venerdì 2 luglio 2010

Ascetica, legalismo, santità e allegria

Un antico detto monastico diceva pressappoco così: se riesci ad eliminare un vizio all'anno, sei sulla buona strada. Questo è esattamente il motivo per cui la Chiesa (anzitutto nell'esempio dei suoi santi) ha sempre raccomandato di fuggire le occasioni di peccato e di forgiarsi l'anima con digiuni e preghiere.

Siamo tutti capaci di peccare ma assai raramente ci rendiamo conto di un fattore fondamentale: il precedente. Un peccato già commesso in passato diventa una trappola facile in cui cascare non appena si riavvicina l'occasione. Aggiungere al proprio curriculum un peccato “nuovo” significa allungare la lista delle proprie “abilità”. Una volta creato il precedente, dopo un pentimento magari anche sincero, a distanza anche di molto tempo (anche di molti anni) si ricade più facilmente perché è come se si pensasse (seppure non in questi termini): “sì, come la volta scorsa”. Ossia un assenso dato in virtù dell'esistenza di un precedente. L'ascetica cristiana serve proprio a ridurre questo rischio e ad essere meno distratti quando il Tentatore invoca il Precedente. I digiuni, le preghiere, le pratiche di pietà sono come un body-building dell'anima.

Torna in mente l'orrore che provò il curato d'Ars nel vedersi così come Dio lo vedeva (ed era il santo curato d'Ars! e si vide peccatore così come Dio lo vedeva, vedendo l'abisso che lo separava dalla perfezione). Ma torna in mente anche il san Domenico Savio: «la santità consiste nello stare sempre allegri». Così giovane e già aveva capito che la perversione dell'ascetica cristiana è il legalismo protestante (che vedo ottimamente rappresentato nel film Dies Irae quando il pastore protestante si nega anche l'abbraccio di sua moglie dicendo corrucciato e con voce ferma: “no! ho molto peccato!”)

Vincere un vizio all'anno è impresa assai più ardua di quanto non riusciamo ad immaginare. Se non altro, perché concentrarsi solo sui peccatucci e peccatoni della vita quotidiana (che poi son sempre gli stessi) può ridurre la vita morale ad un mestiere, ad un bon-ton.

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