mercoledì 11 giugno 2025

Furono i capi e capetti ad essere divisivi

L'interminabile alluvione bergogliana è finita e quindi, a Dio piacendo, le acque dovrebbero finalmente iniziare a ritirarsi (sarà lunga, molto lunga). L'epoca prevostiana è appena cominciata e già il Tipico Ciellino si sta attrezzando per gridare “viva il Papa!” dagli spalti dello stadio immaginario, nell'immaginario campionato dei movimenti ecclesiali dove si gareggia a dimostrare di aver ancora motivo di esistere.

Al di là di ciò, molti dei guai del movimento di CL sono certamente attribuibili al fastidioso distinguere tra figli e figliastri. Dal capetto in su, sono costantemente tentati di gestire il proprio feudo e di sfruttare il proprio irrilevante titolo nobiliare per fare qualche favorino agli amici degli amici.[1] Lo dico solo perché sono uno dei tanti ad averne fatto personalmente le spese.[2] Capi e capetti erano irraggiungibili per chi non appartenesse al loro cerchio magico. Per te non avevano tempo, anzi, era come se provassero fastidio alla sola idea di averti in udienza per venti secondi. Ma per l'Ateo della Città, prestigioso laicista elucubratore di sofismi, sbavavano e scodinzolavano come forsennati, pur sapendo di star facendo un colossale buco nell'acqua (e così fu).[3] Era come se noi figliastri fossimo incaricati solo di presenziare (a far numero) e di applaudire alla predica del giorno. Non c'è da meravigliarsi che nel giro di qualche anno in molti posti (incluso qui) tale atteggiamento ridusse il movimento al solo cerchio magico, anzi, ad un suo sottoinsieme. “Saturno che divora i suoi figli”, commentarono quando il capo locale silurò alcuni per sostituirli con soggetti più insignificanti ma più devoti a lui.

Nel 2019 Carrón scrisse al Corriere per dire che «qualche pretesto dobbiamo averlo dato».[4] Un tale autogoal intendeva difendere il Formigoni fresco di condanna politica. Così come nel 2013 Carrón ci aveva usati per la sviolinata a Napolitano, così nel 2019 ci aveva usati per il Formigoni, che non era certo uno stinco di santo.[5] Ci siamo sforzati sempre di vedere i denti bianchi ma quegli eventi, anche ad improfumarli per bene nella scuola di comunità, continuavano a puzzare. Ci stavamo letteralmente formando un giudizio non troppo positivo proprio a causa di quella cortina fumogena autolesionista calata dall'alto e imbottita dei paroloni del gergo ciellino.

Quando nei primi anni '70 Bachelet optava per la “scelta religiosa” di fronte al declino della Chiesa, l'excusatio non petita fu che il disimpegno sarebbe stato in realtà un “impegno”.[6] Quando qualche anno fa don Pino si faceva ripetitore della “scelta religiosa” carroniana, l'excusatio non petita fu che il neutralizzarsi sarebbe stato in realtà un “non neutralizzarsi”. Quando i capi innestano la retromarcia e dicono che è un aver ingranato la quarta, o quando segnano un autogoal dicendoti che è una strategia vincente, capisci che qualcosa non quadra.

Occorreva “curare la vita interna”, cioè dottrina e sacramenti, non dividersi in fazioni intimistiche (“giussanologi” prima e carroniani poi) e volontaristiche (cielloti). Occorreva tacere anziché sviolinare, occorreva evitare di fingersi tifoseria del Papa, occorreva evitare di lisciare per il verso giusto il sinistrismo politico e i sacri mostri intoccabili (Bonino, Napolitano & co.), occorreva evitare che il dibattito interno diventasse una riedizione del match giussanologi vs cielloti (che di fatto era stato già stigmatizzato ripetutamente dal don Giussani stesso), o una gareggiare in tifoseria bergogliana.[7] Occorreva imparare a sganciar sonori pernacchi in risposta a chi usava l'aggettivo “divisivi”.[8] Occorreva ricordare (specialmente al Meeting di Rimini) che chi si pone, si oppone, e che una realtà educativa ha per definizione un giudizio sulle cose, e che se invitiamo qualcuno al Meeting o al Centro Internazionale è perché ha qualcosa da insegnarci, non per fargli da claque in modo che qualche Prominente Ciellino ottenga il suo comodo e ben pagato strapuntino. Occorreva capire che la foga di “richiamare all'unità” è un ottimo indice che tale unità non c'è più e che l'unità non si “fa”, al massimo si “riscontra”.[9]

La foga di essere dialoganti ed esibirsi come bergoglioni, la foga di non essere divisivi, ha prodotto solo benaltrismi, buonismi, intimismi. Il movimento si è drammaticamente ridotto in appena vent'anni perché non c'è motivo di partecipare a qualcosa che ti infligge trite banalità, non c'è motivo di far da claque se non appartieni al “cerchio magico”,[10] non c'è motivo di sforzarsi per “avviare processi”, non c'è motivo di entrare nei Memores se poi anziché a Cristo ti comandano di donarti al dialogo.


1) Scrivo queste caotiche e logorroiche paginette solo perché ancora non digerisco il capitombolo di Comunione e Liberazione. Come ho già scritto più volte in tanti anni, quel che vedo succedere nel movimento di CL mi pare inevitabilmente specchio di ciò che succede nella Chiesa. C'è un aberrante nesso fra il Bergoglio che va a far visita alla Bonino, e il movimento che invita la Bonino in cattedra per somministrarle plausi ciellini. Uno vorrebbe occuparsi di altro, e invece vede che nemmeno l'ipotesi di scissione dà un barlume di speranza.

2) Non credo si sia mai visto un capetto ammettere di non saper rispondere. Sciorinavano sempre la magica formula del “chiediti cosa ti voglia dire il Signore con tutto questo”. Con titanico impegno siamo sempre tutti riusciti a non riempirlo di sberle o almeno pernacchi, ma non abbiamo potuto fare a meno di concludere che per loro la tanto vantata “compagnia guidata al destino” era un club riservato ai “figli”, nel senso che se sei uno dei “figliastri”, puoi solo che arrangiarti: “chiediti cosa ti voglia dire il Signore con tutto questo”, formuletta equivalente ad un sonoro “cazzi tuoi”.

3) Per il movimento in versione “istituzionale” provo gratitudine per aver allestito esercizi, Meeting, libri, mostre. Ma le persone concrete - quelle che per me erano il movimento genuino - non erano praticamente mai i capi e capetti. I volti con cui si condivideva qualcosa della vera fede erano infatti quelli di altri figliastri come me. Eravamo un gruppetto di amici, “cani sciolti”, che insieme si andava al Meeting, insieme si andava agli esercizi, insieme si andava alla vacanzina, e che avevamo altri amici, e amici di amici. Ma in fin dei conti eravamo fruitori di un servizio, convinti di essere figli di quel popolo salvo poi vederci considerati solo “figliastri”, trattati da claque, bipedi utili a riempire i posti nell'autobus e a far sembrar pieni i saloni: e quando le cose prendono una brutta piega, ti accorgi di esser stato sempre trattato da figliastro, ti penti di tutte le volte in cui hai voluto far finta di niente.

4) A proposito di pretesti, la figuraccia di Vecerrica mostra che c'è chi ancora ritiene in auge le bergoglionerie, la vita di fede ridotta a teatrino di parrocchia, ad esibizione di etichette.

5) Ironia della sorte, a marzo 2019 Carrón venne dimesso dalla guida dei Memores Domini per decisione della cerchia di quello stesso Bergoglio a cui non aveva mai risparmiato salamelecchi. Ironia nell'ironia, in certi ambientini ciellini si continua a credere alla favoletta del Carrón “oppostosi (o ribellatosi) al Vaticano”, come se non avessero mai notato tali salamelecchi. Apro una parentesi: Leone XIV è papa da appena un mese, e già c'è gente che ne parla con espressioni come: «ci sta instancabilmente richiamando fin dall’inizio del suo ministero petrino». Instancabilmente, perbacco, è solo un mese e già l'affettato avverbio instancabilmente è obbligatorio nella parlantina ufficiale dei capi e capetti.

6) Letteralmente un invito a rinchiudersi in sacrestia. Il tragicomico rapido declino dell'Azione Cattolica negli anni '70 fu interpretato da giornalisti e osservatori come l'humus per il successo della Cielle. Non capivano che l'autocastrazione a intimismo religioso imbottito di psicologismo spicciolo (quando non di emerite vaccate) poteva rappresentare un ideale solo per degli stanchi cattoliconi da salotto un po' troppo anziani. L'altrettanto tragicomica ostinazione di parroci e vescovi a scommettere sull'AC dopo oltre mezzo secolo di sua crisi, più il malcelato sogno di ravvivare l'AC facendole fagocitare la CL, fa capire che di fatto l'ordine di tirare i remi in barca era dovuto alla “primavera conciliare”, cioè alla deliberatamente autoinflitta eutanasia della Chiesa che ama sentirsi moderna.

7) Negli annali futuri ci si chiederà come abbia fatto la gran maggioranza di cattolici a digerire un Bergoglio che la insultava, che infilava gesuitiche ambiguità e pericolosi appigli in ogni discorso, che anche con le più minuscole espressioni faceva danni ciclopici - come il “chi sono io per giudicare?” gravido di conseguenze ed il “troppa frociaggine nei seminari” del tutto privo di conseguenze. Indubitabilmente il dramma peggiore per il movimento di Comunione e Liberazione è stato proprio il Bergoglio, per incensare il quale la gran parte dei ciellini (anche anti-carroniani) ha fatto gli straordinari pur di mescere diavolo e acquasanta.

8) Chi senza ironia adopera l'aggettivo “divisivi” sta insinuando che l'unità ha priorità sulla verità. Cioè ha già ridotto qualsiasi esperienza di fede ad un associazionismo del tempo libero (che ha bisogno di vantare numeri, e dunque “unità”), dimenticando in quanti modi il Giuss ci ha insegnato che l'unità è un risultato, non una premessa costruita a suon di sforzi. Auspicare l'unità viene troppo spesso inteso come un fabbricarla, cioè “sorridete, poiché ci son le telecamere”.

9) Don Giussani non ha mai inteso fondare un movimento (lo scrisse chiaro e tondo a Giovanni Paolo II), ha solo insegnato i concetti più elementari del cristianesimo e si è ritrovato attorno un popolo. Non ha mai “fatto” unità, non ha mai “richiamato” all'unità (ha semmai chiesto di andare alle radici della propria esperienza), perché l'unità c'era già, senza alcun suo sforzo per produrla.

10) Estromettendo dal movimento gente del calibro di Cesana o don Ciccio Ventorino, il Carrón aveva già mostrato dove sarebbe andato a parare.