Ahinoi, quanti ecclesiastici oggi inducono lo stesso profondo torpore con le loro omelie! Eppure, dal tesoro incommensurabile che ha la Chiesa[1] c'è solo l'imbarazzo della scelta di dove cominciare ad attingere.
Durante il poco entusiasmante sermone[2] che mi è piombato addosso durante la messa di oggi pensavo a come avrei commentato io quella pagina di Vangelo (Mt 22,1-14). Travaso qui sotto la mia predica virtuale, nella flebile speranza che qualche sacerdote tecnologicamente ferrato, alla ricerca di spunti omiletici nell'internet, trovi questo suggerimento che può utilizzare addirittura gratis, per verificare almeno se è più o meno noioso del suo stile[3].
La prima cosa che ci colpisce in questa pagina di Vangelo è la ferocia del re: manda a morte i nobili, dà alle fiamme intere città, getta nelle tenebre (previo legare mani e piedi) qualche invitato al banchetto, come neanche nei film d'azione più truci[4]. Alle orecchie dei contemporanei di Gesù, invece, questa faccenda doveva suonare assai familiare (ricordate il re Erode? quello che ordinò la strage degli innocenti, esatto).
Gesù inizia la parabola dicendo che «un re fece una festa di nozze per suo figlio»: non ci vuole molto per capire che il re è Dio Padre e il figlio è Gesù Cristo, la festa di nozze è il paradiso, la felicità eterna. Ma gli invitati «non volevano venire»: ripetutamente invitati, ripetutamente rifiutano (beh, sapete, gli affari, il lavoro, tante cose...) e addirittura malmenano e uccidono i servi del re. Che naturalmente li punisce subito come meritano.
Non è la prima volta che Gesù ricorda agli ebrei che hanno ignorato, malmenato e ammazzato i servi del Signore (cioè i profeti[5]); per esempio, ci torna subito in mente la parabola dei vignaioli omicidi (e anche stavolta ad ascoltare c'erano i capi dei sacerdoti e i farisei). Dunque, visto che i “nobili” rifiutano in maniera così offensiva quello che è un evento di importanza assoluta, il re si volge al resto del mondo, alla gente semplice come noi: i servi vengono spediti ovunque, in tutti gli angoli, «ai crocicchi delle strade», a invitare la gente semplice[6] al grande banchetto della felicità eterna, «buoni» o «cattivi» che siano (c'è dunque grande possibilità di salvezza anche per i “cattivi”, capite? una possibilità per tutti, anche per i più semplici, perfino per quelli che hanno fatto una vitaccia da “cattivi”).
Finalmente il re entra nella sala del banchetto «per vedere i commensali». Subito ne punta uno e lo chiama: «amico» (sentite, lo chiama “amico”: non lo sta ancora giudicando), «amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?» Eh, già: voi vi presentereste mai ad un importante ricevimento di matrimonio in pigiama e pantofole? Gli ha chiesto “come mai”, dunque gli sta offrendo una possibilità di giustificarsi. Ma «quello ammutolì» (se ammutolì vuol dire che un attimo prima gridava spensierato e faceva baccano), perché non aveva come giustificarsi. E perciò viene legato mani e piedi[7] e sbattuto fuori. Il termine che usa Gesù, «nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti», indica l'inferno (il pianto e lo stridor di denti indicano la sofferenza eterna).
L'abito nuziale rappresenta la vita cristiana, anzitutto i sacramenti: se uno desidera la felicità eterna, dovrebbe sapere che è necessario presentarsi rivestito in modo giusto a quel banchetto (rivestito di grazia, la grazia che viene dai sacramenti[8]). Dopotutto non è quel re che dà intere città alle fiamme? Quel re non è solo “severo ma giusto”: è anche misericordioso. Lo ha chiamato «amico», gli ha chiesto «come mai»: se davvero ti fosse stato impossibile trovare qualcosa da usare come abito nuziale, il re ne avrebbe tenuto conto, saresti rimasto «amico». Invece il soggetto «ammutolì», aveva sempre creduto che recitare la parte del cristiano[9] sarebbe stato sufficiente per presentarsi al cospetto del Signore.
Ricapitoliamo: il re offre la felicità eterna, ma gli “eletti” sono troppo affaccendati, e pagheranno le conseguenze del loro rifiuto. Allora il re offre la felicità eterna a tutta la gente normale, semplice, come noi, ed è addirittura disposto a chiudere un occhio nei casi particolari. Ma chi vuole aggirare le condizioni minime indispensabili per partecipare al banchetto eterno, non la scamperà. La felicità eterna non verrà data a chi non la desidera sul serio. “Non può essere mia una felicità che io non desidero”.[10]
1) Il tesoro incommensurabile della Chiesa è quello liturgico e dottrinale, altro che lo sterco del demonio. Non ci sarebbero state fede e santità se non ci fossero stati i sacramenti e l'insegnamento.
2) “Predica” è dispregiativo; “omelia” è troppo tecnologico; “sermone” è un termine utilizzato dai protestanti; talvolta fa capolino persino “spiegazione del Vangelo” (o delle letture), involontariamente ironico.
3) Chissà, magari divento famoso. Su qualche rivista di Alta Teologia comparirà un lungo e pensoso articolo: “Nuove Sfide Pastorali: Pregnanti Spunti Omiletici dal Laicato”.
4) No, non potevo citare Flash Gordon: «l'imperatore Ming ordina a tutti di essere felici... pena la morte!».
5) Seguiranno gli Apostoli e i cristiani. Solo uno degli Apostoli (Giovanni) morì di vecchiaia. Ci vollero tre secoli (non tre mesi o tre anni: tre secoli!) prima che le persecuzioni anticristiane cessassero.
6) Per un pio ebreo doveva essere quantomeno urtante l'idea che il “popolo eletto” riuscisse a perdere il privilegio di essere “eletto”. Gesù fa leva su questo loro sentirsi “eletti”, privilegiati, al di sopra degli altri popoli (non c'erano evidentemente leve migliori di questa): vedete? se sputate su questo ennesimo invito, che cosa direte quando vedrete i “gentili” (cioè i non ebrei) beneficiarne?
7) Qui non potevo dire “incaprettato”, altrimenti i fedeli avrebbero pensato ad un film sulla mafia.
8) Da quanto tempo non fate una buona confessione? Il sacramento della riconciliazione non è facoltativo: «a chi non li rimetterete, [i peccati] resteranno non rimessi». No, digressione troppo lunga (e comunque se fossi prete parlerei di quel sacramento almeno nel 50% delle omelie, quindi per stavolta posso anche lasciarla in sottinteso).
9) Non intendo solo i cosiddetti “cattolici non praticanti”; intendo anche i cristiani “imborghesiti”, quelli pronti ad esprimere pentimento di una pagliuzza nell'occhio del prossimo ma solidamente convinti della giustezza della trave nel proprio occhio.
10) Non voglio aggiungere altre parole. L'ultima citazione - non letterale, nonostante le virgolette - è di don Giussani. Dopotutto sono un (uc)ciellino.
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