Don Carròn, «ben consapevole della responsabilità» che si assume di fronte a Dio e al Papa, risponde a quest'ultimo accusando sinteticamente e senza giri di parole:
- la frattura tra “sapere” e “credere”, tipica della modernità, e la riduzione del cristianesimo ad “intimismo” e “moralismo”
- la crisi vocazionale “affrontata in modo quasi esclusivamente organizzativo”
- il problema dei libri liturgici che spezzano “l'unità tra liturgia e fede”
- l'insegnamento teologico che si “discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero”
- la “lettura sociologica stile anni '70” della presenza dei movimenti ecclesiali
- il “neocollateralismo” sinistrorso della Curia
- il “malinteso senso del dialogo” e “l'autoriduzione dell'originalità del cristianesimo”
Deludendo molti infaticabili lobbisti dei sacri palazzi, Benedetto XVI ha scelto proprio Scola - e non è affatto detto che lo abbia fatto anzitutto per seguire il parere di don Carròn.
Il cardinal Scola è già al lavoro. Tra poco meno di quattro anni e mezzo compirà i 75 anni, età in cui il Diritto Canonico gli impone di dare le dimissioni da vescovo diocesano. Affrontare seriamente problemi come quelli elencati richiederebbe almeno un paio di generazioni di duro lavoro; Scola ha solo il tempo di dare un colpo di timone verso la direzione giusta.
Accusarlo di “ciellinizzare” la diocesi ambrosiana è lo stesso atteggiamento di un drogato che grida di essere sano e felice. In Italia, infatti, è largamente diffuso il vizietto di pensare che non conti l'uomo ma l'etichetta politicoide che volente o nolente gli è stata cucita addosso dai media.
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