Era una piovosa mattina di fine ottobre e il parroco era furente perché i fedeli giungevano in ritardo alla Messa. Al terzultimo banco c'ero io, intirizzito, seminascosto e infreddolito. E in ritardo a causa della pioggia. Erano i tempi in cui di domenica mattina mi occorrevano venticinque minuti a piedi per andare a Messa, salvo avverse condizioni metereologiche. Un'automobile di passaggio (ma di passaggio molto veloce) aveva sollevato un'onda anomala che mi aveva centrato in pieno. Non ero un ragazzino moderno: avevo infatti proseguito di buon passo per la mia strada pensando al conforto che avrei trovato nel Santo Sacrificio della Messa. Trovai invece il parroco infuriato contro i ritardatari, contro quelli che non si tengono per mano al padrenostro, contro quelli che sgattaiolano via immediatamente dopo l'«andate in pace», contro quelli che non sono abbastanza generosi per le iniziative parrocchiali...
In una predica nelle domeniche successive si sarà certamente lamentato anche dei giovani che abbandonano la parrocchia. Ma non potei ascoltarlo: ero infatti diventato anch'io uno di quei giovani. La sua sfuriata di quella domenica di fine ottobre, iniziata con quel “so bene che piove, ma...”, era stata molto convincente: coi pantaloni infangati fino al ginocchio, con un cielo grigio che versava giù a catinelle picchiettando la parrocchia su ogni lato, con attorno l'alito pestilenziale delle vecchiette che mi circondavano, mi ero sentito colpevole di altissimo tradimento alla Chiesa lungo tutto la Messa, riconoscendo l'esecrabile colpa di non aver anticipato la sveglia di un quarto d'ora per prevenire eventuali ritardi dovuti ad eventuali piogge. Ma nel tornare a casa, pensando a tutto fuorché agli ultimi novanta minuti, mi sentivo liberato: non trovavo nulla da recriminare, non più alcuno scrupolo. In qualche modo il vaso era traboccato ed il sottoscritto era improvvisamente entrato a passo deciso nella schiera di coloro che non vogliono più saperne nulla di santa madre Chiesa. Cento campagne di ateismo e mille discorsi anticlericali non avrebbero sortito neppure una frazione di ciò che poterono quelle poche esternazioni del parroco e quel suo sguardo censore mentre puntava il mirino anche verso di me. Se lo sapessero i Radicali, farebbero fuoco e fiamme per vedere approvata una legge che obblighi tutti i giovani ad andare sempre a Messa.
Certo, dopo un po' di tempo, per grazia di Dio, imbattutomi in cristiani più seri tornai (con vera gioia e gratitudine) alla Chiesa cattolica - ma questa è un'altra storia.
Il ricordo di quel parroco e di qualche suo successore mi ha sempre fatto riflettere sull'oscura dinamica per cui nonostante tutti i discorsi e tutti gli auspici oggi la formazione al sacerdozio punta più ad una cultura teologica e ad un generico darsi da fare, che a formare sacerdoti “innanzitutto uomini”. Il principale problema di ogni prete simile al sopracitato è il vivere in una specie di realtà virtuale: parlerà non ai fedeli che ha concretamente davanti, ma alla mutevole (e sempre pallida) immagine di essi che gli gironzola per la testa, quella descritta dai fumosi esami di Pastorale e dalle affettate prediche del seminario. Per cui ignorerà del tutto le loro concrete preoccupazioni, si affannerà in mille raccomandazioni astratte che al più possono interessare chi ha tanto tempo libero che non sa come impegnare, si darà da fare per elaborare sempre nuove Proposte Pastorali per risvegliare dalla fiacca il volubile Laicato e l'evanescente Giovane. Punterà il dito - magari solo per forza di abitudine - anche contro quel giovane che mendicando il conforto spirituale del Sacramento aveva aveva affrontato vento e pioggia.
Doveva essere un problema ben diffuso già mezzo secolo fa: per far infuriare a morte il clero ambrosiano, al don Giussani bastò rispondere: «siate innanzitutto uomini». Non asettici funzionari del sacro, non noiosi dispensatori di frasi fatte, non pedanti elargitori di fardelli di regole, non infaticabili organizzatori e presieditori di riunioni, ma uomini, innanzitutto uomini, perché sarebbe assurdo tentar di realizzare il professionista dell'annuncio di Cristo. Dopotutto è tragicamente facile verificarlo: basta invitare il parroco a cena. Di cosa si può parlare con lui? Con che argomenti gli si accende l'animo? Di che ampio orizzonte culturale dispone? Quanto si deve sforzare per stare al passo coi presenti? Al di là delle frasi fatte, cos'è per lui la vita, la fatica, la gioia, il lavoro, la sofferenza, la vita di famiglia? Ecco: il don Giussani aveva assolutamente ragione. Più vedo certi preti, più capisco che il don Giussani aveva definitivamente ragione. Una volta il mondo disprezzava i preti perché li odiava; oggi li odia perché gli ispirano disprezzo e noia. E li odia buttando nel calderone, come sempre, anche i preti “più uomini” (che però oggi non sembrano essere la maggioranza, al contrario di ieri).
Di fronte al ciarpame liturgico e catechetico attualmente in voga vien davvero nostalgia di quando i preti erano “innanzitutto uomini”. Uomini di scienza, uomini di cultura, uomini capaci di appassionarsi, di immedesimarsi, capaci di vedere con chiarezza ciò che tu riuscivi a stento a intuire. Era il detestato parroco a insistere perché tuo figlio andasse al conservatorio o all'istituto d'arte (e te lo diceva perché sapeva riconoscere meglio di te l'arte), era il deprecato curato a scoprire l'ingegnere o il letterato che avevi per figlio (per essere veri talent-scout bisogna prima avercelo, il talent), era il disprezzato prevosto a dirti che quella donna è troppo volubile per te (e sì, perché il prete, proprio in quanto ostinato nella castità, delle donne osservava l'anima mentre tu ti eri inconsciamente limitato al resto). Con rigorosi -anche quando minimi- studi ecclesiastici, trasmettevano qualcosa di vivo, capivano le cose della vita prima di te, ti veniva voglia di invidiarli, di seguirli, di prenderli sul serio. Fino a non troppo tempo fa, scienziato era necessariamente sinonimo di consacrato. Ti veniva inevitabile pensare: Cristo c'entra. Era così perché la fede e la vita erano tutt'uno, Cristo non era ridotto a materia da professori in vena di sciccherie.
Se per un attimo si mette da parte la pigrizia mentale del delegare ogni giudizio alle trasmissioni televisive, ci si accorge che i preti che spiccano, quelli che davvero ti vien voglia di seguirli, quelli che davvero ti dicono qualcosa, non sono quelli che Fanno Grandi Cose, non sono quelli che effettuano con professionalità tutte le Operazioni Prescritte dai Regolamenti, ma sono quegli “innanzitutto uomini” nel mondo reale. Sono quelli le cui “prediche” hanno a che fare tanto col Vangelo del giorno quanto con le questioni serie della vita, sono quelli le cui parole non ti suonano inutili e insipide nel momento in cui ti trovi nei guai, sono quegli “innanzitutto uomini” che nel vedere uno che pur di avvicinarsi al Sacramento sopporta venti minuti di pioggia, si sarebbero commossi.
4 commenti:
Ciao,
Capisco il tuo discorso, molto bello.
Bisogna però anche considerare che su questi poveri preti c'è sempre qualcosa da ridire.
Se il prete una volta parla dieci minuti più a lungo: è un parolaio.
Se durante una predica parla forte: allora urla.
Se non predica forte: non si capisce niente.
Se possiede un'auto personale: è capitalista, è mondano.
Se non ha un'auto personale: non è capace di adattarsi ai tempi.
Se visita i suoi fedeli fuori parrocchia: allora gironzola dappertutto.
Se frequenta le famiglie: non è mai in casa.
Se rimane in casa: non visita le famiglie.
Se parla di offerte e chiede qualcosa: non pensa ad altro che a far soldi.
Se non organizza feste, gite, incontri: nella parrocchia non c'è vita.
Se in confessionale si concede tempo: è interminabile.
Se fa in fretta: non è capace di ascoltare.
Se comincia la Messa puntualmente: il suo orologio è avanti.
Se ha un piccolo ritardo: fa perdere tempo a un sacco di gente.
Se abbellisce la Chiesa: getta via i soldi inutilmente.
Se non lo fa: lascia andare tutto alla malora.
Se parla da solo con una donna: c'è sotto qualcosa.
Se parla da solo con un uomo: eh!
Se prega in Chiesa: non è un uomo d'azione.
Se si vede poco in Chiesa: non è un uomo di Dio.
Se si interessa agli altri: è un impiccione.
Se non si interessa: è un egoista.
Se parla di giustizia sociale: fa della politica.
Se cerca di essere prudente: è di destra.
Se ha un po' di coraggio: è di sinistra.
Se è giovane: non ha esperienza.
Se è vecchio: non si adatta ai tempi.
Se muore: non c'è nessuno che lo sostituisce!
http://www.qumran2.net/ritagli/ritaglio.pax?id=2033
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Detto questo ci sono indubbiamente dei problemi, tuttavia è meglio pensare sopratutto a pregare per loro che non a criticare!
Nel caso specifico può anche essere che il prete in questione abbia visto per parecchie Domeniche venire gente in ritardo in Chiesa e quella volta c'è stata anche per lui la goccia che fece traboccare il vaso.
Il banale procedimento del commentatore sopra citato è stato questo: "«ucciellino» critica i preti; dunque devo rispondere con una contro-critica".
Quell'espressione "meglio pregare per loro" è infatti la declamazione di uno dei tantissimi e mutevolissimi dogmi del clerically correct.
È un modo per affermare se stessi, un modo per dire "ehi, al mondo esisto anch'io": non appena si imbattono in qualcuno o qualcosa, si sentono obbligati a catalogarlo sommariamente tra i buoni o tra i cattivi e, in quest'ultimo caso, dar loro una qualche lezione attingendo a piene mani dal frasario preconfezionato del loro "partito" di appartenenza.
Tanto cattolicume in buona fede si fonda su questo meccanismo pavloviano dello scaricare addosso all'interlocutore gli slogan del proprio partito ancor prima di ascoltare o leggere.
Il clerically correct esige che prima di una critica si elogi strumentalmente qualche pur piccolo punto positivo: "Capisco il tuo discorso, molto bello".
Dopo aver messo a posto la coscienza con l'elogio, si applica l'inversione di marcia (con un "tuttavia" o un "però"), quindi si infila un verbo pilatescamente impersonale ("bisogna") e infine si procede a tutta manetta con la filippica preconfezionata.
Attenzione: non conta il contenuto, ma la visione in bianco e nero del mondo ed il meccanismo pavloviano con cui si reagisce (indipendentemente da ciò che veramente passa per la testa di chi reagisce: è pavloviano proprio perché talmente abitudinario da essere incontrollabile).
Non è una cosa clerically correct.
Una penitente che andò a confessarsi da Padre Pio (attualmente questa donna è in causa di beatificazione insieme a suo marito, si tratta della Serva di Dio Licia Gualandris) si accusò proprio di questo peccato dicendo in sostanza che certi preti le critiche te le tirano fuori loro.
Padre Pio rispose che più che a criticare pensasse a pregare.
Fare invece qualche apprezzamento prima di esprimere una critica lo consigliava in sostanza San Francesco di Sales.
Comunque davvero apprezzo il tuo blog e mi spiace che ultimamente ci siano cosi pochi aggiornamenti! E so bene anch'io che ci sono tanti problemi all'interno del clero.
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