Andavamo sempre a pranzo nello stesso locale. I primi giorni ci trattavano come clienti di riguardo: razioni abbondanti, abbondanti anche gli extra, servizio veloce e preciso. Poi qualcosa ha cominciato ad incrinarsi. Tizio chiedeva più condimento. Caio cambiava idea settanta volte al minuto. Sempronio trovava sempre la pietanza troppo cotta o troppo poco cotta, troppo salata o troppo poco salata.
Ora, il principio è che loro lì stanno facendo il loro lavoro. Può esserci qualche sbavatura perché a chiunque può capitare di sbagliarsi. Può esserci qualche dimenticanza, perché a chiunque può capitare di avere la testa altrove a causa di problemi familiari, di salute sacrificata, di ore di sonno ancora da recuperare. Per questo, se non ho evidenti indizi di trascuratezza deliberata, non mi lamento mai. L'operaio è degno della sua mercede e, così come chiedo che sia perdonata qualche non infrequente imperfezione nel mio lavoro, così sono disposto a perdonarne a chi fa un mestiere meno invidiabile del mio.
I tre sopracitati figuri, invece, non erano altrettanto disposti. Per di più la loro lamentela era pressoché sempre fuori luogo. Si lamentano del troppo sale (“che fa male alla pressione”: ma da quando in qua avete mai cominciato a preoccuparvi della “pressione”?), cambiano idea di continuo (segno di un'insofferenza alle cose della vita, o quantomeno di un'insicurezza feroce e ben coltivata)... insomma manifestavano un disagio scaricandolo su ciò che trovano davanti. Nel locale in cui si va a pranzo, naturalmente, il bersaglio non poteva che essere ciò che si mangia. Cioè il lavoro degli “operai” da noi pagati per pranzare.
La reazione degli operai non si è fatta attendere a lungo. Le porzioni non sono più state abbondanti. Il condimento extra si è rarefatto, e va chiesto esplicitamente, e bisogna aspettarlo, e bisogna contentarsene perché “non ce n'è più”. È stato un modo gentile per farci capire che i clienti lamentosi sono tollerati fino ad un certo punto, punto che il nostro gruppetto ha abbondantemente sorpassato: certi clienti è meglio perderli che trovarli.
Tizio, Caio e Sempronio cominciano finemente a discettare della qualità del servizio, senza minimamente interrogarsi sulle proprie evidenti e documentate paturnie. Quando le faccio presenti, addirittura hanno tanta faccia di bronzo da obiettare: “dunque quelli del locale vogliono vendicarsi di noi?”
Agli “operai” naturalmente non è più gradita nemmeno la mia, di faccia. È andata a finire che il sottoscritto, sebbene innocente, per associazione di idee è considerato un cliente della categoria “meglio-perderlo-che-trovarlo”.
In fin dei conti non posso avere da ridire sul loro comportamento. La mia pazienza ha un limite, e certamente avrà un limite anche la loro, limite anche più basso del mio perché ogni giorno avranno a che fare con clienti isterici, clienti furbetti, clienti incontentabili... cioè con persone che vanno lì per “comprare” un servizio e finiscono per approfittarne per scaricare la tensione dei loro nervi sui malcapitati.
Anche se andassi da solo o in compagnia di “facce” diverse dai tre sopra citati, per molto tempo troverò quegli “operai” ancora consolidati nell'idea che io sono uno della “banda dei seccatori numero 3758”. Comprensibile. Riguadagnare la fiducia perduta è un'impresa titanica, non banalizzabile in qualche gesto di cortesia o mance.
Questa che ho descritto è la stessa dinamica per cui certa gente ha un odio viscerale contro la Chiesa. A causa di qualche religioso imbecille, si finisce per odiare tutta la Chiesa. La suora che in quei momenti era stata intrattabile, il prete che in certi momenti era parso avido o insolente, finiscono per diventare come “esempio fondante” per coloro che già istigati dalla società si autoeleggono moralizzatori duri e puri e si chiedono: “ma come, loro non dovrebbero dare l'esempio?”
Dirò di più: tutti questi religiosi che non hanno mai veramente lavorato in vita loro subiscono per tutta la vita la tentazione di sottovalutare il lavoro di tali “operai”. Esattamente come i tizio-caio-sempronio sopra descritti. Basta che per un certo periodo un prete faccia il pirla (poco importa per quali motivi), che i fedeli finiranno per regolarsi di conseguenza, anche quelli che ostinatamente ricordano che quelle preziose mani sacerdotali consacrano e assolvono.
Banali meccanismi psicologici (come il lamentarsi del poco condimento quando in realtà il disagio riguardava la mancata promozione o le ore di sonno perdute e non ancora recuperate) finiscono per far sembrare “marcio” tutto il clero e tutti i consacrati. Non tutti gli “operai” hanno il tempo e la pazienza per capire che le ultime ottomila lamentele del tal prete o della tal suora non hanno nulla a che fare con il servizio effettivamente reso dall'operaio. Non tutti i preti e suore, sebbene dotatissimi di orari di meditazione e letture bibliche, riescono a ricordare che l'operaio è “degno della sua mercede” (e che pretendere di più, a parità di mercede, è in fin dei conti una ingiustizia non trascurabile).
Finisce così che l'intera categoria dei preti viene detestata per i disagi temporanei (non necessariamente malizia e cattiveria: basta molto meno) di uno che era troppo stanco per ricordare che i santi non si lamentavano mai. Il comando forte e chiaro della Chiesa, ridotto a pio suggerimento per anime sazie e riposate, finisce per apparire come materia da prediche della domenica piuttosto che come urgenza di giustizia e carità. E mentre per il gruppetto dell'ora di pranzo erano bastati tre quarti di lamentosi, per il clero basta molto meno per aiutare il Principe di questo mondo a diffondere e sostenere la sottile tentazione di pensar male di tutti i consacrati.
C'è una casa di formazione (di proposito non chiamata “seminario”) dove prima di accettare aspiranti preti ci si assicura che lavorino, che abbiano fatto seria esperienza di cosa significa lavorare, avere orari, responsabilità, provar fatica, avere ore di sonno arretrate, tempo libero ridotto, e a fine giornata dover anche subire durante la Messa la noiosa predica buonista del “dobbiamo essere più buoni, più disponibili, più generosi”. Perciò hanno la mia massima stima: accederanno al sacerdozio avendo già gli anticorpi giusti (non solo contro quel tipo di prediche). Come me, senza troppa fatica, eviteranno il 99% delle tentazioni di lamentarsi degli “operai” solo per sfogare un disagio che con gli “operai” non c'entra per niente. E si sentiranno dire (come già ripetutamente avvenuto a qualcuno di quegli aspiranti), “solo tu mi capisci, solo tu sai cosa significa lavorare e tirare avanti”.
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