domenica 4 dicembre 2011

Il pranzo di Babette

Ci vuole un protestante per dissacrare e umiliare senza appello anche il protestantesimo più candido. Le opere di carità non bastano a riempire la vita, l'osservanza rigorosa non basta a rendere felici, l'attenta partecipazione alle celebrazioni non sazia l'anima, persino quando tutte queste cose riescono ottimamente: ci volevano dei protestanti sinceri per accorgersene e per documentarlo.

Il protestante o finge di dimenticare o vive di rimorsi: ecco il risultato dell'aver cancellato il sacramento della confessione. Mettono una feroce tristezza i colori cimiteriali di quegli abiti e quei sorrisi prefabbricati del Decano. Perfino il cibo, sebbene servito con tutti quei riguardi, è un puro nutrirsi - fino a quando il pranzo di Babette dimostrerà qualcosa di nuovo e di imprevisto.

È in fondo in fondo il cattolicesimo il vero protagonista del film. Protagonista nascosto e citato solo per essere deriso: “ah, papista, certo, sì, sono cattolico”. Ma che emerge prepotentemente in alcuni momenti della vita delle due sorelle. Quando il peccatore incallito Achille entra nella loro storia dimostrando, paradossalmente con la propria debolezza, che quella vita in ottemperanza alla Bibbia censura qualcosa di grande. Quando è la Babette a cucinare i pasti per i poveri, dimostrando che la prima vittima del regolamentismo protestante è la passione per il reale. Quando è la Babette stessa a cucinare il pranzo che solo il Generale - uomo che ha visto il mondo, non soltanto un villaggio, uomo che ha visto arte, bellezza, passione, non soltanto le celebrazioni della Parola - solo il Generale saprà ammettere di apprezzare quel notevole atto di carità che solo al termine - e quasi con ritrosia - verrà compreso anche da altri (il legalismo protestante è fondamentalmente incapace di atti di carità più grandi dello stretto necessario).

Nonostante i loro vistosi limiti Babette, il Generale, Papin, iniettano nuova vita (talvolta involontariamente) a quel funereo mortorio protestante senza fare nulla di riconoscibilmente “papista”. Sono semplicemente estranei al moralismo puritano, hanno soltanto quel po' di passione per la realtà, tirano conclusioni senza doverle incastrare in qualche versetto biblico. I protestanti han saputo darsi delle regole durissime (come ad esempio nella riunione precedente al pranzo di Babette) e riescono perfino a seguirle fino in fondo, ottenendo però continuamente la dimostrazione che un cristianesimo fatto di regole conduce solo alla tristezza. Una carità fatta di regole conduce a dissapori e liti. Un cristianesimo ridotto a perfetto elenco di giustissime norme rende la vita grigia, cupa, impoverita.

Il cattolicesimo è qualcosa di vivo. Il cattolico vero, anche il più scalcagnato, trasmette (persino involontariamente) ciò che era vivo e che non era sopravvissuto al legalismo protestante.

Quando il cattolicesimo comprime e riduce la passione per la realtà allora è già irreversibilmente protestantizzato. Quando qualcuno accusa la Chiesa “papista” di essere una religione di dolore, di normative, di autoflagellazione, allora sta in realtà affermando di aver conosciuto una Chiesa protestante e legalista. Quando i giovani spariscono dalla parrocchia per banalissimi motivi, stanno in realtà scappando da un asfissiante puritanesimo travestito approssimativamente da “papista”.

Vasti settori della Chiesa cattolica soffrono oggi di quel cancro. Autoreferenziali, protestantizzati, asfissianti, burocratizzati, castranti, persino quando apparentemente predicano contro quelle stesse cose. I loro “seguaci”, come nel villaggio delle due sorelle, vi aderiscono più per volontà che per convinzione, più per forza d'inerzia che per attrazione, più per doverismo che per necessità. Le parrocchie dove “tutto funziona” sono come quel villaggio: un ambiente pulito ma grigio, preciso ma funereo, perfetto ma asfissiante, dove domina quel senso di vuoto, quel fardello sempre più faticoso da sopportare.

Papa Giovanni Paolo I disse che il dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è l'aver tentato di sostituire lo stupore dell'evento di Cristo con delle regole. La protestantizzazione massiva, attuata per di più dall'interno della Chiesa stessa, è stata calata dall'alto su tanti fedeli, riducendo l'ambiente delle parrocchie al villaggetto degli ottemperanti alle regole, banalizzando la passione per la realtà a fastidioso uzzolo di chi ha tempo da perdere, cassando via - o costringendo in una “riserva indiana” - chiunque abbia la sventura di avere un “carisma” sprovvisto di potenti appoggi curiali.

Bisognerebbe far vedere al parroco questo film e spiegargli ogni scena, ogni parola, ogni espressione di ogni volto. Fargli capire che perfino nella più onesta intenzione di “donare al Signore” la propria vita, si rischia di fare la fine delle due sorelle. Fargli notare che il “cattolico papista”, nonostante i propri limiti, è ordinariamente capace di gratitudine senza sforzo (e -aggiungo con un ghigno- senza dover scomodare la Bibbia). Farlo interrogare sul fatto che quell'atteggiamento sottilmente castrante produce un paradiso di plastica, un villaggetto dove tutto va bene e tutti cantano insieme alla celebrazione settimanale ma senza riuscire ad esprimere altro che una grigia ombra. Fargli notare che la carità invisibile di Babette, impossibile da misurare, impossibile da descrivere nei documenti pastorali, è frutto di una passione per la realtà piuttosto che di uno sforzo di volontà, è frutto cioè di un moto del cuore piuttosto che di un'adesione a delle regole.

L'ossessiva somministrazione di spremute di Bibbia non giova ai fedeli ma li appiattisce e li annoia. I fedeli hanno bisogno del Sacramento, non del Libro. I fedeli vanno educati alla realtà totale più che al controllo dell'osservanza delle regole. Il parroco dovrebbe capire che il contrario dell'immoralità non è il moralismo, il contrario dell'impurità non è il puritanesimo, il contrario della tristezza non è l'allegria (tanto meno quella prefabbricata) ma la letizia (che non si può programmare come se le persone fossero computer), il contrario delle chiacchiere inutili non è un sermone costellato di citazioni bibliche. Altrimenti prostitute e peccatori (come quei tre “criptocattolici” del film) passeranno avanti nel regno dei cieli.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

In altre parole quello che scrivi è il cosidetto "moralismo" contro il quale in CL spesso si sente parlare.

Io capisco, però mi rimane comunque un dubbio.. Cioè, certe regole sono importanti e vanno anche insegnate. Non mi sembra ad esempio "antiCattolico" insegnare i 10 Comandamenti, spiegare bene come ci si confessa (oggi ad esempio quanti sanno che i peccati mortali vanno confessati in specie e in numero; se non si sa il numero allora approssimativamente) e perchè ci si confessa, eccetera.

Anche Nostro Signore, nel Vangelo, dice chiaramente che certe cose non vanno bene. L'adultera il Signore la perdona ma la congeda anche con un "va, e non peccare più" (vado a memoria).

Ecco, se riesci a chiarirmi un po' questa cosa su cui io, nei confronti di quello che sento dire da ciellini, sono perplesso sarei contento.

Grazie!

ciellino ha detto...

Sono purtroppo tantissimi (anche nella Chiesa) quelli che cercano di ridurre il cristianesimo ad un elenco di regole, cioè ad un moralismo (come hanno in fondo in fondo fatto i protestanti), che magari dà una sensazione di "ordine" ma presto diventa asfissiante e insopportabile.

Il moralismo è il contrario della divina misericordia (l'episodio del "va' e non peccare più" ne è un esempio: l'applicazione delle regole richiede una vendetta, mentre la fede prevede la possibilità di ravvedersi).

Nostro Signore ha detto che il suo "giogo" è dolce, il "carico" è leggero; pertanto, quando il cattolicesimo ci sembra pesante, significa che lo stiamo confondendo con qualcos'altro.

Tornerò volentieri sull'argomento.

Anonimo ha detto...

San Francesco per resistere ad una tentazione contro la purezza si rotolò nella neve.

Un altro Santo per gli stessi motivi si gettò in un rovo (o forse era sempre San Francesco). Ogni tanto è difficile essere Cristiani.

Capisco l'episodio della Samaritana e sono anche d'accordo. Certe volte però la parte "e non peccare più" è dimenticata.

Mi pare che in CL, dicendosi contro il "moralismo", di fatto magari non si può neanche fare la morale (cosa invece giusta e necessaria).