martedì 14 febbraio 2012

Stalinisti sinceri a tavola

Dementij Trifonovic' Getmanov si trova a cena con degli amici a casa della famiglia di Nikolaj Terent'evic'.
La vita di Dementij Trifonovic' era piuttosto povera di avvenimenti esterni. Non aveva preso parte alla guerra civile. La polizia non lo aveva perseguitato e il tribunale dello zar non lo aveva mai condannato alla Siberia. Le relazioni che teneva alle conferenze e alle riunioni di partito abitualmente le leggeva. Leggeva bene, senza errori, con espressione, benché le relazioni non fossero stese da lui. A dire il vero leggerle era facile, le stampavano a grossi caratteri, a spazi larghi, e il nome di Stalin spiccava tra le righe per il carattere scritto con inchiostro rosso.

Un tempo era stato un giovanotto sensato, disciplinato. Voleva studiare nell'Istituto di meccanica, ma lo mobilitarono negli organi di sicurezza; ben presto divenne guardia del corpo del segretario del Comitato regionale. Poi fu notato e fu mandato a studiare alla scuola del partito, mentre nel frattempo veniva preso a lavorare nell'apparato, prima nel reparto di istruzione ed organizzazione del Comitato regionale, poi nella sezione quadri del Comitato centrale. Dopo un anno divenne istruttore della sezione amministrativa dei quadri e, subito dopo il '37, segretario del Comitato regionale del partito (come si dice, il padrone della regione).

La sua parola poteva decidere il destino del cattedratico di una università, di un ingegnere, di un direttore di banca, di un presidente dell'unione professionale, dell'azienda contadina, della messa in scena di un'opera teatrale.

La fiducia del partito! Getmanov conosceva la grande importanza di queste parole. Il partito gli dava la sua fiducia! Tutto il lavoro della sua vita, in cui non c'era stato posto per grandi libri, né per scoperte famose, né per lotte epiche, era stato un lavoro enorme, costante, perseverante, capillare, perennemente intenso, insonne. La ragione principale e superiore di questa fatica risiedeva nelle esigenze, negli interessi del partito. La principale e superiore ricompensa di tutto questo lavoro era la fiducia che il partito stesso gli concedeva.

Le sue decisioni in qualsiasi circostanza, si trattasse della sorte di un bambino messo in orfanotrofio, della riorganizzazione della cattedra di biologia, dello sgombero del locale della biblioteca, di un laboratorio che produceva materiali plastici, dovevano essere compenetrate dello spirito e degli interessi del partito. Dello spirito di partito doveva essere compenetrato il rapporto del dirigente nei confronti della sua attività, del libro, del quadro, e perciò, per quanto potesse essere duro, egli sapeva senza incertezze rinunciare alle sue abitudini, staccarsi dal libro preferito. Nel caso in cui gli interessi del partito fossero in contrasto con le sue personali convinzioni e simpatie, Getmanov sapeva che esisteva un livello più alto di giudizio, la cui sostanza consisteva nel non avere umanamente né propensioni né simpatie in grado di porsi in contrasto col partito; ciò che è caro e prezioso per il dirigente, deve essere caro e prezioso in quanto esprime lo spirito del partito.

Qualche volta i sacrifici che faceva in nome dello spirito di partito erano crudeli e sofferti. Non c'erano più né compaesani, né insegnanti ai quali in gioventù era stato debitore di molto; non doveva più tener conto né dell'amore né della compassione. Parole come “ha deviato”, “non ha appoggiato”, “ha rovinato”, “ha tradito”, non dovevano più incutere timore... Lo spirito di partito si manifesta quando il sacrificio, un bel giorno, non è più necessario, e non lo è perché i sentimenti personali come l'amore, l'amicizia, la solidarietà, non possono sopravvivere naturalmente se sono in contrapposizione allo spirito di partito.

La fatica degli uomini che hanno fiducia nel partito passa inosservata; ma questa fatica è immensa, consuma mente e anima, totalmente. La forza del dirigente di partito non ha bisogno del talento di uno studioso, dell'ingegno di uno scrittore. Si dimostra superiore al talento e all'ingegno. La parola direttiva, risolutiva di Getmanov era ascoltata avidamente da centinaia di persone che avevano il dono della ricerca, del canto, del narrare, benché Getmanov non solo non sapesse cantare, suonare il pianoforte, organizzare spettacoli teatrali, ma non fosse neppure in grado di capire fino in fondo e gustare opere scientifiche, di poesia, di musica, di pittura... La forza della sua parola era risolutiva perché il partito gli affidava i suoi interessi nel campo della cultura e dell'arte.

E la somma di poteri che deteneva, quale segretario regionale dell'organizzazione di partito, difficilmente avrebbe potuto averla un tribuno, un pensatore.

A Dementij sembrava che l'essenza più profonda del concetto “fiducia del partito” fosse incarnata nel pensiero, nel sentimento, nell'atteggiamento di Stalin. Nella fiducia che egli dava ai suoi compagni d'armi, ai commissari del popolo, ai marescialli, risiedeva appunto l'essenza della linea del partito. Gli ospiti parlavano soprattutto delle gravi responsabilità che attendevano Getmanov. Capivano perfettamente che lui avrebbe potuto aspirare ad una destinazione più importante, e non era per niente raro che uomini della sua posizione, passando ad incarichi bellici, divenissero membri del Consiglio di guerra, e talvolta persino del Consiglio supremo.

Getmanov, dopo aver ricevuto la nomina al corpo d'armata, si era inquietato ed era rimasto deluso; apprese però da un amico dell'ufficio organizzativo del Comitato Centrale che ai vertici non erano affatto scontenti di lui, non era il caso di preoccuparsi. Allora, cercando di consolarsi, cominciò a trovare i lati positivi della sua nomina, perché, in fondo, il destino della guerra è in mano ai carri armati, spetta a loro l'intervento decisivo.

Al corpo carristi non viene mandato chiunque; è più facile che un membro del Consiglio di guerra venga inviato presso un'armata insignificante di un settore di secondo piano.

Con questa scelta il partito esprimeva la propria fiducia. Tuttavia egli era amareggiato, e gli piaceva molto dirsi, in divisa, davanti allo specchio: “Membro del Consiglio militare d'armata, commissario di brigata Getmanov”.

Chissà perché il comandante del corpo d'armata, il colonnello Novikov, suscitava in lui la massima irritazione.

Non l'aveva ancora visto, ma tutto ciò che Dementij sapeva e veniva a sapere di lui, non gli piaceva.

Gli amici che gli sedevano accanto a tavola, capivano il suo umore, e tutto quello che dicevano a proposito della sua recente nomina mirava a fargli piacere.

Sagajdak affermò che la cosa più probabile era che lo inviassero con il suo corpo a Stalingrado; che il comandante del fronte, il generale Eremenko, il compagno Stalin lo conosceva ancora dall'epoca della guerra civile, fin dai tempi della prima armata a cavallo, e che spesso parlava con lui per telefono, e quando il generale era di passaggio per Mosca, il compagno Stalin lo riceveva!... Di recente il comandante era stato nella dacia del compagno Stalin, nei pressi della capitale, e la loro conversazione era durata due ore. È davvero una gran bella cosa combattere sotto il comando di un uomo che gode di una fiducia così profonda da parte del compagno Stalin.

(...)

Sagajdak disse con tono triste: “E dov'è che ti puoi dimenticare della guerra... I nostri figli e i nostri fratelli vanno in guerra da ogni parte, dall'ultima capanna di kolchoz fino al Cremlino. La guerra è grande, è mondiale”.

“Il compagno Stalin ha il figlio Vasilij, che è pilota di un caccia, poi c'è il compagno Mikojan il cui figlio combatte pure in aviazione, ho sentito che anche Lavrentij Pavlovic' ha un figlio al fronte, solo che ora non so in che arma. Inoltre Timur Frunze è sottotenente, sembra in fanteria... Poi a quella Dolores Ibarruri il figlio è morto nei pressi di Stalingrado”.

“Il compagno Stalin ha due figli al fronte”, corresse il fratello della padrona di casa. “Il secondo, Jakov, comanda una batteria d'artiglieria. Più esattamente, lui è il primogenito. Vashka è il più giovane e Jakov il più vecchio. Un ragazzo sfortunato, quello: è caduto prigioniero”.

Tacque, accorgendosi di aver toccato un argomento del quale, secondo l'opinione dei compagni, non bisognava parlare.

Desiderando rompere il silenzio, Nikolaj Terent'evic' senza mezzi termini buttò là avventatamente: “Tuttavia i tedeschi lanciano manifestini menzogneri, come se Jakov Stalin collaborasse...”.

Ma il deserto intorno a lui si fece ancora più inquietante. Parlava di quello che non bisognava ricordare né per scherzo, né sul serio, ma che conveniva solo passare sotto silenzio. Così, chiunque si indignasse pubblicamente per le voci sulle relazioni tra Iosif Vissarionovic' Stalin e la moglie, compirebbe un'inavvertenza non minore di quella di chi le ha diffuse. Sono discorsi tabù. Getmanov si rivolse d'un tratto alla moglie e disse: “Anima mia, lì dove il problema è preso in mano da Stalin ed è preso con tanta energia, i tedeschi hanno il fatto loro”. Nikolaj Terent'evic' cercò con lo sguardo Getmanov, preoccupato. Era però chiaro che a quel tavolo non sedeva gente insulsa, e non si erano trovati per fare di un'osservazione maldestra una storia seria.

Sagajdak cominciò a parlare con intonazione benevola e da compagno, sostenendo dinanzi a Getmanov Nikolaj Terent'evic': “Ecco, questo è giusto, e allora noi siamo impegnati a non commettere sciocchezze nel nostro settore”.

“E a non chiacchierare a vanvera”, soggiunse Getmanov. Nel fatto che avesse espresso quasi apertamente il suo biasimo, e non avesse taciuto, era manifesto il suo perdono a Nikolaj Terent'evic', e Sagajdak e Mashuk annuirono in segno di approvazione.

Da parte sua Nikolaj Terent'evic' sapeva che la sua uscita inopportuna, stonata, sarebbe stata dimenticata, ma sapeva d'altronde che non lo sarebbe stata completamente. Una volta o l'altra il discorso sarebbe caduto sui quadri, su una missione particolarmente delicata, e davanti al nome di Nikolaj Terent'evic', Getmanov, Sagajdak e Mashuk avrebbero annuito, ma qualcuno avrebbe sorriso impercettibilmente, e alla domanda più precisa di un interlocutore pedante, la risposta sarebbe stata: “Forse un tantino superficiale”, sottolineando il “tantino” con l'estremità del mignolo...
(citazioni tratte da: Vita e destino, di Vasilij S. Grossman, Jaca Book, 1998/2, pp. 100-103 e 106-107)

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