sabato 22 giugno 2024

Alto mare bergogliesco

Uno dei fattori della crisi profonda della Cielle è stato senza dubbio l'ascesa al soglio di Bergoglio.[1] Il papismo da tifosi a cui eravamo stati addestrati con successo in epoca wojtyłiana e con ancor maggior successo in epoca ratzingeriana si è inevitabilmente ritorto contro di noi proprio nel momento in cui Benedetto XVI abdicava, e col papa Buonasera la stangata è stata definitiva. Non era mai stato davvero necessario sfoggiare quel papismo per affermare la fiducia nel successore di Pietro, non lo era nemmeno quando Ratzinger era sotto il fuoco incrociato di amici e nemici.[2] Ma è come se ai vertici del movimento di Comunione e Liberazione fosse piaciuto imporre l'ostentazione della fedeltà al Papa come fattore identitario.[3]

Sul sito web della Fraternità è apparsa la lettera del Prosperi ricevuto dal Bergoglio sabato scorso. La sviolinata prosperiana tenta malamente di nascondere[4] l'atteggiamento da corrucciato burocrate a caccia del pelo nell'uovo che ha identificato i punti buoni del movimento e mira a distruggere esattamente quelli. Non riesco a credere che un'ossessiva insistenza sull'«andare fuori» o contro il «guardarsi l'ombelico» siano dettate da buona fede e animo di pastore,[5] perché la prima va a colpire quel curare la vita interna di cui il movimento ha sempre più bisogno da diversi decenni[6] (il trascurarla, infatti, equivale a ridurre il movimento ad un darsi da fare finalizzato a dimostrare che si sta facendo qualcosa) e la seconda è subdolamente intesa a colpire quelle caratteristiche peculiari che hanno sempre reso unica (nel senso di attraente) la proposta del movimento.[7]

La programmatica accusa di autoreferenzialità che ci piovve addosso dallo stesso Bergoglio fu una gratuita sferzata per noi piccoli - in quanto campata in aria - e una tutt'altro che carezza per giussanologi e cielloti, che avevano agguantato il grosso delle poltrone cielline e iniziato a rattrappire molte opere e attività del movimento. La fissazione bergogliana sulla “guida comunionale” menzionata nella lettera, però, svela ancora una volta l'intenzione di ridurre definitivamente il movimento a un club parrocchiale indistinguibile dagli altri. Il sottinteso è infatti che ciò che ti è accaduto - imbatterti esattamente in quelle persone, un avvenimento che riguarda la tua fede - va considerato tutto sommato irrilevante e staccato dalla vita del movimento. Non hai più una catena umana di fiducia, avrai solo una struttura a cui ti iscrivi per eseguirne le attività,[8] non hai più in primo piano volti amici, avrai solo un grigio consiglio direttivo che ti gira gli ordini da eseguire.[9]

Mi lascia diffidente anche l'espressione «la speranza è una virtù umile».[10] Diamine, ci voleva il successore ufficiale di Pietro per proferire una simile banalità?[11] Escludo che nella lettera sia menzionata come sintesi di un'indicazione più articolata (per nascondere qualche randellata di cui conviene tacere): sembra piuttosto la risposta ad un'implorazione del genere “santità, ci dica almeno una parola che dobbiamo scrivere la lettera-verbale di incontro e non possiamo sviolinare esclusivamente su incoraggia/stima/desiderava conoscere”.

Il movimento, insomma, è ancora in alto mare bergogliesco.

Accolgo l'obiezione: il movimento “quale”? Dovrei distinguere fra tre diversi movimenti. Le persone concrete in cui mi sono imbattuto io, e tutta quella vasta trama di rapporti di fiducia che con crescente gratitudine vi ho scoperto dietro.[12] Se Tizio, che ritengo avere fede, mi si dice molto colpito da Caio, del quale ne riconosce la fede, so di poter fidarmi. E se a sua volta Caio riconosce la fede di Sempronio… È letteralmente la fede che si diffonde “per contagio”, disvelando un popolo, una compagnia guidata al destino. Che convenzionalmente veniva chiamata movimento di Comunione e Liberazione[13] e che dall'esterno si vedeva organizzare Meeting, pellegrinaggi, vacanzine, gli esercizi spirituali, incontri, attività. Senza fretta, senza pressioni, soprattutto senza fregature, ché tornavamo sempre con una ricchezza in più in cuore. Perché era una compagnia guidata, non su “una” strada ma su “la” strada.

Il secondo movimento è quando “giussanologi” e “cielloti” hanno sempre più conquistato la sala comandi.[14] Per i primi il movimento è di fatto “un discorso sul movimento” (nonostante lo neghino),[15] per i secondi è l'etichetta di un darsi da fare (per dimostrare di esser bravi a darsi da fare). Non c'è voluto molto che pensassero di poter campare di rendita, politicamente, economicamente, ecclesialmente. E non c'è voluto molto perché arrivasse quell'annus horribilis in cui si consolidò il declino del movimento come lo avevamo conosciuto, mentre le sue migliori perle - come ad esempio il Meeting di Rimini - diventavano a poco a poco la caricatura che ne avevano sempre fatto i comunisti.

Il “terzo” movimento è quello che hanno in mente Bergoglio e i vescovi italiani: rimpolpare l'asfittica Azione Cattolica facendovi confluire le armate cielline con la loro capacità ed esperienza organizzativa (e di raccolta fondi). Immaginiamoci come passo successivo della “guida comunionale” un gruppone disomogeneo di responsabili di vari club ecclesiali riunitosi per far sembrare concreta l'ultima esternazione pontificia o l'ultimo insignificante slogan della conferenza episcopale. Con quello della mummificata AC che comunionalmente dice a quello di CL: “farete… sposterete… darete…”: e che rispondi, non vorrai mica essere poco “comunionale”? Su, datti da fare. Convoca i tuoi associati, scrivi una letterina per convincerli, dà ordine ai capetti di suonare la grancassa, applicando un adeguato numero di espressioni in forma impersonale e simulando un adeguato entusiasmo su una lista sconnessa di astrazioni farcite di versetti biblici tirati su per assonanza, per convincerli a darsi una mossa. Non è così che si fa anche nei consigli pastorali parrocchiali e diocesani dove tutti comunionalmente comandano e alla fine si approva solo quello che i soliti noti vogliono? Soprattutto, guai a te se non sorridi e applaudi entusiasta, sei uno che non vuole “andare fuori”, sei uno che “si guarda l'ombelico”.


1) Do per scontato che chi legge questi miei rant abbia in qualche modo a cuore le sorti del movimento e sia sufficientemente capace di distinguere fra affermazioni di carattere generale difficilmente attaccabili (come l'inarrestabile declino del movimento in epoca bergoglionica, sebbene coadiuvato da debolezze interne) e affermazioni che dipendono dalla mia esperienza personale ma che sembrano trovare sempre più riscontri.

2) Se passa l'idea che il Papa ha bisogno di una claque si fa largo anche l'idea che il Papa sia una specie di mascotte, di capocannoniere, di segretario del partito, non dell'uomo che per divina volontà si ritrova ad essere pastore del più delicato e vasto gregge immaginabile. Proclamarsi fedeli al Papa, quando vige il menefreghismo, è di fatto una risposta ad una domanda che non si pone, è percepito come un tentativo di sembrar virtuosi, cioè come un invito a sbadigliare o perculare. E quando poi arriva il papa Buonasera

3) Quando il don Giussani ribadiva la fedeltà alla gerarchia, aveva ancora presente l'ostentazione di infedeltà da parte di certi progressisti non ancora convertitisi al moderatismo clericale degli anni ottanta (quando da qualche cabina di regìa giunse l'ordine ai rivoluzionari di far meno caciara), la ribellione a Paolo VI da parte degli stessi modernisti che erano stati fin troppo accontentati, e probabilmente anche la scottatura delle tante dure ubbidienze e rospi da ingoiare che curie e vescovi avevano ostinatamente inflitto al sacerdote brianzolo reo di aver fondato - suo malgrado e senza neppure l'intenzione - un movimento. Finì evidentemente che certuni nel movimento ritennero d'uopo prendere alla lettera le espressioni del Giuss, anche dai pro forma destinati ai diffidenti curiali.

4) Ipotesi di complotto: anche Prosperi è stufo e pacatamente, ancora una volta, lascia trasparire l'assurdità della situazione. “Giusto cielo, ma guarda quante volte il Papa ci ha ripetuto la frase sull'Andare Fuori e sul non Guardarsi L'Ombelico, oh santo cielo”. Chi non è rincoglionito (né ipocrita) ha già inteso. Ma per credere a tale ipotesi occorre convincersi che ai vertici del movimento l'ordine implicito di scuderia sia quello di continuare a fare le candide colombelle in attesa speranzosa del prossimo pontefice (e sperare di non tornare ai fantozziani fasti carroniani). Ché sarà già una grazia se il prossimo Papa ci ignorasse e ci lasciasse leccarci le ferite.

5) Gli slogan degli ambienti gesuitici, “andare fuori”, “non guardarsi l'ombelico”, di sapore sessantottino e gesuiticamente interpretabili in due modi solitamente opposti, vengono infatti usati come un'amichevole pacca sulla spalla nei confronti di certi modernisti clericali e come una sferza nei confronti della Cielle. C'è una sola categoria di fedeli trattata peggio dal Bergoglio, ed è quella dei tradizionalisti.

6) Mi lascia sbigottito scoprire ciellini anche di lungo corso che ad oggi vivono i sacramenti come un'attività di cui farebbero volentieri a meno, o che trascurano la confessione da anni. Ho il sano terrore che il “patto col diavolo” della Cielle sia stato l'accettare supinamente la “comunione sulla mano” (introdotta dalla CEI nel 1989) come norma anziché come eccezione. L'ubbidienza ridotta a servilismo (con la scusa dello sbrigare le comunioni) faceva il paio con la fedeltà al Papa ridotta a papismo di etichetta.

7) “Guardarsi l'ombelico” è un dispregiativo che non ammette obiezioni, una sentenza data prima del processo, e incrimina previamente il presentare la propria esperienza. È un fare di tutta l'erba un fascio, è un presumere che l'intero movimento sia un “discorso sul movimento”. Ed è come quando quell'esimio prelato disse con sommo sprezzo verso una possibile causa di beatificazione, che il movimento non aveva bisogno di suoi santi.

8) Non si può negare che Wojtyła istituzionalizzando i movimenti li abbia castrati. Volutamente, temo, seppure troppo spesso con ottime ragioni. Bergoglio ha semplicemente portato alle estreme conseguenze quell'istituzionalizzazione, come se volesse dei cloni dell'Azione Cattolica, a guida “comunionale”, imbottiti di attività ma ultimamente un passatempo parrocchiale poco rilevante nella vita di fede di chi vi aderisce. Comico paradosso: la Cielle nasce dall'Accì e una cinquantina d'anni dopo dopo la Cielle indistinguibile dall'Accì non può far altro che confluire nell'Accì.

9) Alla fine della fiera l'autoridursi a eseguire ordini (attivismo e incontrini cultural-teologico-autopsicanalitici) è esattamente l'accontentare giussanologi e cielloti. Che però solo a quel punto cominceranno a capire di non essere più “speciali” ma di esser diventati uno dei tanti insignificanti club parrocchiali, che per di più avrà perso la sua autonomia organizzativa e la sua verve con cui attirava sempre nuova gente.

10) Gesuiticamente parlando, la speranza “virtù umile” si contrappone alla speranza basata su una “certezza presente”, che in quanto certezza è invisa al modernismo clerical-gesuitico oggi in vigore. Ricordo bene la fretta con cui un pregiato monsignore mi rintuzzò insinuando che l'esperienza non può dare certezze, quando per ingenua baldanza avevo menzionato la ragionevole certezza acquisita dall'esperienza. Proprio loro, i campioni del sospirante intimismo e del sottinteso che alla fine della fiera “va' dove ti porta il cuore” (cioè “scegliti ciò a cui vuoi credere e sei a posto”), hanno quel momento di reazione pavloviana in cui “esperienza” e “certezza” suonano loro come un grave pericolo.

11) Per tutta una vita cristiana ho dovuto sopportare logorroici chierici parolai che proferivano instancabilmente petalose banalità e giocavano con le parole del lessico cattolico un po' come bambini che infilano tre o quattro parolacce nella stessa frase convinti di aver ideato l'imprecazione del secolo. Immaginate la mia faccia alle prime scuole di comunità e Meeting di Rimini, quando sentivo parlar chiaro e senza melensaggini sulle questioni fondamentali della fede.

12) Cosa vuol dire essere “ciellini”? L'appartenenza al movimento di Comunione e Liberazione comincia non perché decidi di aderire ad un club ma perché i tuoi migliori amici sono coinvolti in quella genuina esperienza di fede al punto che nel tuo piccolo non riesci a non desiderare di vivere la stessa cosa. E col passare del tempo scopri che i loro migliori amici vivono quella stessa fede, e così pure gli amici degli amici degli amici… e capisci cosa significa quell'espressione “compagnia guidata al destino”. Per indicare quella cosa dici “amici”, se proprio c'è bisogno di esser formali usi qualche timido termine come “il movimento”, “la fraternità”, perché non hai bisogno di un'etichetta, perché sai che non è banalmente uno dei tanti club parrocchiali che s'infervorano attorno al logo colorato del proprio gruppo, bramosi di dimostrare di essere significativi nella Chiesa o almeno utili a qualcosa. Quel “movimento” riguarda la tua vita di fede, non un darsi da fare, non un impegno culturale (sebbene nel movimento non manchi). Non si diventa ciellini svegliandosi al mattino con la voglia di una tessera in più. Ci si accorge di essere ciellini tardi, quando si viene accusati di esserlo, quando quei volti che rappresentano la tua fede vengono accusati di essere tali, quando qualche clerical-curiale insiste a volerti apporre un'etichetta clerical-politica…

13) All'interno della Cielle praticamente nessuno usa tale termine - e neppure “Cielle” e simili. Ci si è sempre detti “il movimento”. Non c'era mai stato bisogno di etichettarsi.

14) Le prime crepe si son viste col don Giuss ancora vivente. E lui stesso in diverse occasioni - come dopo il misero fallimento del referendum contro l'aborto del 1981 - ebbe a desiderare di ricominciare tutto daccapo, di essere solo “in dodici”. In quanto movimento - per definizione “qualcosa si muove”, non è una cosa statica, c'è chi entra, c'è chi esce -, tanti si fanno facilmente sedurre dalle sirene mondane. Dalla politica, dalla “giussanologia”, dall'attivismo… Evidentemente nemmeno Giussani riuscì a tenerli a bada.

15) Le scuole di comunità e assemblee, ridotte troppo spesso ad un esercizio stilistico di oratoria, alternano omelie farcite di gergo ciellino (“lo sguardo leale sul riaccadere di una presenza che si imbatte nell'esperienza che si gioca nell'amicizia senza la scontatezza…”: termini che una volta ci erano necessari per farci capire, non per abbellire discorsi) a sensazioni vagamente intimistiche (“ieri mi colpiva la notizia al telegiornale”, è sempre uno “stamattina” o “ieri” - al limite nascosto dietro un “ultimamente” -, mai qualcosa dei precedenti 7-15-30 giorni), sono quanto basta per riaffermare, con don Giussani, che se la scuola di comunità non ti fa crescere è inutile, e che l'autoincaricato di martellarti a marcar presenza è uno scocciatore.

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