sabato 19 dicembre 2015

Verticalità assolute

Leggere su wikipedia gli incidenti mortali degli alpinisti lascia un senso di vuoto. Partono attrezzati, allenati e determinati, e poi un imprevisto e la morte. Gli imprevisti sono le tormente, i pendii instabili per la neve, le valanghe, le cadute di sassi, l'esaurire corde e chiodi, lo scivolare sul ghiaccio, il distacco di una cornice di neve, una caduta in un seracco, una folla come a Gardaland, la perdita di un guanto (e conseguente congelamento del braccio), l'accorgersi dell'impossibilità di ritirarsi lungo lo stesso percorso, le notti al buio con temperature bassissime e gli arti congelati, perfino la morte per sfinimento lungo la via del ritorno... Ci si mette anche il Rifugio, con le sue tariffe non propriamente adatte a tutte le tasche.

"Insomma, per cosa hai dato la vita?" Bof, volevo conquistare una vetta. "Sì, ma cos'è quella vetta?" Rocce, neve, terriccio, ghiaccio, molto alta, qualche migliaio di metri. "E tu sei morto solo perché intendevi andarci su a piedi?" Beh, sai, c'erano le verticalità assolute, le pareti che strapiombavano, il traverso chiave, i punti di ancoraggio erano aleatori... lo volevo scalare solo perché era lì.

E così sulle montagne restano i loro nomi. Il "bivacco della morte". Il rifugio col nome di uno. La "traversata" col nome di un altro. La "fessura difficile".

Un alpinista italiano, costretto a ritirarsi per una frattura ad una costola, dovette addirittura giustificarsi: "nessuna montagna vale la vita".

1 commento:

Anonimo ha detto...

É ormai qualche anno che seguo il tuo blog, e i tuoi articoli sono sempre stati spunto per meditare: grazie! Spero di continuare sempre a leggerti sempre più spesso nel nuovo anno! E.