giovedì 24 febbraio 2011

Sogni, anzi, no: desideri

Basta un pizzico di sguardo disincantato per accorgersi di quanto sia involontariamente eloquente la pubblicità. Vedo cartelloni che recitano il più consunto degli slogan: il tuo sogno diventa realtà. Tanto per cambiare.

Ora, nel leggere quelle parole ci si dovrebbe domandare subito: che differenza c'è tra sogno e desiderio? Già sappiamo quanto sia ambigua, nell'uso comune, la parola desiderio: quando, per esempio, vediamo qualcuno che nel vendicarsi crudelmente afferma che “desiderava fare giustizia”.

Ma quando si usa la parola sogno si sottintende molto spesso l'aver messo in stand-by la propria ragione. È generalmente una fuga dalla realtà, qualcosa di irrealizzabile o di eccessivamente sproporzionato. Come quelle undicenni che affermavano di “sognare” una vacanza alle Hawaii, non solo senza neppure sapere dove sono le Hawaii, ma senza neppure saper dire perché alle Hawaii la vacanza sarebbe meglio che sulle spiagge della costiera.

Insomma, generalmente si dice “desiderio” per intendere qualcosa che abbia a che fare con la realtà, mentre i “sogni” sono per lo più composti da parole fascinose ma ultimamente vuote, di mutevoli immagini di una felicità irrealizzabile.

Dunque, codesta azienda afferma di avere il potere (previo congruo pagamento) di far diventare realtà un tuo particolare sogno. L'azienda, per vendere il proprio prodotto o servizio, deve convincerti che lo stavi sognando. L'illustrazione sul cartellone tenta di farti “sognare” (anche solo per associazione di idee), ciò che loro si dichiarano pronti a venderti.

Vien dunque da dire che il consumatore (nel senso più beota della parola) è quello che insegue i sogni piuttosto che i desideri, quello che compra sogni insistendo nel dirsi da solo che sono desideri, illudendosi così di saziare (piuttosto: stordire) la sete di infinito che ha nel cuore. Mi ritorna sempre in mente Cesare Pavese, quando dice che c'è una sola cosa peggiore del non riuscire a realizzare i propri desideri[1]. Ed è il realizzarli.


1) Vale anche per i sogni.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non lo dici per spirito di polemica?
Allora per spirito di carità verso te stesso, invece che soffermarti sul dito, guarda la luna!

Andrea
Verona

Val ha detto...

Caro Andrea da Verona, quale simpatico e illuminante intervento. A proposito di de-siderare, più che la luna sarebbe il caso di citare le stelle, non trovi? (Interessante il dibattito sull'etimologia della parola, ti consiglio di spenderci un quarto d'ora.)

Dato che sono un po' tardo, potresti per cortesia spiegarmi in cosa consiste la luna, nel post in questione?

Comunque, se anche l'avessi detto per spirito di polemica, cosa camierebbe? Mi sarei aspettato lo stesso una replica un po' più, diciamo così, articolata.

Ripeto che polemica non c'è: non vedo cosa ho detto di tanto terribile. La società dei consumi è centrata sul concetto di soddisfazione del desiderio. Soddisfazione infinita, quindi produzione e consumo infiniti, come vuole la vulgata capitalistica della crescita economica infinita. Il desiderio, che è per definizione infinito (nel senso che si rigenera all'infinito), è continuamente sollecitato perché del tutto funzionale a questo sistema. Che lo si chiami sogno mi pare una questione puramente terminologica.

Personalmente ritengo che la fortuna del movimento ciellino dipenda molto proprio da questo accento sul desiderio, così centrale nella nostra epoca. Non dico affatto che ciò sia negativo. Noto però che la "domanda di infinito" che costituirebbe la natura stessa dell'uomo (su questo si potrbbe discutere, ma diamola per buona) è, paradossalmente, una formulazione perfetta per definire proprio la società dei consumi.

In realtà, ammessa e non concessa la formulazione giussaniana del "senso religioso" come costitutivo della natura umana, il punto chiave diventa la risposta che si dà a questa domanda: cosa ci permette di dire che seguire la compagnia ciellina è il modo giusto di assecondare il desiderio, mentre seguire l'ideale comunista piuttosto che dedicare la vita alla meditazione zen è un sogno utopico e sganciato dalla realtà?

Nulla. Per questo dico che la distinzione tra sogno (utopico, irreale ecc.) e desiderio (religioso, trascendente ecc.) nella retorica ciellina (uso la parola retorica in senso neutro, non negativo) mi sembra un po' forzata.

Un saluto,
Val

Anonimo ha detto...

Ciao Val, grazie della spiegazione articolata di quanto intendevi dire. Inutile dire che ho semplificato notevolmente la questione...credo che al di là della questione terminologica, che può essere interessante approfondire, la luna dell'articolo volesse essere l'incapacità dell'uomo moderno di riconoscere ciò che realizza pienamente la sua "sete" (così non scrivo desiderio! ;) ) di infinito.
Siamo tutti portati a pensare - da questo mondo - che basti qualcosa e non Qualcuno a riempirci il cuore.

Il dibattito sui termini è certamente interessante, ma non cambia la sostanza: la "nostalgia" di pienezza, di infinito, che c'è dentro ogni uomo, risveglia una tensione...è tanto ovvio quanto non scontato che tale tensione non trova piena corrispondenza nelle sole cose di quaggiù.

Grazie! Alla prossima.

Andrea VR