Leggo su un muro una scritta che inneggia alla classe più indimenticabile di una certa scuola, classe che ha terminato con la maturità alcuni anni fa. Resto lì attonito a domandarmi: indimenticabile? Indimenticabile da chi? Forse dagli insegnanti? Forse dagli studenti stessi? Forse dal personale non docente?
Su muri più vecchi si possono ancora leggere scritte quasi del tutto sbiadite: «settimo scaglione dell'ottantanove, massicci». Perché comunicare una cosa del genere?
Mi figuro per un attimo la mano emozionata che tentava di lasciare al resto del mondo testimonianza dei propri bei ricordi (avendo già provveduto a cancellare il ricordo dei momenti di noia, di sofferenza, di ingiustizia, di fatica, di dolore...)
Nel cuore dell'uomo c'è il desiderio che ogni bel momento sia rivivibile, anzi, interminabile. C'è il desiderio che ogni attimo già vissuto sia consegnato non all'oblio ma all'eternità. C'è il desiderio che ogni piccola cosa bella sia ingigantita e prolungata e, quand'anche finisse, c'è il desiderio che il suo ricordo restituisca ancora tanta felicità. C'è fra tutti il desiderio di dire a tutti, di gridare all'universo, di testimoniare ovunque quella felicità vissuta e ancora vivente.
Insomma: nostalgia del paradiso.
Tutta quella sete che abbiamo in cuore sarà saziabile solo lì. Tutto ciò che ci viene da desiderare è in fondo in fondo un vago riflesso di quella comunione perpetua, illimitata, infinita, che solo Chi ci ha creati può darci.
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