sabato 28 marzo 2020

La cartina dei confini morali

Sarebbe divertente tornare indietro nel tempo e dire al me stesso di allora: un giorno ti qualificherai ciellino non praticante. Probabilmente avrei ribattuto che non sono così facile a cambiar convinzioni, e dopotutto il movimento mica può riuscire ad annacquare l'eredità che ha ricevuto… (Il tono di voce, nella seconda parte di questa frase, forse non sarebbe stato tanto baldanzoso).

Un tizio si licenzia da una Super Grossa Azienda e scrive una pagina blog per lamentarsi di aver sentito traditi i suoi valori morali. Vista la notevole quantità di gente che usa un insieme di imprecisati e mutevoli valori per giustificare scelte di carattere meramente economico, ho letto la sua lamentela cercando altri spunti per farmi due risate. Ma vi ho trovato un sorprendente consiglio che dà agli altri nei suoi stessi panni. Prima di considerare di lavorare per un'azienda, per non fare la fine della proverbiale rana che si ritrova bollita, occorrerebbe meditare a lungo e infine trascrivere in un diario quali sono le linee che esigono un licenziarsi qualora l'azienda le oltrepassi. Una specie di cartina geografica degli inviolabili confini morali.[1]

Ora, è un concetto interessante. Sia nei confronti del movimento di Comunione e Liberazione, sia nei confronti della Chiesa bergogliana.[2]

Sono divenuto ciellino non praticante perché la memoria di ciò che mi è stato insegnato e di ciò che ho vissuto era talmente viva e forte, che quando ho visto oltrepassare una certa linea ho capito il grosso e osceno cambiamento nel movimento c'era già stato. Quella linea è stata il capo del movimento - che consideravo un grande amico - calpestare miei grandi amici, per il fatto stesso che questi ultimi non erano disposti a dimenticare ciò che il movimento aveva loro trasmesso.[3] Il movimento prendeva una direzione nuova, impartita a forza da chi lo guida,[4] a costo di calpestare i motivi che giustificano l'esistenza stessa del movimento[5]e le persone che riconoscevano ancora validi tali motivi.[6]

Sta dolorosamente succedendo una cosa simile nella Chiesa forzosamente aggiornata[7] al "carisma bargogliano" (chiamiamolo così). È facile stabilire che i confini morali siano le verità di fede, ma dopo anni di sorpresacce (come Amoris Laetitia, affermazioni estemporanee, Pachamama, sinodi germano-amazzonici, sciopero dei sacramenti…) cosa mi può far restare sicuro di non essere una rana in fase di bollitura?[8] Si sono susseguiti troppi cambiamenti dagli anni '50 ad oggi: quanti di questi erano davvero necessari o almeno inevitabili? Quanti di questi non erano considerati aberranti una o due generazioni prima?[9]

Trentotto anni fa arrivò il riconoscimento ecclesiale tanto ambìto dalla Fraternità di Comunione e Liberazione. Il primo risultato della svolta fu che non si poterono più fare certe battutacce in pubblico (specie nei confronti dei soggetti ossessionati dall'"avviare processi di dialogo"[10]), ed anzi bisognava operosamente operare distinti distinguo. Un bel po' di anni dopo, quando ho conosciuto il movimento, le sviolinate ai vescovi erano onnipresenti ma ancora si capiva che erano pro forma, perché restava comunque evidente (anche ai nemici) che il movimento era una realtà educativa, uno strumento piuttosto buono che ti dava qualcosa in più della normale vita di parrocchia,[11] era qualcosa che ti faceva crescere sull'essenziale. Se il destino del movimento fosse stato quello di farsi fagocitare dalle parrocchie anziché quello di aggiungerti continuamente ottime ragioni per vivere più intensamente la vita e la fede (e la stessa parrocchia), allora non avrebbero avuto senso i tanti sacrifici fatti per sostenerlo.[12] E invece…

A tracciare alcuni solidi confini alla mia "cartina dei confini morali" furono gli stessi amici del movimento a suo tempo, vaccinandomi contro la riduzione del movimento ad associazionismo dopolavoristico. Non serve a niente imbarcarsi in un'associazione, se non ti fa crescere nella fede. E lo stesso don Giussani: se la scuola di comunità non ti fa crescere, è inutile andarci. Se si riduce ad un "parlarsi addosso", è una snervante perdita di tempo. Se la carità si riduce a volontariato, scusate, ho altro da fare. I miei amici già allora sapevano che il movimento ridotto ad una pia associazione andava bene solo per i cristianoni dalla pancia piena col vezzo di cercarsi un passatempo da vantare in salotto. Quando uno senza scherzare parla di "avviare processi di dialogo", significa che è da un pezzo che non ha più niente da dire.[13] Giussanologi e cielloti, dopo aver stravinto, sono rimasti da soli a cantarsela e suonarsela nei rispettivi circoli. Non credo che Edimar avrebbe dato la vita in nome di un avvio di "processi di dialogo".


1) Pur partendo da pie intenzioni, l'autore di quell'articolo non si rendeva conto che una tale cartina risente della contingenza, delle sensibilità personali del momento, delle mode in vigore. Penso ad esempio ai presbiteriani americani che vent'anni fa potevano ancora spiegare cosa ne pensa la Bibbia dell'omosessualità, e che sono stati sconfitti dalle nuove mode LGBTQP* dall'interno della loro stessa congregazione. È dura la vita di chi non ha dei dogmi veri a cui agrapparsi.

2) Magari anziché "confini morali" avrei dovuto chiamarli "confini teologici", ma ciò avrebbe complicato troppo il discorso. Del resto non mi interessa tanto se un medico o un prete fumano come turchi; l'importante è che il medico faccia bene il medico e che il prete faccia bene il prete. Nel senso che considero profondamente immorale il venir meno alla propria "missione".

3) Ed infatti, avendo posto sotto di sé solo dei suoi fedelissimi, si è fatto comodamente rieleggere all'unanimità per un altro sessennio. Questo sì che è stato un successo dell'"avviare processi di dialogo".

4) Era tutto sommato una tentazione prevedibile: "il movimento è così grosso, possiamo mica sprecare qualche opportunità politica, economica o ecclesiale?" Così, anziché deridere e mettere alla porta qualche esimio furbetto, si comanda di far finta di niente, anzi, di applaudire, perché "Essendo Nostro Amico, ci Farà dei Favori". Sì, certo, come no. Dai domiciliari o dalla galera.

5) Ci siamo sempre detti che l'ubbidienza è una forma di amicizia. E che il movimento non è un club che porta avanti un programma politico o teologico. E che Cristo c'entra con tutto, anche con la matematica. Uno sguardo leale sulla realtà non poteva ridurre l'appartenenza alla Chiesa ad un coro ultrà di papisti autocompiaciuti. Una forma di amicizia unidirezionale è solo una sudditanza. Un affannarsi a discettare di imprecisate "nuove sfide" e di improbabili costruzioni "di ponti anziché muri", è sostanzialmente un programma politico/teologico fumoso e bramoso di raccogliere applausi mondani. E quando la figura di Pietro diventa sommamente imbarazzante, si poteva avere almeno il buonsenso di tacere e aspettare giornate migliori. E invece no: il movimento, per ordine perentorio ai sudditi, sta diventando la barzelletta su sé stesso, quella raccontata per decenni dai pigri sinistrorsi. Scusate, ma era meglio quando la gerarchia ci perseguitava pur senza conoscerci e quando le sinistre ci tiravano le molotov: almeno, in quei momenti, non era obbligatorio incensare e adulare politici e prelati. Ah, la prossima volta si eviti di calpestare gente "colpevole" di non aver dimenticato ciò che il movimento era stato in quei frangenti.

6) Perché? Per un malinteso senso di appartenenza alla Chiesa: dopo la gratitudine a Woytila (dovutissima), dopo l'entusiasmo per Ratzinger (giustificatissimo), ci piovve addosso l'obbligo di adulare Bergoglio (laddove era opportuno tacere e curare la vita interna), col risultato di trasformare certi cielloti - dal capetto universitario fino alla diaconia centrale - in melensi incensatori del clerically correct. Cioè il movimento che diventa identico alle barzellette sul movimento perché dopo aver sempre esibito un papismo virile e giustificato, hanno ritenuto impossibile evitare di esibire un papismo mieloso e ingiustificato.

7) Forse non dappertutto, ma specialmente qui. «Nel Portogallo si conserverà la fede ecc.», ed infatti i vescovi italiani risultano "non pervenuti".

8) La domanda è più seria di quel che sembra perché se è vero che non sono io a dover stabilire cosa deve fare e dire la Chiesa, è anche vero che i cambiamenti avvenuti sono grossi ma astutamente calibrati per non tirar troppo la corda. Sono rivoluzioni "all'italiana", cioè riuscite solo a metà. Sono finestre di Overton aperte quel tanto che basta per aggiungere una nuova picconata. Sono un adeguarsi ai tempi, in senso deteriore, come se la Chiesa avesse una gran fretta di piacere al mondo. Dunque: non è che dietro l'accusarti di voler insegnare alla Chiesa quel che deve dire e fare, si nasconde invece il lamento di chi dice che questa "sauna gratuita per rane" ha solo accidentalmente la forma di pentola?

9) A buon diritto don Elia scrive che la Conferenza Episcopale Italiana è diventata uguale all'Associazione Patriottica cinese.

10) Confesso la mia grande ignoranza: so cos'è il dialogo ma faccio fatica a capire cosa sia un "processo di dialogo" e come si faccia ad essere sicuri di aver "avviato" uno o più di tali "processi".

11) La confusione imperante nelle parrocchie, quei circolini di autoimpegnati con diritto di prelazione perché sono stati i primi a conquistarne il "territorio", è il motivo per cui - con scarse e giustificate eccezioni - il cattolico sano di mente ne sta alla larga salvo che per Messa e sacramenti.

12) Nel mio piccolo, in qualità di unico ciellino della parrocchia, ho avuto la mia non piccolissima razione di insulti, insinuazioni, dispettucci e dispettoni, diffidenze, mormorazioni, accuse gratuite, nonostante mi sia intrepidamente dato da fare quando c'era da darsi da fare e persino dopo aver ricevuto tale trattamento dai laici e dal parroco.

13) A lungo l'avevo voluta interpretare come una ben pianificata adulazione intesa a recuperare punti nel borsino di corte bergogliana. Ma è passato troppo tempo, senza altri risultati che la ripetizione di un discorso (accuratamente punteggiato di accalorarsi programmati) e l'appiattimento.

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