L'ottavo e il nono episodio della serie anime Yomigaeru Sora descrivono per analogia, ma con sorprendente precisione, la dinamica della vocazione. Un giovane in fuga dalla famiglia incontra due militari in vacanza. In una situazione di emergenza, i due lo coinvolgeranno - loro malgrado - nel mettere in salvo delle vite. Il giovane ribelle, vedendoli personalmente in azione, vedendoli possedere il significato delle cose, resterà a poco a poco affascinato da quel mondo che ha inaspettatamente incontrato, sorprendendo infine suo padre col manifestare l'intenzione di entrare nelle forze militari per vivere allo stesso modo di quei due.
Alle origini di una vocazione c'è sempre un irresistibile fascino per una vita investita per qualcosa di talmente grande da far sembrare trascurabili tutte le fatiche affrontate. Solo che è generalmente impossibile arrivarci per ragionamenti, depliant o discorsi: occorre vedere con i propri occhi, liberi da pregiudizi, perché vale la pena fare quel tipo di vita. Ti si stampano in testa anche quei dettagli apparentemente secondari, come quella malcelata soddisfazione che si legge nel volto di uno dei due militari per aver correttamente compiuto la propria missione. Tutto questo è diretta conseguenza del fatto che la fede si trasmette “per contagio”.
In realtà tutta la serie Yomigaeru Sora è una storia di una vocazione: il protagonista, che aspirava a diventare pilota di jet, è invece assegnato al reparto elicotteri della protezione civile, cosa che lui interpreta come una vergognosa degradazione. Alla quale seguono comunque fallimenti, fatiche e incomprensioni. Che però gli apriranno gli occhi: nello scoprire a poco a poco il senso di ciò che fa, si accorge anche di desiderarlo, non perché si stia faticosamente rassegnando ad accettare quella vita ma perché ne scopre il significato, infinitamente più vasto delle sue previsioni. Perché ha davanti un padre, un adulto da seguire, una guida.
Nell'animazione giapponese, anche quella più commerciale, sembra esserci un riferimento piccolo ma costante ad un cristianesimo pienamente vissuto. Come se per vendere occorra risvegliare una nostalgia del cattolicesimo che hanno estirpato. Per cattivarsi un pubblico adulto, mentre in Italia si gioca su romanticismi e volgarità, in Giappone si racconta invece di coraggio e passione. Mentre i protagonisti delle fiction italiane si interrogano pensosi e distratti sulla confusione che hanno in cuore, quelli degli anime di livello medio-alto trasmettono - perfino loro malgrado - una passione, una certezza, dunque una speranza. Nel nostro paese, per vendere, occorre produrre storiette tra il volgare e il banalmente sentimentaleggiante; in Giappone, per vendere, bisogna parlare di passione per la realtà, bisogna far eco del cristianesimo, bisogna mostrare in modo convincente come nasce una vocazione.
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