domenica 21 luglio 2013

Sul diritto di lamentarsi

La prima cosa che si fa al momento della nascita è lamentarsi, cioè tentare di spiegare al resto del mondo che qualcosa non va bene, e con ciò domandare aiuto a chiunque possa darne. A quei vagiti, negli anni successivi, si aggiungono numerose altre sofisticate forme di lamentela, tutte sullo stesso schema: accertato che qualcosa non va, impossibilitati a identificare rapidamente una soluzione operativa ed efficace, tentiamo di proporre delle dolorose certezze all'attenzione altrui.[1]

Purtroppo in questo mondo ingiustizie, miserie e sofferenze sono tante e tali da far sembrare fastidiosa qualsiasi lamentela. Col risultato che a lamentarsi poco, si finisce per dare l'impressione che non c'è un vero problema, a lamentarsi troppo si finisce per dare la stessa impressione, e a lamentarsi moderatamente si finisce per far credere che si tratta solo di una seccatura come tante altre, non meritevole né di attenzione né di trattamento urgente.

Orecchie sagge sanno estrarre dalla lamentela più complessa e bizzarra l'effettiva necessità che l'ha fatta sgorgare. La virtù del santo è non solo nel saper ascoltare il lamentoso ma anche nel saper dare un nome preciso al problema e descrivere la soluzione in modo comprensibile. La raccomandazione spirituale del lamentarsi il meno possibile è in realtà un incoraggiamento ad allenarsi ad osservare, comprendere, capire tutti i fattori della realtà.

Ieri tentavo di riflettere sulla diffusa epidemia di imborghesimento spirituale nel movimento di CL. Ciò che tentavo di rendere chiaro ai miei quattro o cinque lettori è che vedo tutto intimamente connesso: la Chiesa si indebolisce perché la fede si indebolisce,[2] nel movimento di CL si diffonde l'imborghesimento perché nella Chiesa tutta è in corso la stessa epidemia. I cristiani, sale della terra, finiscono per essere uguali agli altri, senza sapore.[3] Per me tutto questo è più facile da riconoscere perché vivo circondato da persone pregiudizialmente ostili a CL e i gruppi del movimento che posso raggiungere in tempi e modi ragionevoli manifestano proprio quei segni di imborghesimento contro cui ci metteva ripetutamente in guardia don Giussani.

Non c'è niente di più noioso delle omelie ciellinizzate di coloro che (involontariamente, talvolta persino in buona fede) riducono il movimento di CL ad un club dotato di un suo gergo, di suoi libri, di suoi canti, di sue attività. È l'unica, vera, concreta critica che ho accettato di discutere in questi anni, dal momento che gli altri “difetti” di cui viene quotidianamente accusato il movimento sono o i difetti presunti di un singolo oppure equivoci involontari o deliberati su cosa siano esattamente CL e la Chiesa cattolica. Io sono il primo a lamentarmi di “giussanologi” e “cielloti” perché ne sono la prima vittima. Di fronte alle omelie ciellinizzate, i primi sbadigli sono i miei.[4] Quando la scuola di comunità si riduce a un collage di noiosi “interventi”, le mie gambe si muovono da sole, spostandomi altrove. Quando il buono di CL lo riesco a estrarre solo da Tracce e dagli Esercizi Spirituali della Fraternità, quando coloro che stimo di più sono parecchi chilometri più in là dei gruppetti di fraternità dei dintorni, capisco che qualcosa non va bene, che il movimento così come l'ho conosciuto è -almeno in queste lande desolate- arretrato, se non addirittura soppiantato, rispetto al movimentismo di “giussanologi” e “cielloti”. Che ci sono sempre stati, ma non mi erano mai sembrati così tanti.[5]

Un tempo la fatica era spiegare cos'è il movimento a coloro che ne erano fuori. Ora la fatica è dover ri-spiegare cos'è il movimento a tanti che dicono di farne parte (come se fosse un bel club), la fatica è dover ri-chiarire e ri-spiegare “cosa c'entra Cristo”. Opera su cui evidentemente si sta cimentando anzitutto il don Carròn.


1) Persino il chiedere preghiere è tutto sommato una forma di lamentela.

2) Un feroce e dettagliato atto di accusa sulle storture della Chiesa contemporanea è l'enciclica di “Benedetto XVIII”, Quanta cura in cordibus nostris, scritta in maniera “papale”, elegante, nel senso di una lamentela non lamentosa. Ma nonostante la notevole raffinatezza della penna che l'ha redatta dubito che scuota davvero gli animi degli ecclesiastici che la leggeranno. Anche la più “positiva e propositiva” delle lamentele... viene percepita come una lamentela.

3) Ciò che avviene nel movimento rispecchia ciò che avviene nella Chiesa. Questo è talmente vero, che si può verificare perfino se ci limitasse al campo della statistica. Chiunque sia convinto come me della bontà del movimento, non finisce mai di notare quanto le vicende della Chiesa e quelle del movimento si somiglino.

4) Le omelie ciellinizzate sono i discorsini imbottiti di parolame ciellino, fini a se stessi anche quando tentano di esprimere qualcosa di intelligente, ma solo chi non è “imborghesito” può notare la differenza rispetto a ciò che è davvero l'anima del movimento. Un esempio facilmente riconoscibile di “omelia ciellinizzata” è quando qualche alto papavero della Chiesa viene a celebrare Messa per il movimento e sciorina un'omelia zeppa di citazioni di don Giussani (una captatio benevolentiae, insomma).

5) Ricordo, ai bei tempi, un lungo viaggio in auto con due amici in cui ridemmo a crepapelle per ore intere ironizzando sulle meschine manovrine di certi capetti dell'epoca, intese a consolidare il potere sui piccoli feudi ciellini che pensavano di aver conquistato e l'ascendente sulle numerose donne che pensavano di dover conquistare. Pare purtroppo che oggi siano alquanto aumentati i motivi per deridere.

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