'Ambrogio.

Santità, ce lo faccia un pensierino.


1) Trattandosi di “voci”, questa misera paginetta di un misero blog (uc)ciellino non rappresenta altro che il divertissement di un laico qualunque, ben convinto che cambierà le carte in tavola con la stessa forza d'urto di una goccia di pioggia nell'oceano.

2) Non mi si accusi di conflitto di interessi, per almeno tre motivi. Primo: chi lancia quest'accusa lo fa in genere per nascondere il proprio conflitto. Secondo: l'ecclesiastico “al di sopra delle parti” è una figura mitologica la cui ricerca ha sempre riservato brutte sorprese. Terzo: bisognerebbe piuttosto rivolgere l'accusa a quanti fino a ieri ignoravano l'esistenza di mons. Negri e che in tempi recenti gli stanno dando contro con curiosa furia.

3) Una descrizione assai diplomatica delle persecuzioni subite dai primi “preti di CL” è presente nei primi due volumi Comunione e Liberazione, di don Massimo Camisasca, editi dalla San Paolo.

4) Sebbene all'elezione episcopale un sacerdote abbandoni formalmente ogni carica all'interno del movimento di cui eventualmente faceva parte, la forma mentis resta. Nel caso di Comunione e Liberazione non si pone alcun problema perché da sempre veniamo educati a valorizzare quanto c'è di buono in ogni ambito (laddove in certi altri ambienti sembrano piuttosto educare allo stile di “il resto del mondo ha sempre torto”; lo dico purtroppo per esperienza personale).

5) Dato che il cardinale di Milano è “caporito” della diocesi, si teme seriamente che qualora lo diventasse Negri verrebbe esteso al rito ambrosiano il motu proprio del Papa sul rito romano, estensione furiosamente ostacolata fino ad oggi (ricordiamo invece che la riforma liturgica di papa Paolo VI al rito romano fu immediatamente recepita anche per il rito ambrosiano: due pesi e due misure).

6) Come lui stesso dice nel documento citato, «senza livori ideologici e senza irenismi di maniera». In altri casi, succede un po' di tutto. Per grazia di Dio il mons. Negri non è un caso isolato.

7) Fino al 1971 la Gioventù Studentesca che seguiva don Giussani era inquadrata nei ranghi di Azione Cattolica, di cui mons. Negri - all'epoca ancora laico - ne era stato vicepresidente. Fu il cardinal Colombo a dichiarare che «i gruppi di CL... sono un libero e legittimo movimento di apostolato».

8) Ampie grida di dolore vengono da quelle porzioni di clero diocesano costrette ad avere come vescovo un professore di teologia o un funzionario di curia. Ma chiedere per vescovo “uno che sia stato parroco” (anche se parroco della stessa diocesi) risolve solo metà del problema.

9) La massiccia presenza di Comunione e Liberazione in terra ambrosiana è un problema solo per coloro che per partito preso detestano CL. Mandare un interista a Milano scontenterà i milanisti, e viceversa. Mandare uno che non è né interista né milanista, scontenterà tutti. A conti fatti, bisogna onestamente ammettere che un ciellino a Milano è insopportabile solo a certo clero progressista, agli abortisti e ai coatti dei centri sociali.

10) Ricordiamo che in tema di episcopati e cardinalati, quando i giornali danno per “candidato” qualcuno, di fatto stanno quasi certamente “bruciando” (o “tentando di bruciare”) la sua nomina. Col mons. Negri questo sporco trucchetto è stato applicato tante, troppe volte (specialmente da ecclesiastici). Nel mio piccolo anche questa pagina è un involontario “bruciare la candidatura”, ma per fortuna nei Sacri Palazzi e nelle redazioni dei giornali hanno ben altro da leggere che uno sperduto blog come questo.

11) Non parlo soltanto di coloro che aspirano ad essere promossi alla cattedra di sant'Ambrogio: è un discorso più generale. Anche presumendo la buona fede e l'esistenza di problemi risolvibili solo con trasferimenti, è doloroso vedere certi vescovi “saltellini”, tre anni in una diocesi, cinque in un'altra, altri due nella successiva, per poi andare in un'altra ancora prima di passare a un incarico in curia romana... ed è ancor più doloroso vederli agire - con parole e gesti - in maniera da tentare di influenzare eventuali decisioni sulle “promozioni”. Bisognerebbe ripristinare la tradizionale inamovibilità dei vescovi: lasci la diocesi solo se diventi Papa.

martedì 31 agosto 2010

Reazionario, dunque da dichiarare inesistente

«...il gene è quella leggendaria parte della struttura vivente nella quale le teorie reazionarie del mendelismo, veysmanismo e morganismo determinerebbero l'ereditarietà. Gli scienziati sovietici, sotto la guida dell'accademico Lysenko, hanno dimostrato scientificamente che i geni non esistono in natura»[1].
In nome del marxismo, grazie a Lysenko[2] l'Unione Sovietica stroncò qualsiasi ricerca sulla genetica per almeno un trentennio, fino al 1965 circa.

Come sia stato possibile lo spiegherà, fra i tanti altri, anche Solženicyn[3]: l'oppressione era tale che pur di evitare fastidiose (se non letali) conseguenze, si era tutti disposti a dare per vera e assodata una realtà distorta in cui le assurde previsioni e le confusionarie direttive del partito trovassero immediata conferma ed applicazione. Stabilito perciò che Mendel è “reazionario”, scienziati, accademie, riviste, studenti, gareggeranno nel confermare che il gene sarebbe una leggenda, un mito borghese.

Se ci pensiamo bene, siamo oggi nelle stesse condizioni dell'epoca stalinista: si rifletta per esempio sulle questioni riguardanti le deviazioni sessuali e l'aborto. Contro ogni più ragionevole evidenza, fior di scienziati, accademie, riviste, studenti, gareggiano in patetiche astruserie come “pre-embrione”, “orientamento sessuale”, “autodeterminazione”, si ostracizzano gli obiettori di coscienza[4].


1) Citato dall'Enciclopedia Sovietica, edizione circa 1950, citazione reperita altrove. Padre Gregor Mendel era un frate agostiniano.

2) In una famosa conferenza del 1948 Trofim Denisovic' Lysenko denunciò l'opera di Mendel come «reazionaria e decadente» e lo dichiarò «nemico del popolo sovietico». Il testo della conferenza era stato precedentemente approvato dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.

3) In tutto Arcipelago GULag il tema del “perché non avete reagito?” ritorna incessantemente.

4) Conosco personalmente diverse vittime di questo regime. Essere contro l'aborto, anche solo a parole, è dannoso per la carriera medica, per il portafogli e addirittura per le amicizie. Certo, Nostro Signore vede bene e terrà in conto; nel frattempo, però, il mobbing contro gli antiabortisti prosegue a tutti i livelli, con zelantissimi utili idioti sempre pronti a contribuire.

lunedì 30 agosto 2010

Internet, Babele, coltivatori e cacciatori

Cari amici,[1].

passerò sei settimane tra Italia, Croazia e Polonia, come ospite di tre editori e di organizzazioni cattoliche. Terrò conferenze, autograferò libri, sarò ospite di trasmissioni; registrerò audiolibri e incontrerò studenti universitari. Sarà una vera sfida, tempo in cui avrò bisogno di tanta grazia. Vi sarò grato per le vostre preghiere.

La mia newsletter conta molti abbonati italiani. Buon giorno a tutti voi. Quelli che sono interessati e hanno la possibilità di partecipare, sono invitati alla mia conferenza all'Università Don Orione a Genova il 20 settembre 2010, prolusione per l'apertura dell'anno accademico che terrò al Teatro della Gioventù in via Cesarea 16 alle ore 17.

Teofilo è stato finalmente tradotto in italiano e polacco e verrà pubblicato proprio mentre sarò in Italia e in Polonia. Vedendo i miei libri tradotti in dieci lingue, spesso ripenso al mistero del linguaggio e della comunicazione. Il trascendere gli effetti della Torre di Babele per raggiungere il prossimo nonostante le barriere del linguaggio e per scoprire la nostra comune umanità, è sempre un'esperienza profondamente commovente. È stata resa possibile solo dal duro lavoro dei traduttori, gente che spesso ha il talento artistico almeno quanto la capacità tecnica. Il significato di un'opera di narrativa o di poesia sorpassa gli oceani con poca difficoltà ma talvolta a costo del carattere artistico. Per questo sono profondamente grato per il dono che ho ricevuto, cioè i miei traduttori, molti dei quali hanno davvero talento.

Quanti di voi seguono la mia newsletter da molto tempo ricordano certamente la mia preoccupazione per lo stato in cui versa la cultura moderna, in particolare l'estremo potere che ha nell'istupidirci e renderci dipendenti da essa; la massiccia quantità di “comunicazione” di cui siamo inondati fa calare la qualità. Per cui finiamo spesso per utilizzare i nuovi media in una maniera tale che anche se tentiamo di trascendere la Torre di Babele finiamo coinvolti nostro malgrado in un tentativo nimrodiano di costruire un'altra torre verso il cielo. Tale torre sembra essere sempre più un sostituto di una compagnia genuinamente fondata sull'incarnazione. Rischiamo di confondere la comunicazione tra di noi al punto da vederla spazzata via. Perdiamo il contatto con la vera fonte del dialogo (dia-logos) basato sulla legge naturale nella nostra natura umana, cioè il desiderio di una comunione eterna in una dimora eterna.

Un pensiero da parte di un autore che getta un po' di luce su questa questione (dal libro di Nicholas Carr, The Shallows: What the Internet is Doing to Our Brains):

“Non c'è niente di sbagliato nell'assorbire velocemente informazioni a pezzetti e bocconi. Più che leggere giornali, li sfogliamo; i nostri occhi corrono abitudinariamente su libri e riviste cercando la sostanza del testo per decidere se vale la pena leggerlo con più attenzione. Ma la capacità di leggere in profondità e riflettere attentamente è importante almeno quanto quella di scorrere e scandire. Il problema, infatti, è che lo sfogliare è diventato il nostro metodo dominante. Ciò che una volta era un mezzo in vista di un fine, cioè un modo per identificare l'informazione per ulteriore studio, sta diventando oggi fine a sè stesso, come nostro metodo preferito di apprendimento e di analisi. Abbagliati dai tesori dell'internet non vediamo il danno che stiamo facendo alla nostra vita intellettuale e alla nostra cultura.
In senso metaforico, ciò di cui stiamo facendo esperienza è un'inversione di rotta della civilizzazione: da coltivatori della conoscenza stiamo diventando cacciatori e raccoglitori nella foresta elettronica. In questo processo sembriamo destinati a sacrificare molto di ciò che rende la nostra mente così affascinante”.


Aggiungo un piccolo detto di madre Teresa di Calcutta, di grande significato:

“Abbiamo bisogno di trovare Dio, che non può essere trovato nel fracasso e nell'agitazione. Dio è amico del silenzio. Guardate la natura - alberi, piante, erba - come cresce in silenzio; guardate le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio... Abbiamo bisogno del silenzio per toccare l'anima”.

Che Gesù Cristo, Parola eterna - il Logos - possa sempre essere la vostra forza e consolazione.

In Lui,

Michael O'Brien



1) Mia traduzione della newsletter di Michael O'Brien del 30 agosto 2010. O'Brien è l'autore di diversi romanzi, tra cui Il nemico, di cui consiglio la lettura a coloro che hanno già gustato capolavori come Il padrone del mondo di Benson e Il racconto dell'anticristo di Soloviev.

sabato 28 agosto 2010

Notizie dell'(uc)ciellino

Come tradizione di tutti i reduci del Meeting, anche il sottoscritto scribacchia qualche sconnessa riga prima del meritato riposo.

La prima grande notizia riguardante l'edizione 2010 del Meeting di Rimini è che... non ha fatto notizia. Come al solito: grande clamore mediatico per piccoli fatterelli della periferia dell'impero e copertura quantomeno banale per l'evento culturale dell'anno. È un onore vedere che al Meeting è riservato lo stesso trattamento dei martiri cristiani e della messa in latino.

La seconda grande notizia è che (come al solito) il Meeting mi ha rigenerato. Essendo l'Unico Ciellino della Parrocchia, il Meeting mi è stato come un frigo zeppo di bevande fresche trovato in pieno deserto. Solo che il Meeting non è un miraggio.

La terza notizia è il trauma che uno subisce rientrando dal Meeting: all'improvviso tutto il mondo è di nuovo in moto, c'è un oceano di notizie, interviste, articoli, libri che meritano almeno un'occhiatina, più la grande quantità di materiale accumulato durante il Meeting (appunti, cataloghi, libri e altro materiale), più l'immensa quantità di contatti riaperti e di amici ritrovati.

È davvero difficile spiegare come e perché il Meeting è tanto grande quanto prezioso: bisogna vederlo di persona, senza illudersi di farsi un'idea con le sole notizie sulla stampa e sui telegiornali.

A seconda delle persone, mi trovo a dare definizioni diverse del Meeting. Ad un amico di grande cultura non ho saputo dir meglio che il Meeting è la mia “università dell'estate”. In una concentratissima settimana apprendo più cose di quante me ne dia un anno di lettura di giornali e notiziari. Uno si accorge di essersi culturalmente arricchito quando anche alcuni apparentemente insignificanti dettagli tornano subito utili per rinvigorire la propria fede (e quella del prossimo).

Vorrei dire tanto altro ma mi devo limitare ad una sola immagine.

Qualche anno fa degli universitari del Kazakhstan, vedendo il Meeting, ne restarono così strabiliati da dire che desideravano già farne uno simile nella loro terra. Quest'anno degli universitari di Taiwan, vedendo il Meeting, ne sono restati così strabiliati da dire che desiderano già farne uno simile nella loro terra.