lunedì 15 aprile 2013

Lo spreco come categoria universale

Sui fogli dei miei appunti ripesco per caso una delle mie vecchie freddure: “vorrei scrivere un libro che descrive l'universo e l'umanità usando esclusivamente la categoria dello «spreco»”.

Da un lato, in natura (cioè nella Creazione) vediamo lo “spreco” di Dio.[1] Le stelle e l'universo che stanno lì a provocarci a riflettere sull'infinito, stupendoci per la nostra misera piccolezza. L'infinità dell'universo di fronte alle nostre quotidiane contorsioni (fisiche e mentali): un vero spreco. Lo “spreco” sulla Terra, un'infinità di specie animali e vegetali, e poi la trasmissione della vita (umana, animale, vegetale) a partire da una percentuale di semi talmente bassa da suonare ridicola. Cose che hanno fatto pensare a più d'uno che l'intero universo sia fatto per essere osservato, l'intera Creazione sia anzitutto “spettacolo” ai nostri occhi e alle nostre anime.

Dall'altra parte, gli “sprechi” umani: il peccato come ricerca di un bene minore sacrificando un bene maggiore. Gli sprechi di attimi della nostra vita (e di minuti, ore, settimane, anni) in attesa di “qualcosa” di imprecisato, attesa inquieta e rabbiosa di qualcosa che il nostro cervello ha pianificato, magari come vogliosa adesione a quello che già si manifestava essere ingannevole. Gli “sprechi” a cascata, quando scelte capricciose, banali, sentimentali, commerciali, provocano sofferenze (piccole e grandi) incalcolabili. Lo spreco della vita, in onore a dinamiche umane fastidiosamente riassunte nella lista dei sette peccati capitali.

E il paradosso di riuscire a riconoscere tanti di questi “sprechi” (umani e divini) unito all'incapacità di tirare le più elementari conseguenze nonostante l'intelligenza di cui siamo dotati.

È ciò che mi è ronzava per la testa stamattina, vedendo quella faccia stanca, “in attesa” di qualcosa, attesa rassegnata e rabbiosa, quegli occhi spenti, quel respirare che sembra funzionale solo al ritmare i secondi che passano. Quanti battiti del cuore sprecati, quanti secondi sprecati, quanti respiri sprecati. Una vita passata aspettando un imprecisato “bel futuro” talmente improbabile che solo col più feroce dei capricci può essere ancora immaginato. “Tristezza sì, stanchezza no”, mi dice abbandonando lo sguardo ad un punto qualsiasi della parete, attendendo pigramente qualche secondo prima di rimettere il pilota automatico.[2]


1) Una simpatica presentazione "animata" delle grandezze dell'universo ci fa capire quanto siamo “piccoli” e “grandi” rispetto al Creato.

2) Ho involontariamente fatto sobbalzare dalla sedia un vecchio amico “ciellino certificato” ma da anni col “pilota automatico”. Sperando che i prossimi Esercizi della Fraternità completino l'opera. L'amicizia “operativa” è diventata routine, è diventata operatività di routine. Dev'esser peggio di una doccia gelata il risvegliarsi accorgendosi dell'imborghesimento. Che, come diceva Bernanos, è quel sottile filo di polvere che più stai fermo e più s'ispessisce... e più ti dà tremendamente fastidio sentirti ricordare che c'è.

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