Una persona tutta pimpante mi segnala il comunicato di don Carròn sulle “dimissioni” del Papa. Nel leggerlo, ho avvertito tutto il dolore di don Carròn.
A causa della decisione del Papa, da domani -anzi, già da stasera- avrò il poco piacevole onore di distinguere con enorme chiarezza i ciellini imborghesiti da quelli che hanno capito almeno qualcosa del movimento. Vedrò coloro che si riempiono la bocca di paroloni ciellini come “drammaticità” e vedrò i (temo assai meno numerosi) ciellini come me che quando pronunciano la parola drammaticità avvertono una fitta lancinante.
Don Carròn ha ben presente l'imborghesimento di ampi settori del movimento di Comunione e Liberazione. Dove la virtù della speranza viene comodamente trasformata in un sorridente ottimismo. Dove la virtù della carità viene trasformata in un generoso impegno (magari anche fruttuoso, magari anche sincero, ma tutto sommato “impegno” incastonato nella propria agenda ed a cui si dedica più il corpo che l'anima, più i soldi che le virtù teologali). Dove la virtù della fede viene trasformata in imponente e perspicace ripetizione dei “discorsi del movimento” (magari anche comprendendoli un po', ma spendendo cento parole laddove ne basta una: annacquando cioè quello che ci ha davvero svegliati, rimessi in piedi, acceso il fuoco dentro, guariti dallo scandalo dei nostri stessi peccati). Che poi in fondo in fondo sono le stessissime cose che avvengono in tutti gli altri settori della Chiesa.
Ciononostante, proprio il don Carròn stesso deve indicarci la direzione da guardare: la libertà di don Joseph, libertà grandissima perché capace di operare una scelta grandissima (in qualità di Papa, è assai più conscio di me e di te delle difficoltà di essere Papa adesso), una scelta che era stata inimmaginabile da sei secoli. Don Carròn deve ricordare quanto sia necessario -subito, senza sconti- mettere da parte l'entusiasmo umano per capire cosa significhi libertà in quella circostanza e cosa c'entri con la nostra vita.
Don Carròn lo fa perché al di là dei tipici peccatucci dei singoli, al di là delle comodissime sbandate (che qui chiamo “imborghesimento”), il problema principale è ancora capire cosa significhi essere liberi. Uno può sapere a memoria tutta la dottrina della Chiesa, eppure scegliere il “bene minore” rispetto al bene maggiore; uno può aderire a Cristo con tutta la propria volontà, eppure desiderare altro, avvertendo la fede come un peso anziché come una liberazione.
Quando don Giussani ci augurava di non vivere mai tranquilli, ce l'aveva proprio contro l'imborghesimento. Il cui primo comodo frutto è dimenticare la libertà. Ridurla ad un concetto astratto. Esonerarla dal dolore. Renderla una cosa asettica. Il ciellino tutto volantoni, telegiornale, scuola di comunità, telegiornale, banco alimentare, telegiornale, vacanzina, finisce a poco a poco per non capire più cos'è la libertà.
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Grandioso commento
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