Molti anni fa non credevo alle mie orecchie quando un caro amico di CL con serietà e gravità mi metteva in guardia: i movimenti passano, la Chiesa resta, un giorno il massimo per la tua vita potrebbe non essere più il movimento. All'epoca mi parve un po' apocalittico. Ne ho visti tanti, in vita mia, lasciare il movimento per i motivi più patetici: convenienza elettorale, confusione tra “CL” e “i quattro idioti che ho davanti”, mancato obiettivo di trovarvi una fidanzatina... Lasciò il movimento anche quel giovanotto apocalittico. Ma quelle parole, di fronte alla domanda di De Mattei, le vedo ritornare improvvisamente a galla.
Il fatto è che il movimento così come l'ho conosciuto non coincide col movimentismo che vedo oggi, dove c'è un accanimento nel mantenere posizioni (culturali, sociali, perfino politiche e teologiche) che don Giussani aveva provveduto a seppellire personalmente. L'accanimento è infatti l'attributo principale dell'ideologia. I termini indicati da De Mattei sono esattamente la descrizione dell'imborghesimento di vaste aree del movimento di CL (la riduzione intellettualistica, dei giussanologi, e la riduzione attivistica, dei cielloti sono il risultato finale dell'istituzionalizzazione di un'esperienza, della riduzione del movimento ad un club).
Era terribilmente fecondo per la nostra vita spirituale l'essere disprezzati dai parroci, rinnegati dai vescovi, ignorati dai media (tranne quando c'era da montare scandali contro di noi). Quelle ingiuste persecuzioni ti condannavano a ricercare sempre le ragioni di tutto. Ti facevano vivere certi gesti (anche semplici come la liturgia delle ore) come una necessità vitale quotidiana anziché come l'affermazione di un'identità. Quel che maggiormente mi convinceva del movimento era ciò che l'accompagnava nella sua pretesa di essere dalla parte della verità: e cioè il fatto che ti sfidava continuamente a verificare tutto nella tua stessa esperienza,[1] senza trascurare nulla di ciò che vivi. Al punto che don Giussani poteva permettersi gesti audaci al limite della temerarietà (ma in fin dei conti educativi perché era sempre chiaro ciò che lui indicava) come il regalare libri marxisti ad un giovane sedicente marxista, o di invitare un giovane ebreo ad andare fino in fondo nella sua esperienza dell'ebraismo (col chiaro sottinteso: non troverai la felicità, perché non è lì ma è in Cristo).
Don Giussani poteva farlo perché i giovani citati non avrebbero potuto più cancellare dalla loro vita l'incontro con lui. Il pilota addestratore può permettersi acrobazie in volo che l'allievo non riuscirebbe a fare neppure in bicicletta. L'aspirante allievo che volesse emularle anche solo a parole farebbe una pessima figura. Invece da qualche tempo a questa parte si vede spesso la scena dell'allievo che pretende di fare meglio e più del maestro, confondendo la sfida ad “andare fino in fondo” come un modo elegante di professare proprio quel comodo relativismo che avevamo sempre condannato. “Comodo” nel senso di -per esempio- porsi senza opporsi. Fino a scene surreali come il confondere il dovuto rispetto ai governanti col servilismo verso certi politici che per qualche misterioso motivo vengono ritenuti “utili”. Piccinerie da cattolici imborghesiti.
Quando il movimento era perseguitato, avevamo continuamente l'esigenza urgente di andare alle radici della nostra esperienza. Ora che il movimento si è per gran parte imborghesito (effettaccio collaterale dell'istituzionalizzazione), quell'esigenza si è ridotta ad un... pomposo discorso sull'esigenza. Confesso che certe volte mi sento un po' tradito, pur avendo sempre verificato che le debolezze interne di CL sono dopotutto perfettamente parallele a quelle dell'orbe cattolico.
A differenza di De Mattei, che probabilmente conosce CL solo dalla lettura di libri e articoli, a me non risulta che l'orizzonte ciellino fosse quello della nouvelle théologie progressista. La sfida a verificare tutto nella propria esperienza era -ed ancor oggi è- in polemica con la riduzione intellettualistica (o sentimentalistica) della fede. Don Giussani prima e don Carròn poi si sono sgolati a ricordarlo per evitare che il popolo bue, mosso dalle piccinerie del momento, cadesse nella trappola. Don Giussani riusciva a citare perfino un De Chardin, senza farne un maestro. Né furono veramente nostri maestri - per quanto li si abbia apprezzati - i vari De Lubac, Von Balthasar, De La Potterie... nomi che ci suonano graditi e familiari,[2] ma nessun ciellino è diventato tale (o almeno rimasto tale) attingendo da loro per capire don Giussani. Ad un osservatore esterno come De Mattei è facile etichettare ma a facilitarglielo è stato proprio il movimentismo di quei sedicenti ciellini che si credono tali perché tappezzano i loro discorsi di “Giussani”, “Carròn” e parole di don Giussani adoperate a mo' di gergo del club.
Come rispetto al resto della Chiesa, anche rispetto a CL si può tentare una prima scrematura osservando chi eventualmente cita il Vaticano II a sostegno di qualcosa e viceversa chi parla in modo da infilare nel discorso qualcosa del Vaticano II (come se stesse perennemente di fronte ad una improbabile commissione inquisitoria sul criptolefebvrismo). Cioè tra chi prende il Concilio per ciò che è, e chi invece lo prende per ciò che il-Concilio-dei-media pretese di essere. Tra chi avverte l'esigenza che Cristo c'entri con tutto (“Cristo c'entra anche con la matematica”, “con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza”), e chi invece ha bisogno di una pezza d'appoggio per affermare qualcos'altro. In tutta onestà, non ho mai avuto l'impressione che don Giussani citasse il Vaticano II più dello stretto necessario, con uno sguardo positivo ma non adulante. Ma i giussanologi di ieri e di oggi, nella fretta di dimostrarsi fedeli a qualcosa,[3] hanno preso fischi per fiaschi ed hanno parlato e scritto e insegnato in modo da trasmettere quella stessa fretta. Questo meccanismo, quest'affermazione di sé, è lo stesso che ha prodotto equivoci in altri ambiti (incluso quello politico e quello dell'organizzazione interna), fino ai patetici attacchi a Gnocchi e Palmaro al solo scopo di affermare (magari in perfetta buona fede) la propria fedeltà a qualcuno.
No, CL non è il prodotto della nouvelle théologie, e le sue autoriduzioni a club culturale/sociale sono o l'effetto in grande scala dell'ignoranza, oppure il risultato dell'istituzionalizzazione e dell'imborghesimento.[4]
1) Un rinomato ecclesiastico raccontava tutto scandalizzato di un giovane ciellino che aveva detto “io credo solo alla mia esperienza”. Anziché leggervi il rifiuto delle ideologie e delle teorie calate dall'alto - se la fede fosse banalmente un contenuto dottrinale, Gesù si sarebbe limitato a pubblicare un libro - il miope prelato credeva di aver a che fare col solito esperienzialismo indifferente all'insegnamento delle cose della fede. Amare Cristo ha sempre avuto come corollario la sete di conoscerLo così come madre Chiesa ce lo presenta. Perciò l'insistenza ciellina sull'esperienza non è stata una ricetta accompagnata da altre ricette, ma è stata la risposta ad un cristianesimo senza desiderio e senza sete, sentimentalistico o intellettualistico. Anch'io direi “credo solo alla mia esperienza” per... rispondere telegraficamente all'insinuazione che ci sarebbe qualcosa dell'umano che non c'entra con Cristo.
2) Fu grazie alle indicazioni di Von Balthasar che la nascente società dei Memores Domini poté ricevere l'approvazione pontificia nel 1988 (pochi giorni prima della sua morte). Fu grazie alle donazioni di William Congdon che poté nascere il monastero alla Cascinazza. La grande gratitudine per Congdon sfocia in una incondizionata ammirazione di tanti tifosi ciellini per i suoi brutti dipinti. Per questo ho usato il termine “familiarità”. Per questo sono convinto che l'eventuale ammirazione per Von Balthasar da parte di tanti ciellini sia il risultato di una “familiarità” piuttosto che di un improbabile balthasarismo ciellino.
3) Il percepire un continuo bisogno di proclamarsi fedeli al Vaticano II è un ottimo spunto di riflessione per quanto riguarda la salute mentale e quella spirituale.
4) Per istituzionalizzazione intendo in realtà i suoi effetti collaterali, tra cui la perdita di una parte di libertà dovuta al fatto che ora siamo “un movimento come gli altri”, cioè siamo soggetti a tutta una serie di noiose omelie e noiosi gesti ecclesiali di cui prima, in quanto perseguitati, eravamo felicemente esonerati.
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