“Non serviam” è solo un risultato finale. Ma come è giunto Lucifero -intelligenza compiuta, mica un mortale capace di prendere fischi per fiaschi- a gridare “non serviam”? Una tristissima circostanza oggi mi ha fatto intuire qualcosa.
Ho scoperto con immensa amarezza che una mia amica si è infognata ancora una volta in un baratro da cui faticosamente l'avevamo tirata fuori più volte. Temevo una ricaduta ma cercavo di non pensarci, dicendomi che è inutile fasciare una testa ancora non rotta.
Temevo una ricaduta perché la volta scorsa qualcuno incautamente le aveva ricordato che stava uccidendo la sua stessa dignità. Lei, per tutta risposta, aveva gridato che non gliene importava niente della dignità, intendendo -ma non sapendolo esprimere- che percepiva come limitazione del proprio essere perfino il sentirselo ricordare.
Caduta a poco a poco nell'inganno di considerare libertà insindacabile i propri errori, è stata pronta a sputare deliberatamente sui propri talenti, sui propri affetti, amici e parenti, uno ad uno, sulla propria dignità, con tutte le logiche conseguenze che si affacciano alla finestra. Meccanismo che chiamerei incapricciarsi, perché non trovo una parola più adatta per definire quell'indebolirsi della volontà nonostante le frequenti, ragionevoli e riconoscibili possibilità di uscire dal tunnel. Meccanismo purtroppo oliato dalla debolezza di chi le stava vicino: i familiari non vogliono saperne, gli amici si sono stufati, il parroco è impegnato col consiglio diocesano e la recita dei giovani e mille altre cose, la folla di coloro che la ritengono già dannata è purtroppo in crescita.
Ripetute ricadute nel vizio significano che questo stesso meccanismo agisce sempre più forte, costando un prezzo sempre più alto (inclusa la propria dignità e, in futuro, la vita eterna), con la stessa dinamica di un drogato che si abbassa ad azioni sempre più turpi pur di procurarsi la dose quotidiana, pur dopo tentativi riusciti di disintossicarsi - tentativi sostenuti dalla sua sempre più debole volontà.
Lucifero non si è svegliato gonfio di superbia un bel mattino per proclamare “non serviam”. Benché il mysterium iniquitatis appartenga all'eternità anziché al tempo, riflettendo sul caso della mia amica ho l'impressione che Lucifero sia giunto al “non serviam” come per passi successivi, per scelte progressive, per incapricciamenti a catena fino al gran botto finale: rinunciare anche alla propria eterna felicità. Probabilmente con quello stesso tipo di smorfia furiosa e beffarda con cui lei la volta scorsa ci gridava: “chi sei tu per dirmi cosa è bene per me? sono io che devo decidere ciò che è bene per me”, e che oggi ha compiuto un altro passo ancora più giù nell'abisso.
In questa valle di lacrime è inimmaginabile il potere autodistruttivo di chi vuol gridare di non aver più dignità (finendo per convincersene). Lo scopo ultimo del Maligno (e di coloro che riesce a trascinare con sé) è l'autoannientarsi, possibilmente nella massima solitudine, magari addirittura coscientemente. L'immagine della superbia del voler essere “dio di se stessi” è solo un'immagine descrittiva e un po' asettica di quel concreto e rabbioso incapricciarsi a grandi passi verso il nulla.
Mai come in questo caso non ci resta altro che la preghiera. Nostro Signore ha personalmente esorcizzato e guarito, strappando al demonio una folla di anime. Bisogna solo bussare alla Sua porta finché, stanco delle nostre insistenze, guarisca Giuseppina dall'assurdo male di cui va orgogliosa, vincendo quel desiderio di guadagnare l'abisso, salvandole l'anima che attualmente è davvero “tra le più bisognose della divina misericordia”.
giovedì 27 settembre 2012
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