martedì 13 luglio 2010

Dimora

«Andavo avanti senza una meta. Per questo mi sentivo strano, per questo avevo sempre fretta.
Ma questo posto ha qualcosa di misterioso. Comincio a sentirmi come... come se io avessi sempre abitato qui. Stando qui e lavorando tutto il giorno, vedendo i volti lieti di ognuno, mi ha reso indescrivibilmente felice. Mi ha fatto sentire a casa» (...) «Mi sento come se volessi rimanere qui per sempre».
Sono le riflessioni di Takemoto (traduzione mia), nell'episodio 1/23 di Honey and Clover[1] quando comincia ad assaporare la vita del monastero[2] in cui si è ritrovato per un banale incidente mentre fuggiva da tutto e da tutti, cioè mentre fuggiva dal senso di vuoto della propria vita e dall'impossibilità di avere accanto la donna che ama.

Non gli ci vuole molto per scoprire quanto gli sia preziosa quella comunità[3] in cui è approdato per caso. “Come se avessi sempre abitato qui”: una compagnia, una corrispondenza.

Sono sorprendenti le analogie con la vita di un monastero cattolico[4]. Nel tracciare quel racconto l'autrice[5] ha anche tratteggiato delicatamente la vita delle comunità di consacrati a Cristo, probabilmente senza esserne neppure consapevole. Ha descritto cosa si prova ad incontrare un luogo dove l'io, come dice il don Giussani, è «sollecitato, aiutato e recepito».

In qualche caso, nei momenti di sconforto (specialmente dopo l'incidente di Hagu) sfuggiva qualche invocazione a Dio (“o Dio, salvala; o Dio, ma perché tutto questo?”) Ma il termine kami (神) è piuttosto traducibile come “divinità”. Veniva invocata una generica “divinità”, non un Dio personale. La vera novità, per Takemoto, è l'aver scoperto una dimora: nulla sarà più come prima. Giungerà infatti ad invocare Dio in lacrime, chiedendo perché gli sia stato messo in cuore un desiderio così grande senza alcuna possibilità di vederlo realizzato.

Solo alla fine[6], con quel che ai nostri occhi parrà l'ingresso in noviziato, capirà. E diventerà capace di ringraziare Dio.


1) La serie Honey and Clover (titolo da intendersi come “miele e quadrifoglio”, cioè portafortuna) è un manga di taglio romantico-slice of life, successivamente adattato in due serie anime, film e sceneggiati. Qui mi riferisco alle due serie anime trasmesse in Giappone tra il 2005 e il 2006.

2) La storia è ambientata in Giappone: si tratta di un monastero buddista. Nel caso specifico, non era una comunità di monaci ma di restauratori e carpentieri che si spostano periodicamente da monastero a monastero, facendo vita comune e lavorando sodo con una bassa paga (una trentina di euro al giorno).

3) Nella narrazione si suggerisce che solo con una grande passione si può fare quel lavoro, del tutto artigianale (senza né schemi né pianificazione, limitandosi a riparare rimanendo fedeli all'originale): si sente quasi l'eco dei consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza). Ammetto di essere stato tentato di scrivere Memores Domini anziché monaci.

4) Nel sito web della conferenza episcopale giapponese leggevo una riflessione sul calo drammatico dei “preti” buddisti (diminuiti dell'ottantadue per cento dal 1970 al 2005); i preti cattolici sono invece calati da 1900 a 1500 nello stesso periodo (in Giappone il cattolicesimo è marginale). Il lato involontariamente ironico della riflessione era questo: a chi propone il matrimonio dei preti e una “maggiore inculturazione”, come rimedio alla scarsità delle vocazioni al sacerdozio nella Chiesa cattolica... i giapponesi rispondono che quei due metodi sono proprio quelli che hanno già dimostrato di non produrre risultato per frenare il calo drammatico dei “preti” buddisti. I quali (almeno in Giappone) sono sposati e “inculturati” (il “mestiere” del “prete” buddista se lo passano di padre in figlio), ed in 35 anni sono calati da un milione e mezzo ai circa 300mila di oggi, col risultato che i templi buddisti stanno per estinguersi. Statisticamente, un tempio buddista per sostenersi ha bisogno delle offerte di almeno 300 famiglie di fedeli. La maggioranza degli 86.000 templi buddisti in Giappone è perciò a rischio di estinzione.

5) Il vero artista non costruisce storie ma si lascia trascinare dai personaggi che ha creato (devo alla Flannery O'Connor questa deduzione). Forze oscure hanno estirpato la fede cattolica dal Giappone, ridotta ormai a retaggio di una trascurabile minoranza (proporzionalmente, è come se in tutta Italia fossero cattolici solo gli abitanti di Ravenna); ciononostante anche i non cattolici hanno ancora una nostalgia di quel cattolicesimo che hanno estirpato. Negli anime lo noto nella presenza di rassicuranti statue della Madonna nei punti dove più apparentemente è inutile citare il cristianesimo; oppure il Kyrie Eleison musicato in più serie, per dare un senso di vertigine e di paura della morte (evidente reminiscenza di solenni liturgie funebri della Chiesa); talvolta vi trovo anche la blasfemia (gratuita) e il tentativo di accomunare gli “spiriti” con l'idea cattolica del demonio. Solo in alcune produzioni recenti hanno cominciato a far la loro comparsa anche le perle dello stupidario laicista occidentale (dovute peraltro alla necessità di esportare gli anime in USA).

6) Episodio 2/12. Tra le altre scene, Takemoto saluta con commozione la sua camera: proprio come i monaci che trasferendosi ad altro convento baciavano le pareti della propria cella, quella cella dove gli anni passati nello studio e nella preghiera li avevano forgiati e visti crescere.

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