domenica 22 marzo 2015

Autoimpegnati

Tutto cominciò incontrando (apparentemente per caso) un anziano sacerdote dopo parecchi anni che ci eravamo persi di vista. Mi chiese come stavo e gli risposi che era un periodaccio. Da ciò - e dal fatto che qualcuno doveva averlo pregato caldamente di aiutarmi - dedusse che avevo bisogno di una qualche “forte esperienza di fede”[1] e, del tutto ignaro del fatto che mi accostavo con frequenza ai sacramenti e che ero in qualche modo invischiato con Comunione e Liberazione, decise di farmi fare tale “forte esperienza” con un movimentino giovanilistico ecclesiale locale di cui lui era uno dei capi rispettati.

Un po' per non deluderlo, un po' per curiosità, un po' per la convenienza di allontanarmi da casa per qualche giorno, accettai di fare un ritiro in montagna con lui e quel suo gruppo di ragazzi, più due anziane suore e un giovane sacerdote religioso. L'età media dei ragazzi era sui venti-venticinque anni, gli adulti sopra i trenta erano una decina compresi i consacrati. In tutto saremo stati una cinquantina. Ci ospitava una casa di spiritualità (cioè un alberghetto gestito da suore) in un luogo ameno di collina alle spalle di un paesetto di campagna.

La prima cosa che mi colpì di quelle decine di ragazzi fu il notare lo sforzo che facevano per tenere a freno la volgarità. Ma la prima impressione che mi stimolò a indagare meglio fu il non riuscire a distinguere tra i “militanti” e gli “invitati”: appena giunto lì, infatti, capii subito che il ritiro era evidentemente inteso a reclutare nuovi adepti (che perciò non dovevano notare la gerarchia interna), oltre che a fungere da avanzamento di carriera per alcuni “novizi”. Il sacerdote che mi aveva invitato era sempre stato alquanto reticente a rispondere a domande anche molto blande: si diceva sicuro che quei giorni mi avrebbero fatto bene, che mi avrebbero dato nuova carica, e che mi dovevo fidare e ascoltare e partecipare e bla bla bla.[2] Mi intrigava il notare come fosse stato così accuratamente pianificato il voler frustrare la curiosità di chi -come me- avrebbe voluto identificare rapidamente i militanti per fare qualche domandina distratta ma precisa ai più ciarlieri tra loro allo scopo di capire dove andavano a parare.

C'è una linea molto sottile fra la sacrosanta discrezione e la ridicola mania di segretezza. La virtù della discrezione può essere coltivata solo da coscienze limpide e con consolidata convinzione dei propri giudizi. La discrezione è un soddisfare ordinatamente le legittime curiosità, è il dire solo ciò che c'è da dire, è il prendere sul serio l'interlocutore e la sua vera necessità di sapere, mentre la mania della segretezza è un voler rispettare un programma, un frustrare le attese per far crescere la sete degli indottrinandi, in fin dei conti una forma di menzogna.[3]

Non ebbi occasione di parlar molto nei primi giorni visto che la scena era tutta occupata dagli avanzanti di carriera. Ma dalle mie rare e sintetiche battute qualcuno dei capi credette di aver scoperto nel sottoscritto un ottimo elemento da promuovere al più presto entro i loro ranghi. Ma non seppero propormi altro che il prendermi numerosi e gravosi impegni con loro.

La spiritualità contemporanea viene sempre proposta come un fardello: vuoi essere dei nostri? vuoi fregiarti della tale etichetta che qui da noi suona elegante? impegni settimanali, più impegni mensili, più impegni stagionali, più impegni annuali, e poi impegni personali, impegni comunitari, impegni auto-organizzati, e un sottinteso obbligo di favorire in ogni modo quelli dello stesso club. In mancanza di una presenza, in mancanza di qualcosa che già ti ha sconvolto la vita, si sentono costretti a proporre una ricetta spirituale - magari condita anche con ottimi ingredienti, però non è che una qualsiasi pietanza diventa automaticamente saporita nel momento in cui ci aggiungi la Nutella. Tanto più se era a base di pesce.

In tutta la loro sincera buona volontà, non sapevano propormi altro che il darmi da fare con loro, considerando alquanto secondario ciò che di buono avessi vissuto in precedenza. Che è l'espressione esattamente opposta a quella di Comunione e Liberazione: il giovanissimo don Giussani lo chiariva dicendo che se Cristo c'entra con tutto, allora c'entra anche con cose come la matematica. Se non è così, allora la fede diventa un “contenuto” con cui “programmarti” la testa, cioè un elenco di cose da fare e da dire, e da non fare e da non dire.

Dopo tre o quattro volte che ci siamo scritti e invitati reciprocamente (e inutilmente), ho perso i contatti con quei bravi ragazzi. Uno degli avanzanti di carriera si stava sganciando dal gruppo perché aveva finalmente capito che un'altra avanzante di carriera (che gli interessava a scopo fidanzamento) non ne voleva sapere.


1) Nelle sagrestie moderne il termine “esperienza” indica l'effettuare una qualche attività chiesastica per poi dichiararsene entusiasti.

2) Patetico epilogo del cattolicesimo postconciliare: dover adoperare strategie pastorali praticamente identiche al reclutamento delle sette o al marketing piramidale.

3) Un ciellino che ti parla di cose di fede ha un solo motivo per tacerti temporaneamente il fatto che è ciellino: la tua scomposta reazione pavloviana che ti fa rigettare istintivamente qualsiasi cosa che abbia anche lontanamente l'etichetta di “cattolico” o di “ciellino”. Un ciellino che invece ti infila il nome di don Giussani ogni due frasi, commette lo stesso errore ma dal versante opposto.

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