Come ogni anno, il giorno di Natale è quello in cui faccio più penitenze. Quel diluvio inarrestabile di inutilissimi “auguri”, quell'asfissiante ostentazione di falsi sorrisi, quell'inevitabile grande abbuffata, quelle fastidiosissime canzoncine gingo bello e quello straziare i canti liturgici tradizionali, quell'obbligo di sorbirsi l'insulso parentame e gli elettrizzatissimi bambini, e poi quelle ridicole e interminabili celebrazioni eucaristiche, cioè l'occasione suprema per le grandi nullità parrocchiali di salire sul palcoscenico a celebrare sé stesse. Il grande momento della liberazione è al termine del pranzo di Natale, quando finalmente ci si può alzare e andar via, provando nell'attraversare il corridoio una sincera e irrefrenabile invidia per quei monaci che fanno voto di silenzio.
mercoledì 25 dicembre 2013
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