venerdì 10 febbraio 2012

Frattaglie / 12

Ancora altri pensierini sparsi e disordinati, tanto per fare un po' di pulizia tra le bozze del blog...

“Tu sei un po' come sua madre”, le dissi distrattamente. Lei si lusingò e dedusse che era ora di riappropriarsi di quella sua “figlia”, sfrenando il suo latente complesso da crocerossina. Guaio che va avanti ancor oggi. Mai sottovalutare il peso delle parole.

Mi accorgo che su un certo problema ho agito allo stesso modo di coloro che considero miei “padri” nella fede. Così, rifletto su certi ripetuti appelli, nelle prediche domenicali, all'unità e alla collaborazione. Eppure, in un cristianesimo normale, si finisce senza troppo sforzo ad avere un metodo comune nell'affrontare i problemi. La necessità di fare appello alle volontà per ottenere ciò che è frutto di una fede normalmente vissuta è un segnale assai allarmante.

Dalla crisi economica, tanto più drammatica quanto più ci si rifugia nei giudizi assorbiti passivamente da TV e stampa (che hanno la stessa rilevanza della musica sul Titanic che affonda), si salverà solo chi è disposto ad investire nel “capitale umano”. Quella ingenua baldanza dei cosiddetti “ciellini” dovrebbe essere maestra. Invece viene interpretata (tanto per cambiare) come una dichiarazione politica passeggera e secondaria. Triste, quest'epoca, in cui ci tocca faticare per dimostrare la positività del reale.

La società umana è sempre stata piena di quindicenni pigri e arroganti, serviti, incensati e riveriti, che non sanno dir altro che “cheppalle, cheppalle”. Senza un'educazione di popolo il degrado è matematicamente assicurato. Ma anzitutto occorre convincere il popolo che educare non significa istruire.

C'è un motivo misterioso per cui un cantante deve “avere un look”. La sua faccia non cambia nulla rispetto a ciò che canta. Eppure, senza “look” personalizzato, non riesce a vendersi. Dunque, nell'acquistare la sua musica, si paga anche per la sua immagine. Compriamo composizioni musicali associate a immagini. Compriamo facce, culi, cosce associate a canzonette che tra un anno avremo già dimenticato.

Essere cattolici oggi è qualcosa di avventuroso. Ti senti un Indiana Jones preso a fucilate da tutte le parti, così, come se niente fosse. Per esempio basta pronunciare qualche elementare concetto di Catechismo, che subito ti danno dell'integralista, del fanatico, del superbo, del nazista, del leghista (addirittura)... ti dicono “mi fai paura” o “mi fai schifo”, ti dicono (proprio loro che sputano sulla Chiesa) che parlando così infanghi la Chiesa (curiosa espressione davvero: la Chiesa danneggiata dal suo stesso Catechismo? ma di quale chiesa parlano?)

Quando sento parlare di “integralista cattolico” mi vien da ridere. Un “integralista cattolico” molto noto è stato san Pio da Pietrelcina: aveva una fissazione invincibile nel vivere il cattolicesimo nel modo più integrale e integralista possibile. Il calendario cattolico è una ponderosa lista di ferocissimi “integralisti”, gente che ha preferito rimetterci la pelle (e talvolta nei modi più orrendi possibili) pur di non scalfire minimamente il cattolicesimo che vivevano. Eppure oggi “integralista cattolico”, misteriosamente, non è un complimento o un augurio: il relativismo ha cambiato persino il significato delle parole.

Sorprendente che esista gente che “crede nella politica”. Persino in quest'epoca di tuttosommato, madai, infondoinfondo c'è gente che spera nell'azione politica di qualche personaggio politico, azione diversa dal grattar via dalla carcassa italiana le ultime briciole.

Il gergo ciellino si è formato perché gli amici del don Giussani avevano preso davvero sul serio le cose della vita. Al punto da scegliere via via le parole più adatte, come se avessero dichiarato guerra alla fumosità, come se avessero a cuore il trasmettere con precisione anche il particolare più secondario. Per esempio il verbo “imbattersi” lo sento utilizzare praticamente solo all'interno del movimento. Sta diventando desueto. Sentitelo, quant'è denso: “imbattersi”. Si capisce benissimo che chi s'imbatte in qualcosa, non è passivo rispetto a ciò che gli accade, non resta indifferente, non sta nel mondo dei sogni.

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