venerdì 23 gennaio 2015

Non esattamente rischio educativo...

Il canarino morente era stato affidato alla nonna. Si è lentamente ripreso, ricominciando perfino a cantare, grazie alle cure e alla pazienza della nonna. La mammina torna dunque ad esigere il canarino perché i figli, piccole pesti dal DNA vandalico distillato e certificato, vogliono quel nuovo giocattolo. Piccola guerra in famiglia e canarino sano e salvo: la nonna ha detto uno dei rari “no” della sua vita.

Una caratteristica della nostra epoca è quella di arrovellarsi a sfornare il figlio perfetto e poi di pretendere che dotato di opportuni strumenti a disposizione sul mercato (“i giocattoli più intelligenti”, “gli strumenti musicali più intelligenti”, “la palestra più intelligente”, ecc.) il figlio guadagni successo e invidie in tutti i campi.

Breve parentesi sulla sindrome dello sceicco: consiste nell'entrare in un qualsiasi negozio e pretendere di comprare la... commessa. “Ma io pago! posso pagare! pago bene e subito!” Si rifiuta categoricamente di riconoscere che le commesse non sono in vendita. Tale sindrome è straordinariamente più diffusa di quanto s'immagini. E bisognerà cambiargli nome, perché “sindrome dello sceicco” non sembra politically correct.

La sindrome affligge anche una spaventosa percentuale di genitori. Per i quali “giocattolo intelligente” finisce presto per coincidere con qualsiasi cosa attragga anche solo vagamente l'attenzione dei figli. Compreso il canarino faticosamente rianimato dalla nonna.

La nonna si era sempre affannata a comprare giocattoli per i nipoti. Non le pareva vero poter comprare qualche “giocattolo intelligente” per contribuire al gigantesco ineluttabile futuro successo dei nipotini. Puntualmente i “giocattoli intelligenti” non superavano il pomeriggio, e così la nonna è passata a più miti consigli, comprando carabattole dal negozio cinese di cineserie cinesi: il risultato è lo stesso (brutalizzazione e devastazione) ma almeno viene sfasciata l'automobilina da due euro piuttosto che quella “intelligente” e griffata da diciotto euro. Per inciso: per il momento è ancora politically correct lamentarsi delle cineserie dei cinesi.

Probabilmente il sottoscritto è nato su un altro pianeta. Da bambino, in un modo o nell'altro, mi avevano insegnato a rispettare le cose (mie ed altrui). Mi avevano trasmesso l'odio per gli sprechi e perfino “risparmiare” sul fracasso (ero vispo ma mi contenevo, tanto più che il vicinato era composto da gente litigiosa che sognava di arricchirsi vincendo cause in tribunale). Ora attorno a me vedo una nuova forma di barbarie, una barbarie “verticale”, quella che ti fa invocare quell'educazione di popolo che è venuta misteriosamente a mancare da mezzo secolo a questa parte.

lunedì 19 gennaio 2015

Sprechi

Ancora non riesco a capire il motivo per cui ogni tanto qualche conoscente (non necessariamente giovane) viene a confidarmi le circostanze in cui ha gettato via la propria verginità. Si confida con l'aria di chi chiede un compiacente sorriso o almeno un distratto cenno di approvazione. Nel raccontare, infatti, sembrano talvolta rendersi conto per un attimo dell'aver inutilmente sprecato qualcosa di prezioso della propria vita.

Gli ultimi due casi riguardano un amico che si è intortato una vecchia carampana extracomunitaria, e un'amica che ha scelto come principe azzurro un vecchio divorziato esaurito. Il meccanismo del peccato è sempre lo stesso: annunciano ad un pubblico quasi totalmente immaginario un maestoso obiettivo al quale segue un risultato ridicolo e degradante. Per cui hanno bisogno di vantarsene. Avvertono l'urgente bisogno di carpire qualche sorrisetto di approvazione, per sentirsi almeno vagamente ricompensati. Naturalmente vanno a chiederlo al ciellino sottoscritto, che in quanto tale sarà dedito alla verginità e non li manderà a cagare come meritano.

Mi sono trattenuto perfino dal parlare perché erano talmente assetati di un “premio” da essere ansiosi di ricevere una qualsiasi mia parola o reazione. Sono rimasto in entrambi i casi in silenzio, apatico, freddo come una statua, per costringerli a giudicare loro stessi il proprio operato. Certi silenzi fanno più male delle parole e infatti dopo qualche insistenza hanno cambiato discorso.

In un mondo che reputa normale che ragazzi e ragazze gettino la propria verginità nei fetidi cessi di una discoteca (alla quale i ragazzi, benché in tempesta ormonale, si preparano col viagra), suona tristemente normale che gente attempata e sfiorita avverta il bisogno di guadagnare in extremis lo stesso trofeo per potersene vantare al più presto. Non è più solo un argomento della sfera della sessualità: c'è un che di diabolico in questa ossessione.

giovedì 15 gennaio 2015

Farsi dettare l'agenda dai media

La cosa che più mi colpisce di questa vignetta è che potrebbe essere intitolata: “un cattolico alle prese col dilemma del: Cosa Mi Metto Oggi”: