domenica 1 settembre 2013

Come se fossero stati forgiati dalle verità della fede

Qualche tempo fa mi è capitato di assistere ad una conversazione tra alcuni Pezzi Grossi di una Grande Azienda italiana. Non so se per effetto del buon vinello in tavola o per reale convinzione, avevano una sincera nostalgia dei Bei Tempi Andati, di quando gli uomini erano uomini e amavano il proprio lavoro oltre che saperlo far bene.

Nel loro raccontare, episodi di quotidiano eroismo si susseguivano con precisi nomi, date e luoghi. Di quando quegli operai, che neanche sapevano scrivere il proprio nome, subito dopo un terribile nubifragio rimisero in funzione seimila cavi di collegamenti in tre ore. Di quando in autostrada durante una piovosa alba l'autista anziché frenare azzardò un sorpasso veloce evitando così di coinvolgere l'autobus carico di sonnecchianti operai in un pericoloso tamponamento. Di quando la suddivisione territoriale lasciava una tale autonomia, che gli “armadi” in ghisa con le apparecchiature erano ficcati ovunque, e nei paesetti persino nelle cantine delle case private, e riuscivano a far funzionare tutto senza elaborare complicate strategie di backup e disaster recovery. Di quando un semplice operaio trovatosi per caso davanti ad un'emergenza seppe velocemente manovrare con sangue freddo e perizia evitando un incendio e altri costosi danni, venne ricompensato solo con una lettera di encomio e non fece una piega.

Nei bei tempi andati c'erano sì pigri e furbetti, ma la mentalità più diffusa, dal vertice più alto fino all'ultimo degli operai, comprendeva la fierezza del far bene il proprio mestiere e un solido senso di lealtà verso l'azienda. I Pezzi Grossi, nel susseguirsi dei loro ricordi, aggiungevano dettagli e date per far capire che non stavano gonfiando i fatti, e con ciò sembravano quasi domandarsi da cosa fossero nate quelle virtù oggi praticamente scomparse.

Per un attimo mi è parso che uno di loro stesse deducendo davvero l'unica esatta spiegazione. Che non c'entra con le vicende politiche ed economiche del dopoguerra, né col benessere percepito o desiderato, né con un presunto attaccamento alle virili virtù così come venivano celebrate dalla retorica fascista. C'entra invece con la percezione della dignità del proprio lavoro, del lavoro come proseguimento dell'opera creatrice di Dio, dell'espressione di una positività, di un desiderio. Il dirigente aveva infatti detto che quegli uomini sembravano aver chiaro il senso delle cose e la preziosità della propria opera, «come se qualcuno li avesse tutti educati a ciò fin da bambini».

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