Ogni tanto noi ragazzini infilavamo la testa nella porta della chiesa evangelica per vedere cosa stessero facendo lì dentro. Era facile: il portone d'ingresso era sempre spalancato durante la funzione. La visuale esterna era impedita da un antiporta in legno che costringeva chi entrava a dividersi in due file. «File» si fa per dire, perché li vangilisti erano veramente quattro gatti. Dentro c'erano solo i banchi e, in fondo, un leggìo per il sermone. Non c'era nient'altro, nemmeno un crocifisso, e neanche una nuda croce, niente. Il «pastore» era sempre in borghese, e non si distingueva dai fedeli per l'abbigliamento. Tutto qui. Noi ragazzini osservavamo lo stesso silenzioso rispetto dei grandi nei confronti dei vangilisti. Era gente un po' strana, pensavamo. Contenti loro…Citato da: Rino Cammilleri, «Cianciana», edizioni Marna, 2002, (ISBN 88-7203-160-5), pagg. 99-100.
A far proseliti a Cianciana non provarono nemmeno. Avrebbero ricevuto risposte analoghe a quelle dell'operaio spagnolo (*). I ciancianesi erano vaccinatissimi contro le eresie. L'arciprete non aveva neanche bisogno di predicare contro il protestantesimo, per i seguaci del quale osservava lo stesso silenzioso rispetto di tutti gli altri. Erano un corpo praticamente estraneo, in paese, e tali mi sa che si sentivano anche loro.
Una volta il canto fu interrotto da mio padre. Mia madre mi aveva appena dato un fratellino, che era molto piccolo e, come tutti gli infanti, doveva fare la nanna nelle ore più impensate. Erano circa le sette di sera e mio padre, come suo solito quand'era in vacanza con la sua famiglia a Cianciana, stava in ciabatte, pantaloni del pigiama (a rigoni bordò) e canottiera. Malgrado le suppliche di mia madre, a cui parìva malu (le sembrava brutto, cioè, che mio padre interrompesse una funzione religiosa – anche se considerata stravagante – per giunta in quella tenuta casalinga), attraversò la strada ed entrò nella chiesa evangelica così come si trovava. Pregò il pastore di far abbassare la voce perché il bambino dormiva. I vangilisti, consci di costituire un'eccezione tollerata giusto per educazione e carità cristiana, obbedirono all'istante.
Quando venne introdotta la messa in italiano nel culto cattolico, sebbene a quel tempo a me della cosa non fregasse nulla, immediatamente il ricordo dei vangilisti riaffiorò nella mia mente. I canti che sentivo durante le celebrazioni cattoliche, notai con sorpresa, adesso erano simili, se non uguali, a quelli che avevo sentito eseguire a suo tempo ai vangilisti ciancianesi. Di questi ultimi si percepiva subito, allora, che non erano cattolici: non erano in latino.
(*) L'operaio ateo spagnolo aveva risposto al predicatore protestante: «senti, amico. Io sono ateo e non credo nel Dio cattolico, che è quello vero. Figurati se posso credere nel tuo». L'episodio è avvenuto nel XVI secolo ed è riportato da san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli.
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