lunedì 29 marzo 2021

Frattaglie - 16

Leggo che i ciclisti anglofoni chiamano cagers gli automobilisti. Da cage, gabbia. Tradurrei piuttosto: "inscatolati". Una scatola metallica in cui c'è appena lo spazio per star seduti e i comandi per trasportarsi in giro. Ai bei tempi, quando gli arresti domiciliari di massa non erano nemmeno immaginabili, un vecchio amico "inscatolato" mi passava a prendere, e macinavamo chilometri girando per tutto il circondario, vedendo posti, edifici e gente da film surreale. Diceva che andare in giro in macchina era rilassante ed aiutava a riflettere, oltre che permettergli le migliori chiacchierate quando in compagnia. Al modico prezzo di pochi euro di benzina.[1]

Un negozietto di souvenir espone in un pannello una ricca varietà di figurette da frigorifero, quelle col magnete. Dopo qualche attimo mi rendo conto che solo una aveva scolpita una scritta (geografica e generica), mentre tutte le altre avevano il nome della città scritto probabilmente con un pennarello in fretta e furia. Un container di magneti da frigo adattabili a qualsiasi posto del mondo con un attimo di pennarello. Nessuno di quei ninnoli è stato fabbricato sul posto (dunque tecnicamente non è un souvenir). Il costo, dunque, riguarda più la sensazione di aver comprato un "significato" che un prodotto.

La desolazione comincia quando uno è pronto a risponderti: "ma io non mi vergogno di ciò che sono". Significa che c'è almeno un punto piuttosto grosso su cui ha deciso che non ha più bisogno di crescere.[2]

C'è gente che per descriversi diceva di amar viaggiare. Bene, ma a che scopo? Per vedere cosa? Sarebbe bello sentirsi rispondere "arte", "fede" o "panorami" (tutte e tre che sottintendono cibo per l'anima), che sono forse gli unici motivi per viaggiare al di là di necessità di lavoro o salute. Sarebbe stato ancora più bello se ci fossero gli occhi giusti per gustare quell'arte e quei panorami a cui l'informatica (col suo diluvio infinito di immagini) ci ha abituato a banalizzare. Mi chiedo che fine abbiano fatto tutti quei mipiaceviaggiare costretti dentro casa, oppure "costretti" a inventarsene di tutti i colori sull'autocertificazione per poter godere un po' di aria aperta in una giornata soleggiata.[3]

Qualche volta ero stato tentato di andare con quegli amici "mipiaceviaggiare" perché c'era la possibilità di visitare con calma diverse chiese che trasudano arte cristiana da ogni anfratto. Ma nelle rimanenti ventitre ore giornaliere mi sarebbe toccato comportarmi da turista come loro. Quando mi è toccato viaggiare per lavoro ho sempre approfittato per infilarmi in ogni chiesa che avesse la forma di una chiesa piuttosto che di un garage. Ho visto posti bellissimi storpiati da cartelloni imbecilli, da pseudoarte cristiana e da "candele" elettriche a lampadine. Ho soprattutto visto chiese tristemente chiuse, o con lavori in corso. Ho visto - e riconosciuto da lontano - i tipici pretini di mestiere.

Definisco carronismo la versione ciellina del confondere il carisma con la persona del capo, che del carisma è solo custode. Anche stavolta una patologia del movimento ricalca una della Chiesa. Vien da dire: aridàtece le persecuzioni. Quando gli esponenti del movimento si beccavano le molotov, non c'era bisogno di esibire il politicamente corretto nelle scuole di comunità.[4]

La povertà materiale è assai più diffusa di quanto non si creda perché oltre che dalla stupidità è solidamente sostenuta da avarizia, accidia e… creduloneria (la convinzione invincibile che "se compri X allora è uno spreco di soldi a prescindere", con X variabile a piacere, almeno finché non succede che tutti i telegiornali improvvisamente descrivano X come vantaggioso). Uno può esser povero sebbene pieno di soldi, perché non si azzarda a comprare cose che non siano strettamente indispensabili. Povero perché ha paura di sbagliare a spendere. Scoprii da solo - e successivamente, grazie al movimento, scoprii molto di più - che uno può investire su sé stesso, e che se una sola volta su dieci l'investimento è giusto e ti fa crescere, le altre nove spese che non hanno portato frutto possono essere spostate dalla colonna perdite secche alla colonna contributi ad un investimento che ha portato frutto.

Da piccolo ho assistito in silenzio ad una scena che mi ha segnato. La nonna doveva comprare qualcosa al mercatino rionale. Chiede ad un venditore. Questi le propone qualche oggetto e lei reagisce infastidita: noo, ha una cosa in più che proprio non mi serve, noo, questo non durerà, nooo, questo costa troppo. Per un attimo sentii di essermi messo nei panni del venditore. Che ha da vendere solo quelle poche cose. Che non aggredisce i clienti, né tenta di imbrogliarli, ma tenta solo di proporre ciò che ha: se non interessa, basta un "no" e avanti il prossimo. Invece la nonna - più per inveterata abitudine che per necessità - agiva come se si aspettasse che l'interlocutore volesse fregarla. Qualsiasi prezzo venisse chiesto, doveva assolutamente contrattarne uno più basso, perché "quelli vogliono sempre bidonarti". Il dolore provato dentro fu tale che ogni volta cercai scuse per non accompagnarla a far spese. Non avevo ancora la capacità di dirle: "basta un sì o un no, lascia che sia lui ad insistere e a decidere se abbassare il prezzo, se tu gli dici no il problema è suo che ha un invenduto e un'occasione persa". Non avevo ancora la capacità di parlarle di dignità del lavoro e del fatto che anche il contrattare continuamente ha un suo pedaggio (sui nervi e sulla nomea), e che a fine mese uno potrebbe essere ben felice di aver speso venti euro in più ma di aver stressato i propri nervi venti volte meno. Ma no, qualsiasi argomento per lei sarebbe stato tradotto in "vuoi dunque farmi buttare i soldi?".[5] Anni dopo, imparai istintivamente e senza che qualcuno me lo insegnasse, a dire di no e a rispondere "grazie ma non è quello che cerco".


1) In pochi periodi della mia vita sono stato costretto a guidare e devo ammettere che dopo poche centinaia di chilometri accumulati guidando da soli si comincia ad avvertire proprio quella sensazione. "La mia macchina è il mio ufficio e il mio angolo libero", mi diceva, mostrandomi orgoglioso come aveva adoperato ogni vano e ogni centimetro del cofano per il suo lavoro e per i suoi hobby. Vien da sorridere a pensare che una non trascurabile percentuale di automobilisti sia composta da cagers, da gente che considera il carburante utile più a trascorrere del tempo "inscatolato" che per spostarsi secondo le necessità. Specialmente nell'epoca delle Perenni Pandemie, delle Sempre Nuove Ondate, dei Lockdown Zonerosse e tutto il resto.

2) È molto più raro che uno non si vergogni di qualcosa di buono. Un non vergognarsi di essere cattolico. Siamo infatti nell'epoca del pride, l'orgoglio del proprio errore, al punto che istintivamente i cattolici si vergognano di essere genuinamente fieri di ciò che è buono, visto quanto è asfissiante il pride generale.

3) Il termine turismo deriva dal francese tour, andar girando, così, senza motivo, senza meta, senza ragione. Girare per il piacere di girare. Vedere una città, cioè un agglomerato di manufatti in cemento, metalli, plastica, gomma, vetro, immerso nell'asfalto, nel chiasso, nella vita frenetica di "gente" che per definizione ha sempre "altro a cui pensare". Eseguire attività di cui potersi vantare: salire in funivia, fare shopping in un punto geografico preciso, pranzare in un luogo dal nome famoso, visitare posti dove vedere dal vivo le cose già viste nell'internet, assistere a spettacoli dove gente di mestiere esegue una performance pur avendo "ben altro a cui pensare", illudersi che le sensazioni e le emozioni provate altrove siano più intense di quelle provabili nel paesetto natìo.

4) La crisi del movimento di Comunione e Liberazione, forse persino suo malgrado, rispecchia fedelmente quella nella Chiesa. Un capo volubile e permaloso che guida verso la deriva. Un preoccuparsi ossessivo del singolo pelo del leone perdendo di vista (e smettendo di riconoscere) il leone intero. Un sostituire la speranza con l'ottimismo, l'appartenenza con una tifoseria, l'osservazione critica come irragionevole polemica. Un inseguire le mode mondane a tutti i costi, un parlare come davanti ad una platea immaginaria di atei gentili e ragionevoli ed a cui prudono le mani di voler applaudire chiunque dica una cosa politicamente corretta. Un seppellire don Giussani lentamente e inesorabilmente. Capi e capetti oggi gestiscono il movimento, non hanno più nulla da scoprire - e quelle loro omelie vuote, tutte uguali nel consolidato gergo altisonante - ti fanno capire che loro ritengono di non aver più nulla da scoprire personalmente. Sanno già tutto, e ti fan la predica contro chi crede di "sapere già tutto". C'era stato un tempo in cui il gestire era stato per loro una solo fastidiosa aggiunta allo scoprire.

5) Come praticamente tutti, anche la nonna ha vissuto tutta una vita desiderando comprarsi casa. Non c'è riuscita. Ogni lira e ogni centesimo risparmiati, andavano dritti nell'immaginario fondo casa, immaginario perché ogni tanto spese varie intaccavano duramente quei piccoli risparmi, e il comprarsi casa restava un sogno. Ho avuto la fortuna di arrendermi all'idea che certe cose non potrò mai permettermele. La fortuna di documentarmi su internet e diventare espertissimo di cose che non avrò mai la possibilità di comprarmi. La fortuna di provare ancora dolore a ricordare che quell'affanno a risparmiare per una vita intera non avrebbe mai portato al riscatto, cioè che non era fondato su una speranza ma su un sogno.

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