Un giorno, da ragazzini, scoprimmo che per sembrare adulti occorreva esprimere preferenze sulla musica. C'erano i cantanti del momento, i gruppi più famosi, i divi più certificati, e noi tutti si sceglieva tra quelli. Era importante - era fondamentale per non essere presi per stupidi - dichiarare la propria somma devozione per qualche riconosciuta divinità della Hit Parade somministrataci dalla televisione. Gloria e onore nel momento in cui primo tra tutti i compagni di scuola qualcuno annunciava l'ultimo capolavoro di una delle divinità dell'olimpo musicale (che in quanto tale avanzava di capolavoro in capolavoro), onta e ignominia quando qualcuno lasciava anche soltanto intendere il proprio ateismo o agnosticismo rispetto alle sacre istituzioni mediatiche.
Disegnavamo improbabili chitarre elettriche accanto a improbabili moto da cross nei nostri diari scolastici, ci dichiaravamo appassionati batteristi, bassisti, chitarristi pur non avendo mai nemmeno posseduto uno strumento, inventavamo nomi e stemmi per il gruppo che in quel momento sognavamo di fondare, invidiavamo i riccastri figli di papà che potevano permettersi di comprare l'ultimissima Hit anziché aspettare il momento buono per copiarsela. Grosso modo i nostri discorsi, oltre che sul Divinissimo Calcio di Serie A, rispecchiavano sempre questo stesso schema.
Fin da bambini siamo stati educati a questo politeismo perennemente mutante. Anch'io ho fatto parte, con convinzione, di quei credenti instancabilmente fervorosi. Ero addirittura più praticante degli altri, al punto che decisi autonomamente di dedicare qualche ora di un pomeriggio di una giornata festiva solo all'ascolto del mio Gruppo Preferito, quello che nominavo con orgoglio e decisione precedendolo dalle parole “mi piace”. Avrei cantato con loro, scrutandone e meditandone i testi, in poltrona, col volume alto quanto basta (i miei erano assenti) per compenetrarmi in quella musica che tanto aveva segnato la mia vita, e partecipare della loro gloria.
Solo che quella pianificata liturgia di adorazione e meditazione, nonostante tutta la minuziosa e riuscita preparazione, mi rese improvvisamente cosciente di quanto fosse stupido e inutile il mio “credo”.
Don Giussani era solito sfidare ad andare fino in fondo nelle proprie convinzioni. Ad un giovane sedicente marxista regalò dei libri di Marx, invitandolo a prendere sul serio ciò in cui credeva, così come invitava ad andare alle radici della propria fede protestanti ed ebrei. Solo un idiota potrebbe dedurne un inutile relativismo; i diretti interessati, invece, sfidati da un'umanità eccezionale, nella verifica della propria “fede” scoprivano che non risolveva le domande ultime sulla vita, sulla realtà, sul destino.
Fu così anche per me, solo che non ci fu bisogno di un don Giussani a regalarmi la Sublime Discografia Completa del Gruppo. A trasformarmi fu il tentativo di prendere sul serio, anche solo per pochissime ore, il mio sacro Gruppo. Che dopo pochi minuti mi aveva già stufato. Quella musica sortiva in me solo gli effetti indesiderati: noia, distrazione, stanchezza, tristezza... Quei testi, a leggerli attentamente, erano solo giochi di parole, senza altri profondissimi significati che quelli attribuiti dalla mia fantasia a qualche versetto non ben compreso. L'accurata preparazione liturgica all'ascolto non mi lasciava alibi.
Per un po' di tempo professai ancora quella “fede”, anche se solo esteriormente e con sempre minor convinzione. Diventando adulto (per l'anagrafe), sono stato sommerso da tante altre divinità del sacro olimpo contemporaneo salvo poi scoprire ogni volta la stessa dinamica che avevo verificato da ragazzino: gli idoli, non appena li prendi sul serio, non appena li poni davanti alle elementari esigenze del cuore, si rivelano inutili e pesanti fardelli, funzionali - quando va proprio bene - a distrarti, cioè a farti passare dalla realtà al sogno, al nulla.
Ancora oggi mi meraviglio dell'abominevole quantità di idoli circolanti, dai nomi altisonanti (talvolta perfino nomi cari del lessico cristiano), esigentissimi e severissimi, presentati dal mondo con un'aura seducente e accattivante che termina pressoché nello stesso istante in cui li vai ad onorare con qualche abbondante manata di incenso.
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