martedì 31 agosto 2010

Reazionario, dunque da dichiarare inesistente

«...il gene è quella leggendaria parte della struttura vivente nella quale le teorie reazionarie del mendelismo, veysmanismo e morganismo determinerebbero l'ereditarietà. Gli scienziati sovietici, sotto la guida dell'accademico Lysenko, hanno dimostrato scientificamente che i geni non esistono in natura»[1].
In nome del marxismo, grazie a Lysenko[2] l'Unione Sovietica stroncò qualsiasi ricerca sulla genetica per almeno un trentennio, fino al 1965 circa.

Come sia stato possibile lo spiegherà, fra i tanti altri, anche Solženicyn[3]: l'oppressione era tale che pur di evitare fastidiose (se non letali) conseguenze, si era tutti disposti a dare per vera e assodata una realtà distorta in cui le assurde previsioni e le confusionarie direttive del partito trovassero immediata conferma ed applicazione. Stabilito perciò che Mendel è “reazionario”, scienziati, accademie, riviste, studenti, gareggeranno nel confermare che il gene sarebbe una leggenda, un mito borghese.

Se ci pensiamo bene, siamo oggi nelle stesse condizioni dell'epoca stalinista: si rifletta per esempio sulle questioni riguardanti le deviazioni sessuali e l'aborto. Contro ogni più ragionevole evidenza, fior di scienziati, accademie, riviste, studenti, gareggiano in patetiche astruserie come “pre-embrione”, “orientamento sessuale”, “autodeterminazione”, si ostracizzano gli obiettori di coscienza[4].


1) Citato dall'Enciclopedia Sovietica, edizione circa 1950, citazione reperita altrove. Padre Gregor Mendel era un frate agostiniano.

2) In una famosa conferenza del 1948 Trofim Denisovic' Lysenko denunciò l'opera di Mendel come «reazionaria e decadente» e lo dichiarò «nemico del popolo sovietico». Il testo della conferenza era stato precedentemente approvato dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.

3) In tutto Arcipelago GULag il tema del “perché non avete reagito?” ritorna incessantemente.

4) Conosco personalmente diverse vittime di questo regime. Essere contro l'aborto, anche solo a parole, è dannoso per la carriera medica, per il portafogli e addirittura per le amicizie. Certo, Nostro Signore vede bene e terrà in conto; nel frattempo, però, il mobbing contro gli antiabortisti prosegue a tutti i livelli, con zelantissimi utili idioti sempre pronti a contribuire.

lunedì 30 agosto 2010

Internet, Babele, coltivatori e cacciatori

Cari amici,[1].

passerò sei settimane tra Italia, Croazia e Polonia, come ospite di tre editori e di organizzazioni cattoliche. Terrò conferenze, autograferò libri, sarò ospite di trasmissioni; registrerò audiolibri e incontrerò studenti universitari. Sarà una vera sfida, tempo in cui avrò bisogno di tanta grazia. Vi sarò grato per le vostre preghiere.

La mia newsletter conta molti abbonati italiani. Buon giorno a tutti voi. Quelli che sono interessati e hanno la possibilità di partecipare, sono invitati alla mia conferenza all'Università Don Orione a Genova il 20 settembre 2010, prolusione per l'apertura dell'anno accademico che terrò al Teatro della Gioventù in via Cesarea 16 alle ore 17.

Teofilo è stato finalmente tradotto in italiano e polacco e verrà pubblicato proprio mentre sarò in Italia e in Polonia. Vedendo i miei libri tradotti in dieci lingue, spesso ripenso al mistero del linguaggio e della comunicazione. Il trascendere gli effetti della Torre di Babele per raggiungere il prossimo nonostante le barriere del linguaggio e per scoprire la nostra comune umanità, è sempre un'esperienza profondamente commovente. È stata resa possibile solo dal duro lavoro dei traduttori, gente che spesso ha il talento artistico almeno quanto la capacità tecnica. Il significato di un'opera di narrativa o di poesia sorpassa gli oceani con poca difficoltà ma talvolta a costo del carattere artistico. Per questo sono profondamente grato per il dono che ho ricevuto, cioè i miei traduttori, molti dei quali hanno davvero talento.

Quanti di voi seguono la mia newsletter da molto tempo ricordano certamente la mia preoccupazione per lo stato in cui versa la cultura moderna, in particolare l'estremo potere che ha nell'istupidirci e renderci dipendenti da essa; la massiccia quantità di “comunicazione” di cui siamo inondati fa calare la qualità. Per cui finiamo spesso per utilizzare i nuovi media in una maniera tale che anche se tentiamo di trascendere la Torre di Babele finiamo coinvolti nostro malgrado in un tentativo nimrodiano di costruire un'altra torre verso il cielo. Tale torre sembra essere sempre più un sostituto di una compagnia genuinamente fondata sull'incarnazione. Rischiamo di confondere la comunicazione tra di noi al punto da vederla spazzata via. Perdiamo il contatto con la vera fonte del dialogo (dia-logos) basato sulla legge naturale nella nostra natura umana, cioè il desiderio di una comunione eterna in una dimora eterna.

Un pensiero da parte di un autore che getta un po' di luce su questa questione (dal libro di Nicholas Carr, The Shallows: What the Internet is Doing to Our Brains):

“Non c'è niente di sbagliato nell'assorbire velocemente informazioni a pezzetti e bocconi. Più che leggere giornali, li sfogliamo; i nostri occhi corrono abitudinariamente su libri e riviste cercando la sostanza del testo per decidere se vale la pena leggerlo con più attenzione. Ma la capacità di leggere in profondità e riflettere attentamente è importante almeno quanto quella di scorrere e scandire. Il problema, infatti, è che lo sfogliare è diventato il nostro metodo dominante. Ciò che una volta era un mezzo in vista di un fine, cioè un modo per identificare l'informazione per ulteriore studio, sta diventando oggi fine a sè stesso, come nostro metodo preferito di apprendimento e di analisi. Abbagliati dai tesori dell'internet non vediamo il danno che stiamo facendo alla nostra vita intellettuale e alla nostra cultura.
In senso metaforico, ciò di cui stiamo facendo esperienza è un'inversione di rotta della civilizzazione: da coltivatori della conoscenza stiamo diventando cacciatori e raccoglitori nella foresta elettronica. In questo processo sembriamo destinati a sacrificare molto di ciò che rende la nostra mente così affascinante”.


Aggiungo un piccolo detto di madre Teresa di Calcutta, di grande significato:

“Abbiamo bisogno di trovare Dio, che non può essere trovato nel fracasso e nell'agitazione. Dio è amico del silenzio. Guardate la natura - alberi, piante, erba - come cresce in silenzio; guardate le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio... Abbiamo bisogno del silenzio per toccare l'anima”.

Che Gesù Cristo, Parola eterna - il Logos - possa sempre essere la vostra forza e consolazione.

In Lui,

Michael O'Brien



1) Mia traduzione della newsletter di Michael O'Brien del 30 agosto 2010. O'Brien è l'autore di diversi romanzi, tra cui Il nemico, di cui consiglio la lettura a coloro che hanno già gustato capolavori come Il padrone del mondo di Benson e Il racconto dell'anticristo di Soloviev.

sabato 28 agosto 2010

Notizie dell'(uc)ciellino

Come tradizione di tutti i reduci del Meeting, anche il sottoscritto scribacchia qualche sconnessa riga prima del meritato riposo.

La prima grande notizia riguardante l'edizione 2010 del Meeting di Rimini è che... non ha fatto notizia. Come al solito: grande clamore mediatico per piccoli fatterelli della periferia dell'impero e copertura quantomeno banale per l'evento culturale dell'anno. È un onore vedere che al Meeting è riservato lo stesso trattamento dei martiri cristiani e della messa in latino.

La seconda grande notizia è che (come al solito) il Meeting mi ha rigenerato. Essendo l'Unico Ciellino della Parrocchia, il Meeting mi è stato come un frigo zeppo di bevande fresche trovato in pieno deserto. Solo che il Meeting non è un miraggio.

La terza notizia è il trauma che uno subisce rientrando dal Meeting: all'improvviso tutto il mondo è di nuovo in moto, c'è un oceano di notizie, interviste, articoli, libri che meritano almeno un'occhiatina, più la grande quantità di materiale accumulato durante il Meeting (appunti, cataloghi, libri e altro materiale), più l'immensa quantità di contatti riaperti e di amici ritrovati.

È davvero difficile spiegare come e perché il Meeting è tanto grande quanto prezioso: bisogna vederlo di persona, senza illudersi di farsi un'idea con le sole notizie sulla stampa e sui telegiornali.

A seconda delle persone, mi trovo a dare definizioni diverse del Meeting. Ad un amico di grande cultura non ho saputo dir meglio che il Meeting è la mia “università dell'estate”. In una concentratissima settimana apprendo più cose di quante me ne dia un anno di lettura di giornali e notiziari. Uno si accorge di essersi culturalmente arricchito quando anche alcuni apparentemente insignificanti dettagli tornano subito utili per rinvigorire la propria fede (e quella del prossimo).

Vorrei dire tanto altro ma mi devo limitare ad una sola immagine.

Qualche anno fa degli universitari del Kazakhstan, vedendo il Meeting, ne restarono così strabiliati da dire che desideravano già farne uno simile nella loro terra. Quest'anno degli universitari di Taiwan, vedendo il Meeting, ne sono restati così strabiliati da dire che desiderano già farne uno simile nella loro terra.

sabato 21 agosto 2010

Niente Messa al Meeting

L'unica celebrazione eucaristica al Meeting di Rimini è quella della domenica di apertura. Per chi vuole assistere alla santa Messa anche nei giorni feriali ci sono le parrocchie riminesi, generalmente affollatissime proprio nei giorni della settimana del Meeting (indovinate perché).

Visto che gli spazi del Meeting sono cresciuti proporzionalmente alla nuova Fiera di Rimini, avevo ingenuamente ipotizzato la possibilità di assegnare un padiglione per le celebrazioni eucaristiche durante la settimana: con tutti i preti che circolano nel Meeting...

Invece esistono tre serie ragioni che per il momento lo sconsigliano; tento di descriverle qui, di getto[1], perché oramai la mia testa è già al Meeting.

Il primo problema è di ordine pratico: la crescita tumultuosa del Meeting. Anche se di anno in anno sono stati completati nuovi padiglioni e ambienti[2], gli spazi sembrano non bastare mai.

Il secondo è un serio problema umano: non “clericalizzare” il Meeting. Ci manca solo che delle beghe curiali[3] vi guadagnino un posto d'onore, per non parlare del laicato “impegnato” e ostinatamente intraprendente[4].

Temo infatti con sincero terrore l'invasione degli autonominati “animatori” delle messe, dei canti dell'alleluia “svita-lampadine”, dei tamburi, delle “chierichette”, della gentile pretesa (ma ferma pretesa, fermissima pretesa) da parte di preti “non ciellini” di celebrare la loro messa-spettacolino con soporifera predica (magari anticiellina, progressista, eretica, oltre che noiosa), possibilmente sotto i riflettori delle TV (scoop! a cinquanta metri da un incontro della CdO c'è un “eroico” prete che predica contro la Cdo!) e via cantando.

No, non si può fare.

La radice del guaio è nella forma Novus Ordo[5] della Messa[6], cioè in come viene comunemente percepita e come viene abitualmente celebrata: c'è troppa “autocelebrazione”, ci sono troppi “animatori” autonominati e fermissimi nel difendere il loro “diritto” (?) di “animare” secondo l'uzzolo momentaneo e l'ispirazione estemporanea. Il che è in netto contrasto con lo spirito che anima il Meeting: al Meeting si viene anzitutto per vedere e per ascoltare; il Meeting non è una anarco-Woodstock di talenti autoimprovvisati e mortalmente assetati di telecamere[7].

Il terzo è perciò un problema liturgico (e dunque teologico), e costituisce un ottimo argomento di meditazione. Ne riparleremo tra un po' di giorni.


1) Questo genere di considerazioni può evidentemente comparire solo su uno sperduto blog di uno sperduto (uc)ciellino, a causa dell'abuso odierno dei termini “discutibile” e “inaccettabile”.

2) Chi le ricorda le ultime edizioni del Meeting nella vecchia fiera? sì, quando eravamo stretti come sardine... E chi non ricorda negli ultimissimi anni il tempo necessario ad attraversare il fiume in piena di visitatori per andare da un padiglione all'altro?

3) Non mi riferisco solo alla curia locale (il Meeting è nel territorio della diocesi di Rimini), ma alla complessa psicologia pretesca in generale: purtroppo non tutti i preti hanno contemporaneamente pazienza, sante intenzioni e sobrietà liturgica.

4) Al Meeting non partecipano solo “ciellini”. Per di più il miele attira le mosche non meno che la cacca: ci mancano solo le spedizioni liturgico-barbariche di quelli che “andiamo lì a celebrare”.

5) Novus Ordo è la Messa approvata da papa Paolo VI (per intenderci, quella “in italiano”); Vetus Ordo è la Messa tradizionale in latino (quella di padre Pio, quella che papa Benedetto XVI ha detto nel famoso motu proprio che non è mai stata abolita).

6) Se anche per miracolo si potesse celebrare al Meeting nella sola forma Vetus Ordo, prima o poi la sete di telecamere e l'irrefrenabile voglia di “animare” farebbero ugualmente danni. Non parliamo poi dei giornali a sparare cagate come “CL passa a Lefebvre”, dei vescovi italiani, francesi e tedeschi a minacciare fuoco e fiamme sul movimento, dei giornali di sinistra a esultare dicendo “l'avevamo sempre detto che erano oscurantisti, finalmente abbiamo la prova”...

7) Non essendovi telecamere nelle parrocchie riminesi durante la settimana del Meeting, gli autoimpegnati miracolosamente dichiarano tregua.

venerdì 20 agosto 2010

Credenti e creduloni

«…È stato giustamente notato come il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all'esistenza degli extra-terrestri, alla new age, alla metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai programmi politici, crede alle catechesi ideologiche (vere persistenti catechesi) che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione, crede a tutto, appunto. Perciò mi parrebbe che la distinzione più adeguata tra gli uomini del nostro tempo non è tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni».
Citato da: Giacomo card. Biffi, 21 agosto 2000, Meeting di Rimini.

giovedì 19 agosto 2010

Stavolta l'(uc)ciellino vi fa la predica

Fin dai tempi degli Apostoli c'era il problema delle prediche mortalmente noiose: «un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto» (At 20,9).

Ahinoi, quanti ecclesiastici oggi inducono lo stesso profondo torpore con le loro omelie! Eppure, dal tesoro incommensurabile che ha la Chiesa[1] c'è solo l'imbarazzo della scelta di dove cominciare ad attingere.

Durante il poco entusiasmante sermone[2] che mi è piombato addosso durante la messa di oggi pensavo a come avrei commentato io quella pagina di Vangelo (Mt 22,1-14). Travaso qui sotto la mia predica virtuale, nella flebile speranza che qualche sacerdote tecnologicamente ferrato, alla ricerca di spunti omiletici nell'internet, trovi questo suggerimento che può utilizzare addirittura gratis, per verificare almeno se è più o meno noioso del suo stile[3].
La prima cosa che ci colpisce in questa pagina di Vangelo è la ferocia del re: manda a morte i nobili, dà alle fiamme intere città, getta nelle tenebre (previo legare mani e piedi) qualche invitato al banchetto, come neanche nei film d'azione più truci[4]. Alle orecchie dei contemporanei di Gesù, invece, questa faccenda doveva suonare assai familiare (ricordate il re Erode? quello che ordinò la strage degli innocenti, esatto).

Gesù inizia la parabola dicendo che «un re fece una festa di nozze per suo figlio»: non ci vuole molto per capire che il re è Dio Padre e il figlio è Gesù Cristo, la festa di nozze è il paradiso, la felicità eterna. Ma gli invitati «non volevano venire»: ripetutamente invitati, ripetutamente rifiutano (beh, sapete, gli affari, il lavoro, tante cose...) e addirittura malmenano e uccidono i servi del re. Che naturalmente li punisce subito come meritano.

Non è la prima volta che Gesù ricorda agli ebrei che hanno ignorato, malmenato e ammazzato i servi del Signore (cioè i profeti[5]); per esempio, ci torna subito in mente la parabola dei vignaioli omicidi (e anche stavolta ad ascoltare c'erano i capi dei sacerdoti e i farisei). Dunque, visto che i “nobili” rifiutano in maniera così offensiva quello che è un evento di importanza assoluta, il re si volge al resto del mondo, alla gente semplice come noi: i servi vengono spediti ovunque, in tutti gli angoli, «ai crocicchi delle strade», a invitare la gente semplice[6] al grande banchetto della felicità eterna, «buoni» o «cattivi» che siano (c'è dunque grande possibilità di salvezza anche per i “cattivi”, capite? una possibilità per tutti, anche per i più semplici, perfino per quelli che hanno fatto una vitaccia da “cattivi”).

Finalmente il re entra nella sala del banchetto «per vedere i commensali». Subito ne punta uno e lo chiama: «amico» (sentite, lo chiama “amico”: non lo sta ancora giudicando), «amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?» Eh, già: voi vi presentereste mai ad un importante ricevimento di matrimonio in pigiama e pantofole? Gli ha chiesto “come mai”, dunque gli sta offrendo una possibilità di giustificarsi. Ma «quello ammutolì» (se ammutolì vuol dire che un attimo prima gridava spensierato e faceva baccano), perché non aveva come giustificarsi. E perciò viene legato mani e piedi[7] e sbattuto fuori. Il termine che usa Gesù, «nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti», indica l'inferno (il pianto e lo stridor di denti indicano la sofferenza eterna).

L'abito nuziale rappresenta la vita cristiana, anzitutto i sacramenti: se uno desidera la felicità eterna, dovrebbe sapere che è necessario presentarsi rivestito in modo giusto a quel banchetto (rivestito di grazia, la grazia che viene dai sacramenti[8]). Dopotutto non è quel re che dà intere città alle fiamme? Quel re non è solo “severo ma giusto”: è anche misericordioso. Lo ha chiamato «amico», gli ha chiesto «come mai»: se davvero ti fosse stato impossibile trovare qualcosa da usare come abito nuziale, il re ne avrebbe tenuto conto, saresti rimasto «amico». Invece il soggetto «ammutolì», aveva sempre creduto che recitare la parte del cristiano[9] sarebbe stato sufficiente per presentarsi al cospetto del Signore.

Ricapitoliamo: il re offre la felicità eterna, ma gli “eletti” sono troppo affaccendati, e pagheranno le conseguenze del loro rifiuto. Allora il re offre la felicità eterna a tutta la gente normale, semplice, come noi, ed è addirittura disposto a chiudere un occhio nei casi particolari. Ma chi vuole aggirare le condizioni minime indispensabili per partecipare al banchetto eterno, non la scamperà. La felicità eterna non verrà data a chi non la desidera sul serio. “Non può essere mia una felicità che io non desidero”.[10]



1) Il tesoro incommensurabile della Chiesa è quello liturgico e dottrinale, altro che lo sterco del demonio. Non ci sarebbero state fede e santità se non ci fossero stati i sacramenti e l'insegnamento.

2) “Predica” è dispregiativo; “omelia” è troppo tecnologico; “sermone” è un termine utilizzato dai protestanti; talvolta fa capolino persino “spiegazione del Vangelo” (o delle letture), involontariamente ironico.

3) Chissà, magari divento famoso. Su qualche rivista di Alta Teologia comparirà un lungo e pensoso articolo: “Nuove Sfide Pastorali: Pregnanti Spunti Omiletici dal Laicato”.

4) No, non potevo citare Flash Gordon: «l'imperatore Ming ordina a tutti di essere felici... pena la morte!».

5) Seguiranno gli Apostoli e i cristiani. Solo uno degli Apostoli (Giovanni) morì di vecchiaia. Ci vollero tre secoli (non tre mesi o tre anni: tre secoli!) prima che le persecuzioni anticristiane cessassero.

6) Per un pio ebreo doveva essere quantomeno urtante l'idea che il “popolo eletto” riuscisse a perdere il privilegio di essere “eletto”. Gesù fa leva su questo loro sentirsi “eletti”, privilegiati, al di sopra degli altri popoli (non c'erano evidentemente leve migliori di questa): vedete? se sputate su questo ennesimo invito, che cosa direte quando vedrete i “gentili” (cioè i non ebrei) beneficiarne?

7) Qui non potevo dire “incaprettato”, altrimenti i fedeli avrebbero pensato ad un film sulla mafia.

8) Da quanto tempo non fate una buona confessione? Il sacramento della riconciliazione non è facoltativo: «a chi non li rimetterete, [i peccati] resteranno non rimessi». No, digressione troppo lunga (e comunque se fossi prete parlerei di quel sacramento almeno nel 50% delle omelie, quindi per stavolta posso anche lasciarla in sottinteso).

9) Non intendo solo i cosiddetti “cattolici non praticanti”; intendo anche i cristiani “imborghesiti”, quelli pronti ad esprimere pentimento di una pagliuzza nell'occhio del prossimo ma solidamente convinti della giustezza della trave nel proprio occhio.

10) Non voglio aggiungere altre parole. L'ultima citazione - non letterale, nonostante le virgolette - è di don Giussani. Dopotutto sono un (uc)ciellino.

sabato 14 agosto 2010

Influenza culturale: la menzogna al potere

In uno dei romanzi di Volkoff[1] (1932-2005), Il Montaggio[2], vengono descritti i meccanismi dell'influenza “culturale” che ha inquinato l'Europa nel secondo dopoguerra[3]. Le citazioni seguenti sono tratte da Vladimir Volkoff, Il Montaggio, edizioni Guida, 1990; corsivi ed evidenziazioni sono del sottoscritto.

Pagine 65-67: un funzionario del KGB spiega i concetti elementari della propaganda ad uno che sta per essere reclutato come agente di influenza:
Il nostro compagno Mao Tse-tung dice che bisogna «mettere nello stampo» la coscienza delle masse avversarie: poiché siamo noi ad aver forgiato lo stampo, poi le teniamo alla nostra mercè. [...] In primo luogo la propaganda bianca, che si giuoca a due e che consiste semplicemente nel ripetere milioni di volte «io sono migliore di te». In secondo luogo, la propaganda nera, che si giuoca a tre: si attribuiscono all'avversario propositi fittizi creati per dispiacere al terzo per il quale si dà questo spettacolo. Poi c'è l'intossicazione, che può essere giuocata a due o a tre; qui si tratta d'ingannare, ma con procedimenti più sottili della menzogna: per esempio io non ti darò informazioni false, ma farò in modo che tu me le rubi. In quarto luogo, c'è la disinformazione, parola di cui ci serviamo anche per designare globalmente tutti questi metodi. In senso stretto, la disinformazione sta all'intossicazione come la strategia sta alla tattica. [...] Il quinto metodo [...] si chiama influenza, gli altri quattro al confronto non sono che giochi da bambini. [...] Quel che bisogna fare, è demolire l'ordine vecchio senza proporre nulla di preciso per sostituirlo: soltanto quando sarà diventato completamente incapace di difendersi, allora si potrà introdurre l'ordine nuovo. Infine, nulla è più antiquato dello schema secondo il quale prima si fa della propaganda, poi si scatena un'insurrezione. In realtà, il terrore è indispensabile, ma soltanto per innescare l'esplosione che, dal canto suo, non ha alcun bisogno d'essere violenta. Karl Marx pensava ancora al binomio enciclopedisti-giacobini, ma noi abbiamo fatto progressi; ora il terrorismo non ha altra utilità che quella di fornirci le occasioni per esercitare ciò che noi chiamiamo la nostra influenza, e questo grazie a mezzi tecnici che Karl Marx non sognava neppure: i mass-media. [...] La cattura di un ostaggio o l'assassinio di un impiegatucolo avranno maggior risonanza di una guerra coloniale del XIX secolo.
Pagine 70-71: il reclutatore spiega cosa significa “operazione di influenza”:
La prima immagine, è la Leva. Più grande è la distanza fra il punto d'appoggio e il punto d'applicazione, più grande è il peso che si può sollevare, mantenendo uguale la forza. Bisogna ben impregnarsi dell'idea che ciò che forma la leva è la distanza stessa e, di conseguenza, cercare sempre di aumentarla, mai di diminuirla. Ne deriva che, nel campo dell'influenza, non bisogna mai agire da soli, ma attraverso un intermediario o, ancor meglio, attraverso una catena d'intermediari. Le darò un esempio storico, perché i grandi uomini del passato ebbero talvolta l'intuizione dei nostri metodi, anche se non li raccolsero mai in un corpo di dottrina. Filippo il Macedone vuole impadronirsi di Atene. Farà la propaganda bianca: «Voi Ateniesi sareste più felici se vi lasciaste governare da me»? No; si limita a infiltrare il partito pacifista di Eubulo, e Atene gli cade in mano come un frutto maturo. Questo partito fu la leva di Filippo. L'utilizzazione dei pacifisti è, del resto, divenuta classica; lo imparerà se seguirà il nostro corso: quando si vogliono mettere le mani su un paese, vi si crea un partito della pace, che si cerca di rendere popolare, e un partito bellicista che si discredita da solo, perché ben poche persone ragionevoli possono risolversi ad auspicare la guerra. Quando ero bambino, molti genitori francesi non regalavano giocattoli guerreschi ai loro figli. I poveri ragazzi sono cresciuti senza soldatini di piombo, senza fucili Eureka. La propaganda pacifista in Francia era un'operazione d'influenza organizzata da Hitler che, in Germania, alimentava il culto dell'esercito. Risultato: la calata di braghe del 1939. [...] Ha visto quel manifesto che rappresenta una madre con il bambino in braccio, e il motto «Lottiamo per la pace»? [...] La leva, è l'ingenuo che contempla il manifesto e ne ripercuote il messaggio; per esempio, il giornalista in buona fede che, credendo alle virtù della pace, non può fare a meno di credere alla sincerità di chiunque la rivendica. [...] Per esempio: tu hai deciso di gettare una certa popolazione nel terrore. Fai commettere un atto terroristico isolato. La stampa conservatrice si scatena per condannare quest'atto. Ma più lo condanna, più gli dà importanza, e, in fin dei conti, lavora per te.
Pagine 72-74: spiega il Vademecum dell'Agente di influenza[4]:
Il Vademecum dà dieci ricette per la creazione di informazioni tendenziose: [...] la contro-verità non verificabile; il miscuglio vero-falso; la deformazione del vero; la modifica del contesto; la sfumatura con la sua variante: le verità selezionate; il commento rafforzato; l'illustrazione; la generalizzazione; le parti disuguali; le parti uguali. [...] Supponiamo, diceva, il seguente fatto storico: Ivanov trova la moglie nel letto di Petrov. [...] Primo caso. Non ci sono testimoni. Il pubblico non sa come stiano le cose, e non ha alcun mezzo per informarsi. Tu dici chiaro e tondo che è stato Petrov a trovare sua moglie nel letto di Ivanov. È ciò che noi chiamiamo una contro-verità non verificabile. Seconda ricetta. Ci sono dei testimoni. Tu scrivi che la coppia Ivanov non funziona e ammetti che, sabato scorso, Ivanov ha sorpreso sua moglie insieme a Petrov. È vero, aggiungi, che la settimana prima era capitato alla Ivanova di sorprendere suo marito insieme alla Petrova. È il procedimento del miscuglio vero-falso. Le proporzioni, naturalmente, possono variare. I ragazzi dell'intossicazione, quando vogliono «convincere» l'avversario gli danno fino all'ottanta per cento di vero contro il venti per cento di falso, perché ciò che importa, al loro livello, è che un preciso punto falso sia tenuto per vero. Noi, disinformatori e agenti d'influenza, giochiamo sulla quantità e troviamo, al contrario, che un solo fatto vero e controllabile ne fa passare molti che non sono né l'uno né l'altro. Terzo trucco. Tu ammetti che la cittadina Ivanova era in camera di Petrov sabato scorso, ma ironizzi sull'argomento letto. Il mobile - dici tu - non c'entra niente con la faccenda. Con maggior verosimiglianza, la Ivanova era semplicemente seduta su una sedia o in una poltrona, ma è nello stile di Ivanov, che ha fin troppo la tendenza a finire sotto la tavola ubriaco, di calunniare la sua infelice consorte. Che cosa si pretendeva che facesse? Che si lasciasse pestare di santa ragione da quell'ubriacone del marito? Avrà creduto essere suo dovere rifugiarsi in camera di Petrov e con ogni probabilità era accompagnata dai suoi bambini in tenera età, poiché, insomma, nulla ci autorizza ad accusarla di averli lasciati alla mercè di quel bruto. Nulla, inoltre, dimostra che la cittadina Petrova non abbia assistito all'incontro Ivanova-Petrov, e la cosa è persino probabile poiché la scena avveniva nella camera occupata dai Petrov nell'appartamento comune che dividono con gli Ivanov. È il trucco della deformazione del vero. Quarto artificio. [...] Ricorri alla modifica del contesto. È esatto, dirai tu: Ivanov ha trovato sua moglie nel letto di Petrov, ma chi non conosce Petrov? è un mostro di concupiscenza. Non è improbabile che abbia subìto quattordici condanne per stupro. Quel giorno, ha incontrato la Ivanova nel corridoio, si è avventato su di lei, l'ha trascinata in camera sua ed era sul punto di violentarla quando, per fortuna, il degno cittadino Ivanov, tornando dalla fabbrica dove aveva ancora una volta ottenuto il premio dei tremila dadi avvitati in due ore e venticinque minuti, ha sfondato la porta e ha salvato la sua casta sposa da un destino peggiore della morte. E la prova, griderai tu a voce alta, la prova è che l'informazione iniziale non fa alcun cenno a rimproveri rivolti da Ivanov a Ivanova. Quinto procedimento: sfumatura. Tu anneghi il fatto vero in una massa di altre informazioni. Petrov, dirai, è uno stakanovista, un famoso suonatore d'armonica e giocatore di dama, è nato a Nizni-Novgorod, è stato artigliere in guerra, ha offerto un canarino alla madre per i suoi sessant'anni, ha delle amanti fra cui una certa Ivanova, gli piace il salame all'aglio, nuota bene sul dorso, sa fare i pelmeni siberiani... ecc. Abbiamo anche un trucco che è l'inverso della sfumatura: le verità selezionate. Scegli, nell'incidente che devi riferire, particolari veridici ma incompleti. Racconti per esempio che Ivanov è entrato in camera di Petrov senza bussare, che la Ivanova è sobbalzata perché era nervosa, che Petrov è parso offeso dalle maniere maleducate di Ivanov, e che, dopo aver scambiato qualche osservazione sul grandissimo rilassamento dei costumi ch'è una delle conseguenze del Vecchio Regime, i coniugi Ivanov sono tornati nella loro camera. Sesto metodo: il commento rafforzato. Tu non modifichi in nulla il fatto storico, ma ne trai, per esempio, una critica degli appartamenti in comune, che scompaiono sempre più rapidamente, ma dove gli incontri fra amanti e mariti avvengono ancora più di frequente di quanto preveda il piano quinquennale. Quindi descrivi una città moderna dove ogni coppia di tortorelle ha il suo appartamentino, dove può tubare a suo piacimento, e dipingi un quadro idillico della sorte invidiabile che in un simile paradiso aspetta gli Ivanov. Il settimo tranello è un'altra forma del sesto: è l'illustrazione, in cui si procede dal generale al particolare e non più dal particolare al generale. Puoi svolgere lo stesso tema: felicità delle coppie nelle città nuove costruite grazie all'efficienza benefica del regime dei Soviet, ma chiudi con un'esclamazione del genere: «Che progresso rispetto ai vecchi appartamenti in comune dove succedevano scene deplorevoli, come quella di quell'Ivanov che ha trovato la moglie nella camera del vicino!» L'ottava tattica è la generalizzazione. Per esempio, tu trai dalla condotta della Ivanova conseguenze sconcertanti sull'ingratitudine, l'infedeltà, la lussuria femminili, senza far parola della complicità di Petrov. O, invece, schiacci Petrov-Casanova, il vile seduttore, e assolvi, fra le acclamazioni della giuria, l'infelice rappresentante di un sesso vergognosamente sfruttato. La nona tecnica si chiama parti disuguali. Ti rivolgi ai tuoi lettori e chiedi loro di commentare l'accaduto. Pubblichi una lettera che condanna la Ivanova, anche se ne hai ricevute cento, e dieci che la giustificano, anche se hai ricevuto soltanto queste dieci. Infine la decima formula è quella delle parti uguali. Ordini a un professore d'università, polemista competente, amato dal pubblico, una difesa degli amanti in cinquanta righe, e chiedi a uno scemo di paese una condanna degli stessi amanti nelle stesse cinquanta righe, ciò che stabilisce l'imparzialità.
Pagina 79:
L'immagine del Fil di Ferro deriva dal fatto che, per spezzarlo, bisogna torcerlo nelle due direzioni opposte. Ora lei tocca proprio il fondo della nostra arte, uso la parola di proposito. L'agente d'influenza è il contrario di un propagandista, o meglio è il propagandista assoluto, colui che fa propaganda allo stato puro, mai in favore, sempre contro, senz'altro scopo che dare gioco, allentare, tutto scollare, sciogliere, disfare, disserrare. Se lei continuerà ad avere interesse per noi, le presterò un libro del pensatore cinese Sun Tzu, che visse venticinque secoli fa. Era il Clausewitz del suo tempo. Fra altre cose mirabili, disse questa, ch'egli riferiva alla disposizione delle truppe di fronte al nemico, ma che si adegua perfettamente a noi: la massima finezza è di non presentare una forma che possa essere definita chiaramente. Così facendo, sfuggirai alle indiscrezioni delle spie più perspicaci, e gli intelletti più sagaci non potranno architettare un piano contro di te. Esempio: l'agente di influenza sovietico non si farà mai passare per comunista. Ora con la sinistra, ora con la destra, segherà sistematicamente l'ordine esistente.
A buon intenditor, poche parole.


1) Le biografie di Volkoff riportano solitamente solo la sua attività di scrittore. Ufficiale dei servizi segreti francesi sotto il famoso conte De Marenches, ha potuto attingere a piene mani a informazioni sconosciute ai più, tanto da far pensare che Il Montaggio (pubblicato nel 1982 e non privo di elementi autobiografici) sia un messaggio per i servizi russi: vedete? sappiamo come, quando e dove avete agito. Ammiratore di Graham Greene, Volkoff introduce spesso nei suoi scritti il tema della redenzione, presente anche in più personaggi de Il Montaggio.

2) La prima edizione italiana, pubblicata dalla Rizzoli nel 1983, venne inspiegabilmente mandata al macero ancor prima di finire nelle librerie. Qualche editore minore, negli anni successivi, ha provveduto a ripubblicare Il Montaggio. Sebbene sia fuori catalogo da vent'anni, l'edizione che cito è ancora acquistabile presso l'Editoriale il Giglio ed altrove.

3) Rinvio alla sezione “commenti” di questa pagina per la segnalazione di un altro articolo sull'egemonia culturale e su quanto staordinariamente descritto da Volkoff nel suo romanzo. La vera guerra in corso oggi è una guerra di percezione: non conta più la realtà, ma conta ciò che viene comunemente percepito come realtà.

4) Il romanzo descrive mirabilmente come funzionano i media ancor oggi. Dopo aver letto tutte le citazioni, si provi a riflettere sul peso mediatico dei cosiddetti “attentati islamici” degli ultimi dieci anni, o sull'assurda sproporzione tra l'esposizione mediatica assicurata ad un qualsiasi “giallo dell'estate” rispetto alle quotidiane stragi di cristiani, se non alla strage per eccellenza (quella dell'aborto procurato). Si provi a ricordare dalla cronaca recente le isterie collettive sugli incidenti aerei, sulle pandemie di suina e aviaria. Si provi per esempio a spiegare come mai un testimone cambia versione a seconda dell'intervistatore; si provi poi a spiegare come mai la versione del Foglio è agli antipodi di quella dell'onesto Asianews a proposito del caso Padovese, tenendo presente che il Foglio non è di sinistra e che Asianews non racconta balle.

venerdì 13 agosto 2010

Protestanti, cattolici e latino nella liturgia

Ogni tanto noi ragazzini infilavamo la testa nella porta della chiesa evangelica per vedere cosa stessero facendo lì dentro. Era facile: il portone d'ingresso era sempre spalancato durante la funzione. La visuale esterna era impedita da un antiporta in legno che costringeva chi entrava a dividersi in due file. «File» si fa per dire, perché li vangilisti erano veramente quattro gatti. Dentro c'erano solo i banchi e, in fondo, un leggìo per il sermone. Non c'era nient'altro, nemmeno un crocifisso, e neanche una nuda croce, niente. Il «pastore» era sempre in borghese, e non si distingueva dai fedeli per l'abbigliamento. Tutto qui. Noi ragazzini osservavamo lo stesso silenzioso rispetto dei grandi nei confronti dei vangilisti. Era gente un po' strana, pensavamo. Contenti loro…

A far proseliti a Cianciana non provarono nemmeno. Avrebbero ricevuto risposte analoghe a quelle dell'operaio spagnolo (*). I ciancianesi erano vaccinatissimi contro le eresie. L'arciprete non aveva neanche bisogno di predicare contro il protestantesimo, per i seguaci del quale osservava lo stesso silenzioso rispetto di tutti gli altri. Erano un corpo praticamente estraneo, in paese, e tali mi sa che si sentivano anche loro.

Una volta il canto fu interrotto da mio padre. Mia madre mi aveva appena dato un fratellino, che era molto piccolo e, come tutti gli infanti, doveva fare la nanna nelle ore più impensate. Erano circa le sette di sera e mio padre, come suo solito quand'era in vacanza con la sua famiglia a Cianciana, stava in ciabatte, pantaloni del pigiama (a rigoni bordò) e canottiera. Malgrado le suppliche di mia madre, a cui parìva malu (le sembrava brutto, cioè, che mio padre interrompesse una funzione religiosa – anche se considerata stravagante – per giunta in quella tenuta casalinga), attraversò la strada ed entrò nella chiesa evangelica così come si trovava. Pregò il pastore di far abbassare la voce perché il bambino dormiva. I vangilisti, consci di costituire un'eccezione tollerata giusto per educazione e carità cristiana, obbedirono all'istante.

Quando venne introdotta la messa in italiano nel culto cattolico, sebbene a quel tempo a me della cosa non fregasse nulla, immediatamente il ricordo dei vangilisti riaffiorò nella mia mente. I canti che sentivo durante le celebrazioni cattoliche, notai con sorpresa, adesso erano simili, se non uguali, a quelli che avevo sentito eseguire a suo tempo ai vangilisti ciancianesi. Di questi ultimi si percepiva subito, allora, che non erano cattolici: non erano in latino.
Citato da: Rino Cammilleri, «Cianciana», edizioni Marna, 2002, (ISBN 88-7203-160-5), pagg. 99-100.

(*) L'operaio ateo spagnolo aveva risposto al predicatore protestante: «senti, amico. Io sono ateo e non credo nel Dio cattolico, che è quello vero. Figurati se posso credere nel tuo». L'episodio è avvenuto nel XVI secolo ed è riportato da san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli.

lunedì 9 agosto 2010

Cos'è Comunione e Liberazione? Chi sono i "ciellini"?

Per descrivere bene cos'è Comunione e Liberazione (CL) dovremmo lasciar parlare don Giussani, per esempio quando dice che a furia di insegnare gli aspetti elementari del cristianesimo si è ritrovato attorno un popolo. L'articolo qui sotto, sebbene un po' vecchiotto, descrive CL da un altro punto di vista. La parte evidenziata spiega perché CL è sgradita a tanta gente che si professa “di sinistra”.
A Milano convegno di “Comunione e liberazione”

SÌ, ROVESCIAMO TUTTO MA IN NOME DI CRISTO[1]

Millecinquecento giovani costituiscono la base di questo nuovo movimento cattolico, che opera nelle università ma anche nelle fabbriche e nei quartieri – “Non siamo gli estremisti della Dc”

Uno scantinato grande come il cinema Ariosto, che occupa il pianterreno: tavoli e scansie, un salone per le conferenze e la preghiera, mucchi di manifesti, opuscoli, striscioni; e poi altre stanzette ai piani superiori. Sono la centrale di «Comunione e liberazione», il gruppo che ha stupito Milano con migliaia di manifesti, bianchi e rossi, attaccati su tutte le strade, dal centro alla periferia. «Ne hanno attaccato uno perfino davanti alla Scala», lamenta con un pizzico di disappunto uno dei leaders del gruppo. Ma aggiunge, quasi a correggersi: «Noi prendiamo le cose sul serio».

Hanno preso le cose talmente sul serio che lunedì notte gran parte dei 1500 giovani di «Comunione e liberazione» sono scesi nelle strade a incollare quei manifesti metà bianchi e metà rossi, con una scritta vistosa: «Nell’università per la liberazione». E stamattina, con la stessa serietà, si sono ritrovati al Palalido per un convegno nazionale, pubblico, che deve servire a discutere e far discutere i programmi, gli obiettivi, le ambizioni di questo gruppetto.

«È marmellata per le mosche», commenta Pier Alberto Bertazzi, 27 anni, laureato in medicina, assistente alla clinica del lavoro: «È marmellata per le mosche, perché molti hanno in mente di strumentalizzarci, pensano magari che noi possiamo essere la forza alternativa del Movimento studentesco nelle università. Ma noi non siamo disponibili, non ci stiamo».

La prima comparsa, che sorprese gli ignari dei mille risvolti degli atenei milanesi, capitò proprio all’Università Statale, nel pomeriggio del 16 febbraio, durante l’assemblea organizzata dal «Comitatone» (il comitato che raccoglie il Cnu, cioè il più forte sindacato dei professori milanesi, e poi i partiti e i sindacati). I ragazzi di «Comunione e liberazione» arrivarono a mezzogiorno, con i panini infilati nella borsa dei libri. Presero posto sui sedili vellutati dell’aula magna, e cominciarono a cantare inni. Il più bello avvenne quando il coro intonò la strofa «Forza compagni / rovesciamo tutto / costruiamo un mondo meno brutto»[2]. I fans del Movimento studentesco, che erano rimasti un po’ stupiti e un po’ ridacchiosi di fronte alla scena, cominciarono ad applaudire[3]. Ma l’applauso si trasformò in una fischiata, quando il coro arrivò all’ultima strofa: «Ora tu dimmi / come può sperare un uomo / che ha in mano tutto / ma non ha il perdono».

La storia pubblica, mondana potremmo dire, iniziò quel pomeriggio. Ma la storia vera del gruppo è più vecchia: comincia quattro anni fa, dopo il bagno della «contestazione» del 1968. Comincia quando si ritrovano una trentina di giovani cattolici, che non accettano la situazione attuale, ma neppure la contestazione generica. «Riteniamo possibile operare all’interno del sistema, non per difendere le istituzioni, ma come strada per cambiarle», spiega Pietro Ortelli, 23 anni, laureando in scienze politiche.

È il secondo principio di comportamento. Il primo è un principio assoluto, filosofico e fideistico ad un tempo: «Siamo cristiani – dice Bertazzi: vogliamo essere presenti come cristiani nell’università». La sigla, «Comunione e liberazione», si spiega proprio con il richiamo alla componente cristiana: comunione significa «presenza, unità di persone»; liberazione vuol dire «liberazione da una situazione che stabilisce rapporti di oppressione e di sfruttamento». Un discorso libertario, ma fondato su una convinzione prima di tutto cristiana; non più sull’individuo, ma sulla comunità nella quale e attraverso la quale gli individui possono cambiare la società.

Così, dai trenta adepti della prima ora, la cerchia s’è allargata, a Milano e fuori Milano (in Emilia, nel Lazio, in Sicilia, Sardegna, all’estero). A Milano ci sono dieci gruppi, che operano nelle diverse facoltà: oltre che nella sede di via Ariosto 16, si ritrovano – spiega Bertazzi – «nei momenti tipici dell’esperienza cristiana: nella preghiera, nella messa, nella comunione vissuta concretamente dall’assemblea». Negli ultimi mesi, poi, il gruppo s’è esteso anche verso altre esperienze: nei quartieri e nelle fabbriche. Ma il centro base resta l’università, dove cercano di operare concretamente nei corsi e nelle lezioni, tentando di coinvolgere anche i professori nella loro ricerca. Inevitabile, in queste condizioni, che prima o poi si arrivasse ad una polemica con il Movimento studentesco. Emanuele Criscione, uno dei leader del Ms ha accusato «Comunione e liberazione» di essere un gruppetto nato l’altro ieri, sotto la spinta della Dc. «Sono gli extraparlamentari della Dc», «sono gli estremisti di centro» dicevano l’altro ieri due giovani, nell’atrio della Statale, di fronte ad un vistoso «datse-bao» (manifesto murale) del Movimento studentesco, che criticava aspramente i «filo-democratici» di «Comunione e liberazione».

Giro la domanda a Bertazzi: «È vero che vi paga la Dc per preparare il suo ritorno fra gli studenti dell’università? ». Si mette a ridere: «Macché, ci autotassiamo: ognuno si impegna a versare la quota che vuole tutti i mesi, ma deve versarla regolarmente». E un altro aggiunge: «Non è vero che siamo una filiazione di Forze nuove. Dentro la Dc abbiamo un amico, il vicesindaco di Milano, Andrea Borruso. Ma è lui un amico nostro, perché si è avvicinato alle nostre posizioni».

Posizioni che, viste dall’esterno, possono sembrare curiose e contraddittorie (sul fondale del Palalido campeggia un grande slogan: «Una vita nuova nella contraddizione contro le contraddizioni»). In realtà, sono il frutto di un lungo processo, compiuto da alcuni attivi militanti cattolici: dieci-quindici anni fa nella Gioventù studentesca (Gs), il gruppo cattolico che era guardato con benevolenza anche dall’allora arcivescovo di Milano, Montini; poi la milizia nella Fuci, l’organizzazione universitaria cattolica che aveva formato molti degli attuali dirigenti democratici (come Moro e Andreotti), ma ha finito per dissolversi dopo la «contestazione» del 1968. Da questa stessa matrice ideologica è nata una casa editrice, la Jaca book, che pubblica contemporaneamente libri teologici, opere contro l’imperialismo americano e contro le persecuzioni dei cristiani nei paesi dell’Est europeo.



1) Articolo di Walter Tobagi sul Corriere della Sera del 31 marzo 1973.

2) È un verso della Ballata del potere, composta da Claudio Chieffo (1945-2007) alla fine degli anni Sessanta. Storicamente, tutte le rivoluzioni sono cominciate con “distruggiamo tutto e poi dopo troveremo qualche modo per costruire il mondo perfetto”.

3) Negli anni Settanta la sinistra credeva ancora nella Rivoluzione.

martedì 3 agosto 2010

Umorismo tridentino

«Ora, chi non è papista, può essere Sacramentario[1], Anabattista, o Luterano, oppure, tra tutte le sette alle quali si può appartenere, c’è quella che ammette due sacramenti, come i luterani zelanti, tre, come i Leipsians, o quattro come i Wittenbergers; oppure si può essere un Osiandrin[2], un mezzo Osiandrin o un Antiosiandrin; un Anabattista aperto o un Anabattista chiuso, un nuovo Pelagiano o una nuovo Manicheo. C’è chi dice che insieme al pane c’è il Corpo di Cristo, o c’è il pane senza il Corpo, o solo il Corpo. Dio ha ora rivelato tutto ciò, insieme ad una serie di diverse dottrine professate e difese liberamente dai protestanti, in nome delle verità, delle fedi e dei Vangeli, per ricompensare le tenebre di 900 anni»[3].
Lo scriveva nel 1564 (due anni prima che salisse al soglio pontificio san Pio V) un apologeta cattolico inglese, ironizzando sulla ricca varietà di posizioni dottrinali a disposizione di chi avesse a noia la tradizione cattolica.


1) Setta luterana fondata da Carlostadio.

2) Seguace di Andrea Osiander, 1498-1552.

3) Autore inglese citato da Marvin O'Connell, citazione trovata in un articolo di E. Michael Jones.

lunedì 2 agosto 2010

Meeting: la militanza ha bisogno di...

La militanza ha bisogno di lavorare con calma...



...la militanza ha bisogno di svagarsi un po' tra un impegno e l'altro...



...la militanza ha bisogno di rifocillarsi adeguatamente...



...la militanza può aver bisogno, talvolta, di una pennichella ristoratrice!



Arrivederci al Meeting di Rimini 2010!

domenica 1 agosto 2010

Ucciellino al Meeting 2010

Anche quest'anno ci gustiamo il Meeting di Rimini[1].

Il programma è interessante come sempre (basta evitare come la peste i noiosi[2] incontri di Unioncamere, quelli a base di finanza, fisco, eccetera). Quando non ci sono incontri di rilievo, si possono seguire le mostre.



Domenica 22 agosto 2010

Alle 15 in sala A1, incontro con la Rose Busingye del Meeting Point di Kampala: vale sempre la pena seguirla.

Alle 19 in sala A1, “teologia della liturgia”: presentazione del primo volume dell'opera omnia di Benedetto XVI. Non sarà una cosa leggerissima, temo, anche a causa della presenza di un vescovo[3]. Probabilmente sarò in sala A2, dove si presenta la mostra “Danzica 1980: Solidarnosc”. Sempre alle 19, al Caffè Letterario (sala D5) presentano, tra gli altri, un nuovo libro sulla vita di Rolando Rivi, seminarista e martire.



Lunedì 23 agosto

Alle 11:15 in sala A2, “il desiderio nella cultura classica”: potrebbe essere interessante. Ma quasi certamente sarò in sala A4 per la presentazione della mostra su Enzo Piccinini.

Da non perdere: alle 15 in sala A4 c'è un interessante incontro “Angli o angeli? Da Newman a Chesterton: un percorso nella cultura inglese tra letteratura e musica”. Purtroppo alle 15 al D5 c'è anche la presentazione del libro su Solzenicyn della Saràskina (l'assistente di Solzenicyn), della quale seguii un grande intervento due anni fa proprio al Meeting. A meno di imparare a bilocare nel frattempo, dovrò perdere uno di questi due...

Alle 17 in auditorium B7 ci sono il cardinale Erdö e il metropolita Filaret.

Alle 21:45 nell'arena D3 c'è uno spettacolo dedicato alla Maria Judìna, “la pianista che commosse Stalin”.



Martedì 24

Alle 11:15 in sala A1 un incontro con l'arcivescovo di Dublino su John Henry Newman. Mi dispiace dover perdere la presentazione, in sala A2, della mostra sul cuore della matematica. Ma forse correrò in sala A4 per il film documentario sulla vita della pianista Marija Judina.

Alle 15 al caffè letterario D5 si potrebbe seguire anche la presentazione del libro di Rondoni “Hermann. Una vita storta e santa puntata alle stelle”.

Imperdibile: alle 17, in auditorium B7 (ed in “meetingvisione” in ogni angolo, visto che l'auditorium sarà affollatissimo) c'è l'incontro di presentazione del Meeting tenuto dal don Pino (Stefano Alberto). Come da rigorosa tradizione ciellina, non sarà un “quantosiamobravi quantosiamobelli” ma al contrario sarà utile a chiunque per capire perché il movimento di Comunione e Liberazione c'è ed è vivo con tutta la sua baldanza.

Alle 19, al caffè letterario D5, Morresi e Roccella presentano il libro “La favola dell'aborto facile: miti e realtà della Ru486”.

Alle 20:30 in sala A4 la proiezione di “Volevo essere felice”, reportage biografico sulla vita di Enzo Piccinini.



Mercoledì 25

Questa è sicuramente la giornata più densa di tutte, mi toccherà sacrificare qualcosa...

Alle 11:15 nel salone B7 c'è l'incontro “Quale bene dalla scienza?” Sono in dubbio se seguire questo oppure se seguire in sala A4 “Letture, figure e musica”.

Alle 15 in sala A1 c'è un incontro con la Margherita Coletta. Ci andrei volentieri, ma vedo che in sala A2 c'è la presentazione dell'edizione in cinese[4] de “Il senso religioso” di don Giussani: assolutamente imperdibile, si potrebbe venire al Meeting anche soltanto per seguire questo incontro e ne sarebbe ampiamente valsa la pena.

Alle 19 in sala A2 c'è la presentazione della mostra sulla Flannery O'Connor.

Alle 19:45 nel teatro D2 c'è una rappresentazione tratta dall'epistolario della O'Connor, “L'ultima parola è dei pavoni”.

Alle 20, nella chiesa di sant'Agostino, padre Romano Scalfi celebra la divina liturgia in rito bizantino-slavo.

Alle 21:45 il film su Popieluszko in sala Neri.



Giovedì 26

Alle 11:15 in sala Neri un interessantissimo incontro col presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre: “Guerra ai cristiani”.

Purtroppo alle 11:15 in sala A4 c'è un altro interessantissimo incontro: “Indagine sulla Sindone”.

Purtroppo, sempre alle 11:15, al caffè letterario D5 c'è un altro incontro sulla Flannery O'Connor... Insomma, padre Pio bilocava e io invece vorrei “trilocare”?

Alle 13:45 al padiglione B5 c'è Paolo Cevoli.

Alle 19 in sala Neri il don Max (Massimo Camisasca) presenta il suo libro “Padre - Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?” Ho già letto il libro, ma mi è assai gradito risentire l'autore (con la scusa di presentare libri, al Meeting si spazia ampiamente).



Venerdì 27

Ci sono vari incontri che potrebbero essere interessanti (il buddista affascinato da don Giussani, alle 11:15 in sala B7; la presentazione di un audiolibro su padre Pio, alle 15 in sala A4; un libro sul curato d'Ars, alle 15 al D5; “Vita tra scienza e filosofia”, alle 19 in sala Neri; la rassegna di reportage “Cristiani in Iraq” alle 19 in sala A4; “Milano è una cozza” di Doninelli presentato alle 19 al D5), ma probabilmente per me sarà la giornata da dedicare alle mostre.



Sabato 28

Alle 11:15 nel salone B7 l'incontro “Io e tu: un binomio inscindibile”.

Alle 15 in auditorium B7 conclusione del Meeting con la presentazione (postuma) del libro di don Giussani “L'io rinasce da un incontro”.



Mostre

Le mostre sono visitabili tutta la settimana. Qui elenco quelle che considero imperdibili:
  • sull'Ulisse dantesco, al padiglione A5
  • mostra su Flannery O'Connor, al padiglione A3
  • il portico della gloria della cattedrale di Santiago de Compostela, al padiglione A3
  • mostra su santo Stefano d'Ungheria, al padiglione A5
  • Danzica e Solidarnosc, al padiglione C5
Ci vediamo al Meeting!


1) Qualche brevissima nota ad onta dei “cattolici al di sopra delle parti” (cioè delle parti che non siano le loro comode parti) e di coloro che ostentano indifferenza. Quando con disprezzo lo chiamano “il meeting di Comunione e Liberazione” dimenticano che nel panorama cattolico non esiste niente di simile; sarebbe bello vedere altre realtà ecclesiali “non cielline” fare qualcosa di altrettanto grande (per spessore religioso, culturale, sociale, economico, politico, scientifico, eccetera, oltre che per partecipazione di popolo) ma... quanto dovremo aspettare? Per analogia, se si trattasse di un bel film, certi sedicenti cattolici “al di sopra delle parti” (cioè pregiudizialmente avversi a CL) esclamerebbero qualcosa come: «non posso vedere quel film perché lo trasmette la TV del Berlusca ed io non sono Berlusconiano». Qualche giorno fa, per la centesima volta, uno addirittura mi opponeva il fatto che nel Meeting non si fanno incontrini di preghiera con canzonette chiesastiche, come se il cattolicesimo consistesse solo in quello senza includere uno sguardo aperto a tutta la realtà.

2) Li considero noiosi. Si può anche non essere d'accordo con me.

3) Salvo rare eccezioni, come mons. Negri, considero generalmente assai soporiferi i vescovi. Talvolta non ne hanno colpa: essendo sempre nel mirino, non possono permettersi di parlare liberamente...

4) «Se c'è un posto dove bisogna andare a far conoscere Cristo, è la Cina, perché quelli sono come noi, stanno aspettando la stessa cosa che conosciamo noi, ma nessuno glielo dice» (appunti dal film documentario L'ultimo ponte).