giovedì 8 marzo 2012

La gallinella cattiva

Nel rivedere il solito Wise Little Hen (il primissimo cartone animato del 1934 in cui compare Paperino) osservavo come la gallinella saggia fosse, prima che “saggia”, anzitutto cattiva. Certamente il maiale e il papero meritano una punizione per la loro pigrizia (grandiosa la scena del club degli sfaccendati che al termine non era stato ancora riparato). Ma che ad operare la punizione sia proprio colei che ha organizzato il lavoro, è un autentico vendicarsi, è un conflitto di interessi. Evidentemente la richiesta iniziale di aiuto non prevedeva una terza possibilità: o lavorate con me o mi vendicherò crudelmente.

Se la gallinella fosse stata davvero saggia si sarebbe limitata ad ignorarli così come hanno fatto i pulcini, evidentemente dotati di un animo più umano: seguono, obbediscono, lavorano, ricevono. La gallinella invece no: ha conservato in cuore il desiderio di vendetta (cosa non può essere una vita intera fondata su una vendetta ancora non portata a termine!), ha aspettato il momento in cui avrebbe utilizzato il proprio successo per umiliare i due pelandroni e quando tutto è finalmente realizzato, quando a tavola c'è abbondanza (cosa non può smuovere una simile immagine in tempo di crisi economica!) fa un cenno per dichiarare le proprie intenzioni (sostanzialmente ignorato dai pulcini), si alza (si erge autonomamente a giudice del bene e del male) e va a dare ai due perdigiorno l'umiliazione definitiva: olio di ricino. I due faranno eternamente ammenda prendendosi a pedate a turno.

La favoletta è teologicamente errata poiché pur essendo vero che all'inferno ci vanno solo quelli che non desiderano seriamente la salvezza, è anche vero che i salvati non trarranno giovamento e neppure piacere dal fatto che qualcuno si danni in eterno. La favoletta della gallinella saggia tenta di insegnare che chi si dà da fare non solo ottiene una duratura abbondanza a tavola, ma può permettersi adeguata vendetta contro i pigri che non le hanno dato il proprio contributo. Come se fosse più attraente il vendicarsi che il nutrirsi. La gallinella, infischiandosene del loro destino, emula l'omicida Caino che chiede retoricamente: sono forse il guardiano di mio fratello?

I due scansafatiche non hanno consumato l'olio di ricino (era olio di castoro, ma fa lo stesso). La feroce vendetta della gallinella resta perciò incompiuta. Per di più i due hanno accettato l'umiliazione, comprendendo di aver sbagliato: ma piuttosto che domandare misericordia, decidono di far giustizia da soli, prendendosi a turno a pedate. Il loro comportamento è quello di Giuda Iscariota: pur riconoscendosi peccatori, sono incapaci di chiedere perdono: pensano di poter essere loro a stabilire quale sia la grandezza massima perdonabile del male che si può compiere, e sono già certi di aver oltrepassato quel limite.

È una tentazione tipica perché l'uomo, nel rendersi conto di aver peccato ancor più gravemente di ciò di cui si era in precedenza pentito, tende a prendere atto del proprio limite nel modo peggiore: stabilire di essere imperdonabile, convincersi di aver peccato talmente tanto che nemmeno la divina misericordia può chiudere un occhio. Oppure, in versione più blanda, convincersi che per domandare perdono occorra chissà quale impossibile “preparazione”, tale da non aver mai più bisogno di perdono dopo. Il papero e il maiale, per ciò che hanno mostrato nel cartone animato, rappresentano bene coloro che hanno sempre qualche scusa pronta per evitare di accedere al sacramento della confessione.

La gran fortuna della cattiva gallinella (e soprattutto dei pulcini) è nel fatto che i due perdigiorno non hanno reagito con la violenza e lo sciacallaggio, come avviene nella realtà piuttosto che nelle favole. Come tutte le favolette “politiche”, il messaggio deve necessariamente censurare qualche importante aspetto della realtà.

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