lunedì 2 settembre 2013

Un privilegio, una croce, una grazia

Perché si implementa un “convento” o un “monastero”? Per semplificare la vita a coloro che perseguono un grande ideale.

Tanti cattolici - perfino di vita religiosa o monastica - hanno dimenticato o addirittura sempre ignorato il vero motivo per cui esistono conventi (e monasteri e istituti religiosi e tutto il resto). È puro orgoglio voler realizzare da soli la propria vita spirituale: si finisce inevitabilmente per sbandare. La necessità di una “compagnia” dove essere guidati e dove aiutarsi a vicenda ha fatto sorgere le “case” religiose. Dove le esigenze comuni vengano risolte senza richiedere ad ognuno troppe risorse dove la vita di preghiera e di sacramenti sia ordinata, senza subire rallentamenti, svolte o accelerazioni a seconda di capricci e ispirazioni passeggere. Per chi desidera consacrarsi seriamente a Cristo,[1] un buon “convento” è la via più comoda e meno rischiosa. Persino l'avere una “regola” ed un “superiore” a cui ubbidire sono un vantaggio: significa liberarsi di un gran numero di responsabilità e di scelte difficili.

Uno normalmente fa presto a dire “vedrò, saprò, resisterò”: ma una qualsiasi tempesta improvvisa può affondare la nave anche dopo decenni di perfetta navigazione. Una “compagnia” guidata è lo strumento che facilita una sfida altrimenti impossibile.[2] Il “convento” dove tutti perseguono il tuo stesso ideale - nonostante le tue e loro debolezze - è quanto di meglio tu possa desiderare per vivere fino in fondo la vocazione, vocazione che è assai più grande di quanto tu stesso non possa immaginare nei momenti di maggiore entusiasmo.

Don Giussani ha compreso tutto questo in tempi lontani. Mentre il mondo - perfino quello cattolico - si dava da fare per “ribellarsi”, “rinnovare”, “rivoluzionare”,[3] il don Giuss ha in qualche modo estratto l'essenza della vita religiosa. Chi conosce bene i Memores Domini non può non pensare che abbiano una dimora che realizza efficacemente l'ideale di “convento” sopra descritto.

Dimora non significa banalmente una struttura dove “fare vita comune”. Quest'ultimo odioso termine è figlio della mentalità moderna per cui la “vita” è qualcosa che si “fa”, il vivere è una lista di compiti da svolgere, ossia la vocazione sarebbe un mestiere, un elenco di regole. Dimora: uno strumento utile per accoglierti, aiutarti, sostenerti, riportarti in piedi quando cadi. Qualcosa che dunque in fin dei conti ti libera dai fardelli peggiori: il tentare di “capire” da solo, il tentare di “fare” da solo, il tentare di “vagliarsi” da solo...

Ai tempi in cui don Giussani era un ragazzino si diceva che entrare in un ordine religioso era un “privilegio”, rimanerci “una croce”, morirci “una grazia”. Una “grazia” perché significava l'aver combattuto fino alla fine la buona battaglia. Una “croce” perché nessuno strumento esime dalla necessità di lottare contro le proprie cattive inclinazioni.[4] Un “privilegio” perché si badava alla qualità piuttosto che alla quantità.

Che i tempi siano tanto, tanto cambiati lo si nota dalle disperanti “pastorali vocazionali” (diocesane e religiose) che descrivono il consacrarsi come un “fare”, come un'etichettina elegante di specialisti della preghiera, biglietto da visita di professionisti di cose chiesastiche, insomma, sempre un “fare”, un'attività, un mestiere, fosse anche solo il mestiere di essere “qualcosa”. Mestiere che viene chiamato pomposamente “carisma specifico”. Non propongono una dimora perché ormai non c'è più una dimora ma solo un'organizzazione: i “conventi” di oggi non attraggono più, e mentre prima avevano il problema delle troppe richieste, oggi hanno il problema delle troppe poche richieste.[5]

Nelle “pastorali vocazionali” non c'è più una compagnia: c'è invece una struttura con mille possibilità. Come se fosse un club o un partito a caccia di aderenti. Una sorta di accattonaggio di vocazioni che arriva spesso al grottesco: penso per esempio a certi ordini femminili che si affannano a rastrellare giovani africane e asiatiche[6].

Non riesco a vedere oggi negli ordini religiosi tradizionali (e nemmeno in quelli di recentissimo allestimento)[7] qualcosa che somigli almeno vagamente a ciò che don Giussani chiama dimora e che anima la vita dei frutti del movimento di CL (Memores, Cascinazza, San Carlo...) Sembra che solo i religiosi più anziani abbiano ancora memoria di ciò che era la vita consacrata prima della grande deriva del dopoguerra (che ha “fatto il botto” nel '68 e continua ancor oggi).


1) Il consacrarsi a Cristo può avere diverse forme (monaco, suora, prete...) che purtroppo nella parlata comune vengono erroneamente intese come mestieri. “Fare il prete” (piuttosto che “esserlo”), “fare il monaco contemplativo” (inteso come emettitore di preghiere), “farsi suora” (percepito come il farsi assumere in un'aziendina a conduzione femminile), eccetera: la riduzione tutta moderna della vocazione ad una “funzione”, un mestiere, un darsi da fare in nome della produzione di qualcosa che suoni “utile”.

2) Non mi risulta di santi eremiti recenti.

3) In coincidenza col Concilio Vaticano II si è assistito allo svuotamento di conventi, all'abbandono della veste talare e dell'abito religioso, si è fatta strada la mondanizzazione e la ridicolizzazione della vocazione: “il nostro carisma è l'ospitalità”, mi diceva qualche giorno fa l'anziana suora tarchiata che gestiva la “casa di spiritualità”, cioè un alberghetto con cappella. Quelle suore si sono a poco a poco trasformate in cameriere e sguattere stipendiate e con qualche momento accessorio di preghiera comune. La presenza della cappella in tali alberghetti (generalmente arredata con pessimo gusto) è solo uno dei vari servizi per la clientela. La loro “testimonianza” cristiana è ridotta al più a qualche quadretto religiosetto appeso al muro e ad un abito “religioso” che ricorda più un grembiule da vecchia badante che la divisa della consacrata.

4) Una mela guasta rovina l'intero cesto. Tanto più se la mela guasta è il “superiore” della casa religiosa: cedendo alle proprie cattive inclinazioni, o anche solo scendendo a compromessi, può devastare in poco tempo l'intera comunità.

5) Il peggior biglietto da visita di una comunità religiosa è solitamente il suo manifestino di pastorale vocazionale: vi si notino il font di caratteri utilizzato, il disegnino illustrativo, i colori utilizzati e la banalità del titolo che vuole a tutti i costi apparire simpaticamente controcorrente.

6) Il talent-scouting delle vocazioni femminili extracomunitarie si basa su un versetto da “quinto evangelo” del commendator Migliavacca: “seguitemi! vi darò un tetto e un piatto caldo”. Certe congregazioni femminili, fino a non troppi anni fa rigogliose di preghiera, testimonianza e vocazioni, si sono ridotte a piccola imprenditoria alberghiera a disposizione di gruppetti di cattolici imborghesiti. Anziché lasciar morire serenamente di vecchiaia la propria congregazione la eutanasizzano sotto forma di “casa di spiritualità”, per di più con una certa fretta perché alla loro età hanno bisogno di badanti e cuoche.

7) Il generale degrado della vita religiosa si nota in particolare quando i diretti interessati parlano del proprio “carisma”: hanno la stessa faccia e la stessa cadenza del dirigente che parla della “nicchia di mercato” su cui è specializzata la sua azienda.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Da una domanda di una persona in un cammino di dedizione totale a Dio:

Visto che, come ci diciamo sempre, Cristo presente ora e non 2000 anni fa ma ora, lo esperisco presente attraverso una trama di rapporti scelti da Lui stesso e che mi è stata donata, perché le persone con le quali vivo sono aride se non addirittura menefreghiste? in che modo posso esperire la comunione, e cosa è la comunione fra noi? Ti chiedo questo perché se non ho rapporti con le altre persone di casa, affinché io faccia esperienza di lui lo devo immaginare... e io so che Lui non è una mia immaginazione...

Risposta del responabile:
Il problema non è questo, il problema sei tu che non capisci, che non hai coscienza di dove sei capitata.

Risposte della persona di prima sottovoce:
...non mi sta rispondendo...! ...come faccio a capire dove sono capitata se non ho rapporti con le persone con le vivo?


Personalmente ti dico questo:
1. scusa per l'anonimato, faccio appello alla tua discrezione, grazie.
2. fra 20 anni, se le cose stanno così, questo movimento sarà completamente spazzato via, e di esso si ricorderanno solo gli aspetti politici e le cronache di qualche politico della Lombardia.

A meno che coloro che sono stati scelti da Lui non capiscano che il problema è nella trama dei rapporti ormai logora e solo di rapproti di potere, aimè.

Ciao.

g.D.v.h.